La Giornata mondiale contro il lavoro minorile del 2021 cade in quello che è stato dichiarato dalle Nazioni unite l’anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. Un’iniziativa presa all’unanimità dall’Assemblea generale dell’Onu due anni fa, per sollecitare i governi ad adottare misure di contrasto a questo fenomeno, di cui purtroppo non conosciamo tutto il sommerso, e a raggiungere l’Obiettivo 8.7 contenuto nell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile dell’Organizzazione della Nazioni unite. Punto che recita: “assicurare la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, ivi compreso il reclutamento e il ricorso a bambini soldato; entro il 2025 porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme”.
I progressi registrati dal 2000, cioè da quando sono cominciate le rilevazioni sul lavoro minorile effettuate dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e pubblicate con cadenza quadriennale, vedono un rallentamento negli anni dopo il 2016. Tra l’inizio del Terzo millennio e il report di cinque anni fa, circa una novantina di milioni di bambini e adolescenti sono stati affrancati dal lavoro minorile.
Ma nel rapporto Lavoro minorile: stime globali 2020, tendenze e percorsi per il futuro, redatto da Oil e Fondo delle Nazioni unite per l’Infanzia (Unicef), emerge che dopo il 2016 il numero assoluto di vittime del lavoro minorile ha registrato un aumento di 8,4 milioni. Mentre quello di chi è costretto a svolgere un lavoro pericoloso per la propria sicurezza, per la propria salute e per il proprio sviluppo psico-fisico è salito di 6,5 milioni.
Ad oggi, quasi uno su dieci della popolazione che comprende bambini e adolescenti a livello mondiale è impegnato nel lavoro minorile. La cifra complessiva di bambini e adolescenti sopra i cinque anni che, per necessità economiche o per altri motivi, contribuiscono al reddito famigliare è 160 milioni. Di questi, sono 97 milioni di ragazzi e 63 milioni di ragazze. Quasi la metà delle vittime di lavoro minorile, 79 milioni, è impiegato in lavori pericolosi.
Nel corso degli anni sono stati fatti progressi nel contrasto a questo fenomeno. I risultati migliori sono stati raggiunti in America Latina, Caraibi, Asia e regione del Pacifico. Le condizioni sono peggiorate invece nell’Africa sub-sahariana. E’ dove si registra la più alta incidenza di lavoro minorile, a livello mondiale.
C’è il timore che il Covid, se non si agisce tempestivamente, possa far sentire i suoi effetti negativi anche in questo ambito. Riferisce infatti il rapporto che nuove analisi ipotizzano, per il 2022, un aumento di 8,9 milioni di bambini e adolescenti vittime del lavoro minorile a causa di ulteriori situazioni di povertà dovute alla pandemia.
Le dimensioni del fenomeno
Il lavoro minorile coinvolge maggiormente i bambini più piccoli e principalmente nelle aree rurali. Soprattutto i bambini nella fascia d’età 5-11 anni, nelle famiglie che vivono di microimprese a conduzione famigliare o hanno aziende agricole. Proprio l’agricoltura sembra essere l’“ingresso” dei più piccoli nel mondo del lavoro. Nelle aree rurali il lavoro minorile coinvolge 122,7 milioni di bambini e adolescenti – oltre il 70% occupati in lavori agricoli – rispetto ai 37,3 milioni nelle aree urbane.
In generale, mentre negli ultimi quattro anni si sono fatti progressi nell’affrancamento dal lavoro minorile per bambini tra i 12 e i 14 anni e di adolescenti tra i 15 e i 17, ma si è assistito a un incremento di 16,8 milioni, rispetto al 2016, dei bambini con meno di 12 anni impiegati nel lavoro minorile.
In termini assoluti, continua il documento, i ragazzi vittime del lavoro sono 34 milioni in più delle ragazze, ma il divario si assottiglia, fin quasi a dimezzarsi, se la definizione di lavoro minorile si estende al lavoro domestico svolto per almeno 21 ore a settimana.
Uno dei principali effetti negativi di questo fenomeno, oltre al rischio per la salute e per lo sviluppo di questi soggetti, è la dispersione scolastica. Più di un quarto dei bambini d’età compresa tra i 5 e gli anni 11 e oltre un terzo di quelli della fascia 12-14, continua il report, non va a scuola. Ciò comporta una forte limitazione, se non una vera e propria privazione, di prospettive di vita, di lavoro e di un futuro dignitosi.
Cosa fare
Circa novanta milioni di bambini sono stati affrancati da lavoro minorile in questi vent’anni, ma si assiste comunque a un ritardo rispetto all’obiettivo: debellare completamente il fenomeno entro il 2025. Cioè tra quattro (cinque, se si conta la data dell’ultima rilevazione) anni. Proprio il rapporto, nella terza e ultima sezione del documento, Percorsi per il futuro, dà degli indirizzi precisi su cosa è urgente fare per il contrasto deciso al lavoro minorile.
Per scongiurare che l’impatto della crisi dovuta alla pandemia generi nuova povertà o peggiori ulteriormente le condizioni di chi già ci si trova, che potrebbe portare con sé il ricorso al lavoro minorile, serve – scrive il rapporto – estendere la protezione sociale per le famiglie, garantire un’istruzione gratuita almeno fino all’età minima di accesso al lavoro – per prospettare ai ragazzi un’alternativa.
Inoltre, si ritengono necessari sia la promozione di un lavoro dignitoso e adeguatamente retribuito – per i giovani in età legale da lavoro e per gli adulti –, sia la diffusione di mezzi di sostentamento adeguati nelle aree rurali. Altri percorsi per il futuro, un futuro che deve essere molto prossimo, sono quelli della differenziazione economica, degli investimenti in infrastrutture e nei servizi essenziali, oltre che leggi che proteggano i bambini.
Le azioni dei governi, secondo Lavoro minorile: stime globali 2020, tendenze e percorsi per il futuro, dovrebbero essere, tra le tante, quella adottare decisioni, in materia di ripartizione delle risorse, informate alle rilevazioni statistiche sulla diffusione del lavoro minorile e quella di ridurre, o ristrutturare, il debito per salvaguardare la spesa sociale, soprattutto nei Paesi già indebitati.
Di questo piaga che affligge milioni di bambini e ragazzi nel mondo, delle cause e delle soluzioni, possibili e necessarie, InTerris ne ha parlato con il portavoce di Unicef Italia Andrea Iacomini.
L’intervista
Qual è il senso di una Giornata mondiale contro il lavoro minorile?
Rientra nel novero delle giornate mondiali che l’Onu dedica ai grandi temi, come può essere ad esempio quella dedicata all’infanzia. E’ una Giornata che serve a ricordare alla comunità internazionale di prendere provvedimenti per contrastare questo fenomeno. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dall’adolescenza prevede che nessun bambino sia vittima dello sfruttamento economico.
Cosa sono il lavoro minorile e il lavoro pericoloso?
Sono l’insieme di attività come lavori pericolosi, cioè che minacciano la salute, la sicurezza e l’integrità del bambino, sia quelli non pericolosi che però non dovrebbero attenere alla vita normale di un bambino. Nei vari paesi s’incontrano declinazioni diverse. In alcuni Paesi del Sud Est asiatico, dove è ammesso un tipo di lavoro in cui il bambino aiuta la famiglia svolgendo mansioni non usuranti, abbiamo dovuto lavorare con i governi per contenere queste attività.
Quali sono i lavori dove si ricorre di più ai minori?
Il luogo dello sfruttamento per eccellenza è l’agricoltura. Seguono i servizi, poi le fabbriche. Esiste un problema di protezione sociale e di mancanza di strutture. Per esempio, alcune in famiglie se gli adulti erano stati colpiti dal Covid si sono serviti dei propri bambini.
In Paesi come Bolivia si fa molto ricorso ai bambini per il lavoro manuale e nelle miniere. Ci sono delle legislazioni che abbassano di molto l’età minima per far diventare i bambini forza lavoro. Per far “alzare l’asticella” abbiamo dovuto lavorare molto con i governi, con i sindacati e con le associazioni.
Cosa c’è dietro questo trend in peggioramento?
Non ci aspettavamo di arrivare a 160 milioni, partendo da circa 150. Oltretutto non dimentichiamo che qualche anno fa festeggiavamo la diminuzione. Non farei l’errore di ascrivere al Covid qualsiasi tipo di fenomeno che accade oggi. Il virus è certo una concausa molto grave che mette a rischio i progressi che sono stati fatti, soprattutto in delle zone del Sud Est asiatico e del Pacifico. Lì le scuole sono state chiuse per molto tempo, i bambini non sono andati a scuola e l’economia è crollata, per cui le famiglie in crisi sono dovute ricorrere ai figli. Oppure se gli adulti si ammalavano di Covid, sul lavoro venivano impiegati i bambini di età sempre più bassa.
Nell’Africa sub-sahariana invece il numero delle vittime del lavoro minorile è cresciuto sia per un discorso di crescita demografica che di carenza di misure di protezione sociale adeguate. Negli ultimi quattro hanno i bambini al lavoro sono aumentati di 16 milioni.
Quali sono i principali danni che subiscono questi bambini?
Uno è certamente l’analfabetismo. Lavorando, molto spesso il bambino finisce per lasciare la scuola e cresce senza istruzione, in condizioni di povertà. Non mancano i danni fisici, tra quelli che svolgono lavori usuranti, e anche mentali, perché in generale subiscono molte pressioni.
Quali sono le cause del lavoro minorile?
Probabilmente le realtà di povertà di moltissimi Paesi, dove molte famiglie vi ricorrono, per certi mestieri, spinte dalla necessità. Alcuni governi hanno deciso di affrontare questo fenomeno, mentre molti altri tendono a nasconderlo.
Qual è stato l’impatto di altri fattori, come la globalizzazione?
La globalizzazione in questo ambito ha mostrato la sua parte negativa. Non è riuscita a portare più lavoro, più giustizia e maggiore prosperità a quelle popolazioni. Il lavoro minorile non nasce oggi, resta e non va via anche se nel mentre noi ci connettiamo e ci globalizziamo. Qualcuno rimane indietro.
Quali sono le possibili soluzioni che i Paesi possono adottare, a livello politico e a livello economico?
Abbiamo chiesto di invertire questo trend con il ricorso agli assegni famigliari universali, alla garanzia di un’istruzione per bambini e bambine. Serve dare opportunità agli adulti di svolgere lavori dignitosi, per non farli ricorrere ai bambini per generare reddito famigliare. Riteniamo inoltre che vadano superate le norme di genere, che hanno un impatto determinante sul lavoro minorile, garantendo così parità, rispetto dei diritti e non discriminazione.