“Da un grande potere derivano grandi responsabilità“. E’ una celebre frase di Spiderman che, nel film, zio Ben dice al giovane Peter Parker. Ovviamente, tutti sappiamo che stiamo parlando di finzione, ma questo motto può essere applicato alla vita reale: ogni gesto che compiamo, i successi che conseguiamo, insomma tutte le nostre azioni comportano delle responsabilità. Come tradurre questo in pratica? Dando il buon esempio agli altri. Come ha fatto in passato, e continua a fare, Giorgio Farroni, fabrianese Doc (la sua città di origine è Fabriano, in provincia di Ancona): tanto allenamento, costanza e sacrifici gli hanno permesso di salire sul gradino più alto del podio prima nella Coppa del Mondo (Quebec City) e al Mondiale (Baie-Comeau) di paraciclismo che si sono svolti in Canada.
Chi è Giorgio Farroni
Intervistare Giorgio Farroni è stato un piacere, non solo per l’opportunità di aver parlato con un campione sportivo italiano, ma perché nonostante le recenti vittorie si è mostrato una persona umile, spontanea e simpatica. La sua disabilità – la distonia emiplegica destra, patologia neurologica caratterizzata dalla paralisi parziale della metà destra del corpo – non lo ha mai frenato, né nella vita né nello sport.
A 14 anni subisce tre interventi di denervazione alla mano e al braccio destro che gli permettono di dedicarsi più concretamente all’attività sportiva e coltivare la sua passione per la bicicletta, che, in un primo momento, è indirizzata verso la mountain bike. La sua carriera da biker prosegue per 8 anni con il “Gruppo Sportivo Mtb Fabriano”.
A 22 anni Giorgio decide di dedicarsi alle gare su strada ed entra a far parte del mondo del ciclismo paralimpico, specializzandosi nelle gare su strada e nella cronometro, categoria MT2. Tesserato con il “Gruppo Sportivo Forestale”, dopo solo un anno di attività ottiene la convocazione da parte del CT azzurro, Mario Valentini, e partecipa alle Paralimpiadi di Sydney 2000, raggiungendo il 9° e il 10° posto nelle gare rispettivamente su strada e cronometro. Dal 2019 gareggia con l’Associazione sportiva Anthropos a.s.d. di Civitanova Marche.
L’intervista
Dopo aver partecipato alle gare per la Coppa del Mondo a Quebec City e ai Mondiali a Baie-Comeau (Canada), Giorgio è tornato a casa due titoli mondiali: uno per la gara a cronometro, l’altro per la gara su strada. Interris.it lo ha intervistato.
Giorgio, prima di tutto complimenti per questi risultati. Quali emozioni hai provato?
“Non ci si abitua mai a vincere. Salire sul gradino più alto del podio e sentire l’inno nazionale italiano è sempre una grande emozione. E’ il coronamento di un lavoro durato mesi, è un onore rappresentare l’Italia in giro per il mondo, è un mix di sentimenti che raggiungono il loro picco più alto in quei momenti di gioia. Come dicevo è una grande emozione ma anche una grande responsabilità: si indossa la maglia azzurra, è un grande orgoglio rappresentare il Paese”.
Il primo pensiero dopo aver tagliato il traguardo?
“La felicità di aver battuto gli altri partecipanti. Sapevo di essere uno dei favoriti, ma fino a quando non si taglia il traguardo non si può mai dire cosa accadrà. Sono stato molto contento. Ho pensato a tutto il lavoro svolto, si potrebbe paragonare come ad una compito in classe a scuola: c’è tanto studio per arrivare a quel momento. E io di lavoro ne ho fatto tantissimo e anche molti sacrifici”.
Quanto ti impegnano gli allenamenti?
“Mi alleno tutti i giorni, almeno per mezza giornata, e bisogna stare attenti anche all’alimentazione. Inoltre, lo sport, a volte mi porta a viaggiare molto e questo vuol dire stare lontano dalla mia famiglia. Oltre che dalle vittorie, la fatica e i sacrifici sono ripagati dal fatto che il gruppo della nazionale è per me come una seconda famiglia”.
Mi dicevi che oltre alla grande emozione, la vittoria comporta anche un senso di responsabilità. Puoi spiegarti meglio?
“Con la mia esperienza, sento tutto il ‘peso’ della maglia azzurra: per rappresenta non solo la nazione da dove vengo, ma anche la mia famiglia e tutto il popolo italiano. Quando viaggi e incontri italiani che vivono all’estero, che vedendoti indossare quei colori si sentono a casa, la responsabilità si sente ancora di più. E’ anche uno stimolo a fare sempre meglio. In questo caso ho vinto, ma non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco. Nello sport devi essere consapevole che si può anche perdere”.
Tu hai una disabilità dalla nascita, ma questo non ti ha mai fermato. A Cosa vorresti consigliare ai giovani che hanno una disabilità e che vorrebbero avvicinarsi al mondo dello sport?
“Prima di rivolgermi ai ragazzi, vorrei dire ai loro genitori di portarli assolutamente a fare sport. Io faccio sport agonistico da oltre trent’anni e mi ha insegnato a vivere: si impara a rispettare delle regole e ti mette su una retta via, utile anche nella vita. Campione o non campione, chi si avvicina allo sport impara a vedere anche i propri limiti. Se ci si chiude in sé stessi e ci si rintana in casa, non si sarà mai in grado di vedere le cose belle che una persona è in grado di fare. Io ho un carattere abbastanza deciso e a parte nel periodo dell’adolescenza non ho mai avuto problemi a causa della mia disabilità. Per chi è un po’ più indeciso, lo invito a provare a fare sport, a socializzare con gli altri e di imparare a vedere i suoi talenti”.
Che ruolo ha svolto lo sport nella tua vita?
“E’ stato fondamentale. Praticare sport fin da piccolo mi ha aiutato a costruire il mio carattere”.
Il tuo prossimo obiettivo?
“I campionati italiani della prossima settimana. Spero di portare almeno un titolo alla società, così da chiudere la stagione in bellezza. O almeno ci provo. Te lo dirò dopo l’arrivo (ride, ndr)”.