Nel pontificato di Francesco la geopolitica della misericordia è il tratto caratterizzante della diplomazia pontificia. Sullo scacchiere internazionale gli obiettivi vaticani si identificano con i ruoli di mediazione e pacificazione che la Santa Sede svolge negli oltre sessanta focolai di guerra attualmente attivi nel pianeta. Come ribadito dal Pontefice in occasione dell’udienza di inizio anno agli ambasciatori accreditati in Curia, serve una “diplomazia di speranza per scongiurare la terza guerra mondiale”. Il metodo di Jorge Mario Bergoglio è quello di “dialogare anche con chi è scomodo” per allontanare il pericolo di un conflitto globale. Sono 184 gli Stati che attualmente intrattengono piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ad essi vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Le Missioni diplomatiche accreditate presso la Santa Sede con sede a Roma, incluse quelle dell’Unione Europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta, sono 90. Hanno sede a Roma anche gli Uffici accreditati presso la Santa Sede della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Nel corso del 2024, in data 11 ottobre è stato sottoscritto il Secondo Protocollo Addizionale all’Accordo fra la Santa Sede e il Burkina Faso sullo statuto giuridico della Chiesa Cattolica nel Burkina Faso. Il 22 ottobre la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno concordato di prorogare per un ulteriore quadriennio la validità dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei vescovi, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato il 22 ottobre 2020 e il 22 ottobre 2022. Infine, il 24 ottobre è stato firmato l’Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Ceca su alcune questioni giuridiche. il 2025 è un anno ricco di appuntamenti e sfide geopolitiche. Intanto infuria la corsa agli armamenti.
Geopolitica 2025
In Polonia l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, ha illustrato nel dettaglio vocazione e natura, strumenti e rapporti, attività e modalità di azione della millenaria diplomazia vaticana. Attualmente impegnata appunto in relazioni con 184 Paesi e con gran parte delle istituzioni che rappresentano la governance globale. Lo ha fatto in una lunga lectio magistralis alla Università Cattolica di Lublino (KUL) sul tema “La diplomazia della Santa Sede nel mondo contemporaneo” in occasione dell’incontro organizzato dal Centro per lo Studio della Diplomazia del medesimo Ateneo. Risoluzione dei conflitti – dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Caucaso al Myanmar, dall’Etiopia allo Yemen – e costruzione della pace. Promozione e tutela dei diritti umani; libertà religiosa. Cura della casa comune; contrasto della “cultura dello scarto“; migrazioni; accesso all’assistenza sanitaria. E ancora, riferisce Vatican news, difesa di politiche economiche giuste. Lotta alla tratta umana; promozione della fratellanza e del multilateralismo. Come “un ospedale da campo in mezzo a una battaglia”, la Santa Sede è “parte integrante” del dibattito sulle tensioni che la comunità internazionale deve affrontare e sulle attività che si svolgono nello scacchiere globale. Esercitando un “soft power” che consente di “ottenere risultati che anche le autorità globali più dominanti spesso faticano a raggiungere da sole”.
Appuntamenti 2025
Regno Unito: il 1° maggio si terranno le elezioni amministrative per il rinnovo di varie cariche locali. Sulla carta non un appuntamento cruciale, ma con la capacità di avere un forte impatto sulla politica nazionale. Secondo recenti sondaggi pubblicati dal “Sunday Times” se si votasse oggi i laburisti perderebbero circa 200 dei seggi conquistati solo sei mesi fa. E a crescere sarebbero sia i conservatori, ora guidati da Kemi Badenoch, prima donna nera a guidare uno dei principali partiti britannici, sia Reform Uk, il partito di Nigel Farage. Che ha fatto un grande ritorno sulla scena dopo essere sopravvissuto a incidenti aerei, all’abbandono della politica dopo il successo della Brexit, e anche ai reality show nella giungla australiana. Reform UK è in crescita inarrestabile ma alle ultime elezioni il sistema elettorale inglese (first past the post) gli ha garantito solo 5 parlamentari a fronte di oltre 4 milioni di voti, ovvero lo 0,8% dei seggi con il 14,3% dei consensi. Anniversari: oltre a quelli europei, si celebrano gli 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dall’avvio delle Nazioni Unite . Il 6 agosto la bomba atomica su Hiroshima, il 15 la resa del Giappone, il 24 ottobre entra in vigore la Carta dell’Onu. Il 30 aprile sono 50 anni dalla caduta di Saigon con la caotica evacuazione di oltre 7mila persone e la fine della guerra del Vietnam. Decennali: Il 7 gennaio 2015 un gruppo di jihadisti faceva strage nella redazione di “Charlie Hebdo”. Il 14 luglio 2015 si firmava l’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), da cui Trump si ritirò nel 2018 e che Biden non ha resuscitato. L’Iran è ora considerato in grado di produrre il materiale per un’arma atomica ”in una o due settimane” ha detto il segretario di Stato americano Antony Blinken. Il 12 dicembre 2015 si firmarono gli storici Accordi di Parigi sul clima, per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi, soglia considerata praticamente già raggiunta.
Economia-dazi
La grande domanda che si fanno tutti è: quanto delle promesse/minacce di Donald Trump si trasformerà in realtà? Da candidato, riferisce Adnkronos, ha parlato di dazi del 60% sulle merci cinesi e del 10% sulle altre. Recentemente, se l’è presa anche con i vicini Canada e Messico, nonostante il fortissimo legame commerciale tra i paesi ex-Nafta (oggi il loro rapporto è regolato dal trattato Usmca), ai quali è pronto a imporre ”tariffs” del 25%. Il presidente ha il potere di decidere – soprattutto se sotto l’ombrello della sicurezza nazionale – restrizioni su merci e commercio senza dover passare dal Congresso, come fece durante il primo mandato con acciaio e alluminio. Ma per una guerra commerciale totale con la Cina o con il resto del mondo, è necessario un passaggio parlamentare, altrimenti può scattare il ricorso alla Corte suprema contro un possibile ordine esecutivo della Casa Bianca. E nella maggioranza repubblicana, che balla sul filo di tre senatori e due deputati, non mancano i nemici delle politiche protezionistiche. Mercati: il ritorno di Trump ha galvanizzato la borsa di New York, con l’S&P 500 che ha chiuso il 2024 con un +23% sull’anno precedente, un rally che neanche i ”tori” più convinti avevano previsto, e i modelli degli analisti prevedono un altro anno di guadagni, anche se tra il 10 e il 15%. All’orizzonte ci sono tre incertezze: l’agenda economica di Trump, l’inflazione e la velocità alla quale la Fed abbasserà i tassi d’interesse. Di sicuro gli Stati Uniti, grazie alle mosse del governatore Jerome Powell, considerato da molti democratici uno dei migliori di sempre (ma va ricordato che fu nominato da Trump), hanno evitato una recessione annunciata più volte dal 2021. E l’eccezionalismo americano può continuare anche quest’anno grazie al boom dell’intelligenza artificiale, che oltre ad alimentare i titoli di aziende tech come Nvidia e Meta inizia a mostrare i suoi effetti (in tandem con la massiccia adozione del cloud) in termini di aumento di produttività. Da capire gli effetti sulle altre economie, che rischiano di essere indebolite da una possibile guerra commerciale e dall’effetto “attrazione” esercitato dal mercato Usa.
Nato
Difesa Spese militari: il ritorno di Trump risveglia anche il (mai veramente sopito) richiamo degli Stati Uniti agli alleati Nato per la propria sicurezza. Nel 2014, con Obama alla Casa Bianca, si stabilì un obiettivo del 2% del Pil dedicato alle spese militari. Nel 2024 sono stati 23 i membri dell’Alleanza atlantica a superare questa soglia, decisamente un salto rispetto agli 11 del 2023. Tra chi resta al di sotto, spiccano l’Italia (con l’1,5%) e il Canada (intorno all’1,3%), mentre la Polonia viaggia verso il 5% in virtù dell’impegno a sostegno dell’Ucraina. Trump ha parlato di portare anche gli altri al 5%, ma come nel caso dei dazi è una sua tattica negoziale: partire da un numero alto per poi chiudere a una cifra (per lui) soddisfacente, che potrebbe assestarsi sopra al 3%, ovvero il livello raggiunto da Stati Uniti, Grecia e paesi baltici. Industria della difesa europea: entro la fine di febbraio, il nuovo commissario europeo alla Difesa e allo Spazio, il lituano Andrius Kubilius, dovrà presentare il suo libro bianco, una specie di rapporto Draghi concentrato sull’industria militare. Dovrà affrontare le questioni relative alle capacità del settore, alla competitività e alle esigenze di investimento. Dovrà anche inquadrare l’approccio generale all’integrazione della difesa nell’Unione, con l’obiettivo di rafforzare la capacità di rispondere alle minacce, al momento decisamente insufficiente. Con lo smantellamento del settore automobilistico, lo sviluppo del comparto militare rappresenta una strada per mantenere i livelli di occupazione e garantire fondi per la ricerca industriale. L’impatto sull’opinione pubblica però non sarà altrettanto favorevole. Droni, droni, droni: gli investimenti militari si concentreranno sulla produzione di UAV, velivoli senza pilota, e sulle armi in grado di abbatterli. L’esempio di Turchia e Iran, due medie potenze che grazie allo sviluppo di queste tecnologie hanno aumentato esponenzialmente la loro capacità di attacco e deterrenza, sarà seguito da molti altri paesi.
Negoziati per l’Ucraina
Quanto accade sul campo in Ucraina, nel Mar Nero contro la flotta russa e nello stretto che divide la Cina e Taiwan dimostra come anche nelle operazioni navali il futuro è senza pilota. Sono strumenti economici, manovrabili con intelligenza artificiale e che garantiscono la protezione dei propri militari. Dall’altra parte, le contraeree dei paesi occidentali hanno assetti molto costosi pensati per abbattere missili e che vengono ”sprecati” per colpire velivoli da poche migliaia di dollari (come nel caso dell’attacco iraniano contro Israele). Armi ipersoniche: dall’altra parte dello spettro ci sono i missili ipersonici, che costano milioni (o decine di milioni) e possono viaggiare oltre Mach 5, cinque volte la velocità del suono, cioè oltre 6.174 km/h. Combinano (idealmente) alta velocità, manovrabilità e capacità di volo a bassa quota, rendendoli difficili da rilevare e intercettare dai sistemi di difesa tradizionali. La Russia è avanti in questo campo, con diversi sistemi, tra cui Avangard (veicolo di rientro basato su missili balistici intercontinentali), Zircon (per impiego navale), Kinzhal (aerolanciato), e Oreshnik. Questi ultimi due sono stati usati contro l’Ucraina. Ma il primo è stato in più occasioni intercettato dai sistemi Patriot forniti dagli Stati Uniti, a dimostrazione che non si tratta di un’arma “impossibile da intercettare” come la definì Putin. Gli Stati Uniti sono indietro, con il progetto di Lrhw (Long range hypersonic weapon system) che dal 2023 è slittato al 2025. Il Pentagono ha chiesto al Congresso 6,9 miliardi di dollari di fondi per lo sviluppo di progetti ipersonici, in netto aumento rispetto ai 4,7 miliardi di due anni fa. La Cina invece è in fase avanzata di sviluppo e ha già sistemi operativi. L’India sta sperimentando, mentre la Francia è in fase iniziale di sviluppo.
Sfide della geopolitica
Gcap e caccia di nuova generazione: il Global Combat Air Programme (Gcap) è una collaborazione strategica tra Italia, Regno Unito e Giappone per sviluppare un sistema di difesa aerea di sesta generazione entro il 2035. A novembre il Parlamento italiano ha approvato la partecipazione a questo programma, sottolineandone l’importanza per la sicurezza nazionale e l’industria aerospaziale. All’air show di Farnborough i tre paesi hanno presentato un nuovo modello concettuale del caccia, al quale partecipano BAE Systems (Regno Unito), Leonardo (Italia) e Mitsubishi Heavy Industries (Giappone). I lead sub-system integrator sono Avio Aero (Italia), ELT (Italia), IHI (Giappone), Leonardo (Italia e UK), MBDA (Italia e UK), Mitsubishi Electric (Giappone) e Rolls-Royce (Regno Unito). Gli Usa stanno sviluppando il Next Generation Air Dominance (Ngad), un caccia di sesta generazione destinato a sostituire l’F-22 Raptor a partire dal 2030, mentre Francia, Germania e Spagna collaborano al Future Combat Air System (Fcas), che però ha subito molti stop-and-go e non è ancora detto che sarà realizzato. Tutti questi sono considerati “sistemi di sistemi”. E promettono di offrire stealth avanzato, integrazione dell’intelligenza artificiale e capacità di integrazione con droni. La Cina, dopo aver copiato l’F35 americano (questa l’accusa dell’aviazione Usa, e a vedere le immagini si capisce perché) vuole superare le capacità occidentali con la prossima generazione. Non sarà facile visto che da due anni a questa parte subisce limitazioni sui chip più avanzati. Anche se sta sviluppando una filiera Made in China anche in questo settore. La Russia dovrebbe sostituire il MiG-31 ma è molto indietro e al momento non ha progetti conosciuti in questo campo.