Le tragiche notizie che quotidianamente ci arrivano da cento giorni dall’Ucraina hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il dramma della vita, e purtroppo della morte, dei bambini in un teatro di guerra. Secondo l’ufficio del procuratore generale di Kiev, riporta l’agenzia Ukrinform, dall’inizio della guerra, lo scorso 24 febbraio, hanno perso la vita 261 minori. In base alle notizie che ha potuto verificare l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani (Ohchr), ogni giorno in Ucraina in media più di due bambini vengono uccisi e oltre quattro feriti, principalmente nel corso degli attacchi sulle zone popolate. Abitazioni, ospedali e scuole distrutti, nuclei familiari costretti ad abbandonare le proprie case e a trasformarsi in sfollati interni o in rifugiati nei Paesi vicini. Due bambini ucraini su tre sono dovuti scappare dalla propria città e oltre cinque milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Un conflitto non è purtroppo solo distruzione materiale e privazione di quei beni essenziali per tutti ma soprattutto i più piccoli, fino all’istruzione e al gioco. Nei teatri di guerra, infatti, le violazioni dei diritti dei bambini sono molteplici. E oggi, ma non da oggi, lo scenario è molto più vasto di quello che stiamo imparando a conoscere con il conflitto alla porta orientale dell’Europa. Sono infatti 250 milioni i bambini che vivono in Paesi e aree colpiti da conflitti, secondo le Nazioni unite, e negli ultimi anni le violenze contro queste piccole vittime innocenti sono in aumento.
La giornata
C’è chi si occupa di tenere accesa una luce che illumini il buio pesto delle violazioni dei diritti dei bambini in aree di conflitto armato, con l’obiettivo di contrastarle, prevenirle e sconfiggerle. Un memento per l’opinione pubblica di tutto il mondo è infatti la Giornata internazionale per i fanciulli vittime di aggressioni, istituita dall’Assemblea generale dell’Onu 40 anni fa, il 19 agosto 1982. Lo scopo è riconoscere e sensibilizzare sulle diverse forme di soprusi perpetrati nei confronti dei bambini in contesti di guerra, dal reclutamento dei “bambini soldato” ai rapimenti, dalle violenze sessuali alla tratta. In seguito il Rapporto Machel, pubblicato nel 1996 da Graça Machel su richiesta dell’allora segretario generale Boutros Boutros-Ghali, diede un forte contributo alla conoscenza degli effetti devastanti della guerra sulla vita dei bambini. Oggi anche l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile include uno target specifico, il 16.2, per il contrasto a tutte le forme di violenza contro i bambini.
Vittime di tratta
Secondo una recente analisi condotta dal Fondo Onu per l’infanzia (Unicef) e dal Gruppo di coordinamento interagenzie contro la tratta (Icat), il 28% delle vittime identificate della tratta a livello globale sono bambini. Nel contesto dell’Ucraina, gli esperti di protezione dell’infanzia dell’Unicef ritengono che i bambini rappresentino probabilmente una percentuale ancora più alta di potenziali vittime della tratta, dato che insieme alle donne sono la quasi totalità dei rifugiati.
L’intervista
In occasione della Giornata internazionale dei fanciulli vittime innocenti di aggressioni, Interris.it ha intervistato don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’associazione Meter, da sempre impegnato per i diritti dei più piccoli.
Padre, quanto è drammatica la morte di un bambino in una guerra?
“La guerra è un abominio e investire nelle armi invece che sfamare il pianeta è vergognoso. I bambini, e le categorie più fragili, sono certo più vulnerabili in situazioni del genere, subiscono i calcoli beceri del mondo adulto. Non c’è, purtroppo, guerra in cui non muoiano bambini, anche se questo non sarebbe inevitabile persino in un contesto simile. La morte di pure un singolo bambino è sempre una tragedia, ma ogni anno ci troviamo a stilare dati e statistiche che diventano quasi una litania insanguinata. La cosa che più inquieta è che allo scoppio della guerra si scendeva in piazza e ora non lo fa più nessuno”.
Tra le violazioni dei diritti dei bambini e gli abusi che vengono perpetrati ai loro danni, c’è pure il pericolo diventino vittime di tratta. Come scongiurarlo?
“Sappiamo bene che possono finire nella tratta perché sono stati lanciati degli allarmi sull’altissimo rischio che ciò avvenga, per cui dobbiamo appellarci ai controllori internazionali affinché monitorino quel flusso di bambini che scompaiono, vengono trafficati o vengono ceduti. Non è un compito che possono sostenere da sole le famiglie e le associazioni. Dopo gli allarmi, bisogna fare di più: è come se ci stessimo abituando ai numeri, ma è un vero, impressionante, un dramma mondiale”.
Come la comunità internazionale può concretamente proteggere i minori, in questi frangenti?
“Di fronte al bambino ci devono essere prioritariamente accoglienza, solidarietà e protezione : è una questione di coscienza dell’umanità e degli Stati. Bisogna superare ogni ostacolo amministrativo e burocratico”.
Come possiamo, anche noi società civile oltre a enti e istituzioni, aiutare questi bambini vittime a “rinascere”?
“La guerra è certo la cosa più drammatica per un bambino, con effetti collaterali devastanti, perché può perdere la casa o restare orfano. Ma il vissuto si può rielaborare, si possono ricostruire i legami rimasti e costruire nuove opportunità di vita. La solidarietà, la fraternità e l’apertura sono sempre positivi nell’accompagnare questi bambini, alimentano sempre in loro la bellezza della vita. Fraternità e solidarietà sono l’antidoto alla guerra”.