Gennaro Esposito, noto come “gennarino“, è uno chef tra i più famosi e premiati d’Italia. Ama la sua terra, la Campania, dalla quale trae spunto per le sue ricette originalissime ma in linea con la tradizione e le materie prime di qualità, specialmente pesce, ortaggi e formaggi, legate alla ricchezza del territorio.
Ha due stelle Michelin e nel 1992 ha inaugurato il suo primo ristorante “Torre del Saracino” alla marina di Seiano, frazione di Vico Equense, in provincia di Napoli. Ora la Campania è zona rossa e bar e ristoranti hanno abbassato le saracinesche. In Terris lo ha intervistato sulle difficoltà del momento e sulla futura ripartenza del settore ristorazione.
L’intervista allo chef Gennarino Esposito
Chef Gennaro Esposito, quando è iniziata la tua grande avventura culinaria?
“Lo scorso 31 marzo ho compiuto cinquant’anni, mezzo secolo! Ma se mi volto indietro vedo un ragazzo di quindici che si divide tra lezioni alla scuola alberghiera e fine settimana ed estati passate a tritare prezzemolo e pulire verdure nelle cucine di trattorie del mio paese. A quell’età sapevo che avrei fatto il cuoco, non sapevo come e dove. Così quando mi parlano di “fuoco sacro”, so che passa attraverso la ripetizione per migliaia di ore degli stessi gesti quotidiani. E so anche che una carriera necessita di coincidenze favorevoli e combinazioni fortunate”.
Quando è avvenuta la svolta della tua carriera?
“Era il novembre del 1991 e l’unica certezza che avevo era che non avrei fatto le stesse cose che facevano decine di ristoranti della Costiera. I quattro anni successivi sono fatti di lavoro, lavoro e lavoro, in attesa che accadesse qualcosa che potesse essere definito ‘la svolta’. Non potevo accontentare me stesso e la mia clientela con qualche abbinamento stravagante, con salse non in linea con la tradizione e materie prime di qualità, specialmente pesce, ortaggi e formaggi del territorio e che trovate ancora oggi nella mia carta”.
“E’ a questo punto che arrivano quattro durissimi mesi di stage da Gianfranco Vissani, fondamentali per capire che la cucina che avevo immaginato non fosse soltanto una chimerica ossessione, ma era invece lì, a portata di mano, di pensiero di capacità creativa, di indirizzo teorico e pratico, di felice realizzazione. Nascono allora o subito dopo alcuni piatti che hanno fatto la mia fortuna e che mi hanno dato visibilità nel panorama nazionale, come, ad esempio, la parmigiana di pesce bandiera o la zuppetta di ricotta di fuscella con le triglie. Il mio stile di cucina è rimasto questo: pescare dal territorio e costruire piatti che soddisfino i sensi e la mente dei miei clienti”.
Ora hai due stelle Michelin, ma la Campania è zona rossa. Stai vivendo gli stessi problemi di tanti altri ristoratori, anche meno famosi?
“In questo momento non ci sono ristoranti piccoli o grandi, ma solo situazioni difficili. Dobbiamo sostenerci in ogni modo per superare ‘a nuttata e le serie difficoltà che il virus ci ha messo davanti: il costo in vite umane e lo stop dell’economia. E’ necessario mettere in moto motori alternativi, ripensare il business della ristorazione in una direzione più green, più sostenibile, possibilmente a km zero. Quando ci risveglieremo da questo incubo, forse troveremo nuovi stimoli alla ripartenza e impareremo che non bisogna dare mai niente per scontato”.
In che senso?
“Questi ultimi anni per il mio settore, la ristorazione, sono stati anni d’oro, di grande crescita ed entusiasmo. Il turismo e la qualità dell’offerta turistica in Italia è cresciuta tantissimo. Se non ci fosse stato il coronavirus, il 2020 sarebbe stato un anno ancora più ricco e forte degli anni passati”.
Cosa pensi delle scelte del Governo di dividere l’Italia in tre zone distinte?
“Io rispetto le decisioni del Governo perché nei giorni scorsi ho visto tante persone a Napoli, troppe persone, che non seguivano le regole. Ora la Campania è zona rossa, il mio ristorante è fermo. Abbiamo tenuto aperto il più a lungo possibile, io sono sempre per tenere aperto, ma già quando eravamo zona gialla e tenevo aperto solo a pranzo, le spese erano insostenibili. Ora, poi, siamo completamente chiusi fino a nuovo ordine. E’ molto dura. Chi non ha alle spalle una situazione economica solida, rischia la bancarotta. Penso soprattutto a tutti quei locali che beneficiavano dei flussi turistici e quelli che lavoravano per fiere e congressi. E’ tutto fermo da settimane. Insomma, è molto difficile: tutti hanno famiglia, tutti hanno bisogno. L’aiuto dello Stato è fondamentale”.
Cosa pensi delle proteste di piazza anche violente che infiammano le città, non solo italiane, in questi giorni?
“Vedo gente che rivolta in strada cassonetti o che protesta con veemenza. Capisco la loro disperazione, ma il Governo è chiamato a prendere decisioni, anche dure, per proteggere il popolo da un nemico spietato. Credo che si debbano rispettare le decisioni del Governo, nonostante la fatica che io stesso sto vivendo in prima persona. Capisco le proteste, legittime. Ma non giustifico la violenza in nessun modo”.
Cosa chiederesti al Governo?
“Oltre a dei consistenti e rapidi aiuti economici, peraltro presenti nel decreto Ristori Bis, chiederei un atteggiamento imprenditoriale sulla ripartenza, che deve essere programmata e sostenuta agevolando le assunzioni, gli investimenti, l’accesso ai prestiti bancari e tagliando il cuneo fiscale. Misure che permetterebbero anche di far tornare il prima possibile i turisti: c’è un mondo lì fuori che non vede l’ora di poter tornare in Italia!”.
Cosa chiederesti invece ai tuoi concittadini?
“Oggi siamo chiamati tutti quanti ad avere un senso civico forte nel rispettare le norme. Perché col Covid chi rischia di più sono soprattutto i più deboli: gli anziani, i malati etc. Ma anche i più deboli economicamente: i poveri, gli emarginati, i disoccupati. Bisogna capire che le nostre azioni quotidiane, nel bene o nel male, ricadono anche su di loro”.
Il cibo ha una valenza sociale, oltre che salutare?
“Certo. Soprattutto in questo periodo così mesto, il cibo tiene compagnia a milioni di italiani. Durante il primo lungo lockdown, moltissimi italiani si sono dati alla cucina più lenta: impasti, pasta fatta in casa, ricette più laboriose che normalmente non avevano tempo di fare. Cucinare ha aiutato ad alleviare quel brutto momento e a cementare i legami familiari. In questo lockdown però dobbiamo cambiare qualcosa…”
Cosa?
“Il tipo di cucina deve essere più intelligente, indirizzandoci verso ricette più leggere, forse meno laboriose e ricche di ingredienti grassi. Perché, diciamoci la verità, in quelle settimane abbiamo messo su tutti qualche chilo. Questa volta non dobbiamo farci fregare!”.
Cosa stai facendo ora che il tuo ristorante è chiuso?
“Questo periodo di lockdown lo sto passando studiano per creare nuove ricette, sognando una ripartenza con grande motivazione. In questa fase creativa sono indirizzato verso ricette con ingredienti del territorio. Bisogna fare una spesa intelligente, anche per ottimizzare le risorse, guardando a quei prodotti che non siamo riusciti mai ad esaltare. Di gamberi e di ostriche ne abbiamo piene le tasche…Insomma, tornare alla cucina dei nostri nonni che, anche con poco, creavano grandi piatti. E’ questa la chiave del futuro: una cucina ecosostenibile che usa risorse alimentari facilmente rinnovabili, come le lumache”.
Hai fede, credi in Dio?
“Ho avuto un’educazione cattolica: sono cresciuto in oratorio, la mia famiglia frequenta la parrocchia. Io sono un ‘pessimo cristiano’ perché riesco ad andare poco a messa a causa degli orari lavorativi. Ma credo in Dio, amo il mio prossimo, credo nelle persone, ho fiducia nei giovani. Dio mi mette continuamente in discussione: la fede è un esercizio quotidiano che nessuno dovrebbe mai interrompere”.
Essere chef: lavoro o missione?
“E’ sia Lavoro che missione di vita, perché è un’opera di bene continua: nell’aiutare chi deve imparare a cucinare o nel dare del cibo al povero. Faccio anche opere di carità grazie al mio ristorante, ma preferisco non sbandierarle pubblicamente. Preferisco farle nel silenzio, per questo non ne parlo in pubblico”.
Hai un santo preferito?
“Ovviamente il mio nome mi riporta al santo di Napoli per eccellenza. San Gennaro è un santo atipico. Lui è un santo della strada, del popolo, trasversale: per tutti. E’ speciale perché è l’unico che ogni anno dà un segno della sua presenza: il miracolo del sangue! Proprio oggi mi hanno regalato un’immagine di san Gennaro sotto il Vesuvio che con la sua preghiera devia la lava lontano da Napoli. Credo possa essere un segno anche oggi, in pandemia”.
Potendo, che grazia chiederesti a san Gennaro?
“Gli chiederei che questo terribile coronavirus finisca il prima possibile. Gli direi: san Gennà pensaci tu!”.
Infine, vorresti regalare una ricetta ecosostenibile ai nostri lettori?
“Certo! Ve ne regalo una inedita: le palette [le foglie, ndr] della pianta del fico d’india. Fanno bene alla salute e si prestano a tanti tipi di preparazione: alla brace, alla pizzaiola, come insalata. Scegliete quelle più piccole che sono più morbide; togliete le spine e sbollentatele in acqua salata con un po’ d’aceto. Hanno un sapore molto particolare, tutto da scoprire! Parola di chef!”.