“Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq porterà grandi frutti nel dialogo ecumenico: si apriranno strade di amicizia, stima reciproca e collaborazione mai percorse finora”. E’ il pensiero del teologo Gianni Gennari intervistato in esclusiva da In Terris sulla continuità dell’impegno ecumenico da san Giovanni Paolo II a Papa Bergoglio.
Nato il 2 aprile 1940 a Roma, Gianni Gennari è un noto giornalista, teologo, studioso di santa Teresa di Lisieux. Ha collaborato, tra l’altro, a diverse testate Rai, a quotidiani vari, a mensili cattolici come “Jesus”. Ha tenuto per anni, a partire dal 1996, la rubrica Lupus in pagina su Avvenire, il quotidiano della Cei. Ha insegnato teologia morale in diverse università pontificie.
L’intervista al teologo Gianni Gennari
Professor Gennari, qual è l’importanza del viaggio del Papa in Iraq?
“L’importanza sta proprio nel fatto che questo viaggio sia stato realizzato. Era un desiderio di san Papa Giovanni Paolo II, che però – forse i tempi non erano maturi – non riuscì nell’intento. Bergoglio ha raccolto il suo testimone ed è andato a testimoniare l’amore fraterno di Dio nella terra di Abramo”.
Perché Papa Francesco è riuscito dove san Giovanni Paolo II aveva dovuto fermarsi?
“Forse perché un Papa visto dal mondo come il ‘potente’ che aveva sconfitto il comunismo (regime che realizzo l’esatto contrario di quanto promesso alle masse) era più difficile da accogliere come ‘fratello’. Al tempo di Wojtyla il dialogo tra religioni non era così radicato, ma solo agli inizi…”.
“Bergoglio, venuto quasi dalla fine del mondo, ha rivoluzionato l’approccio. Un Papa così tanto umile – non solo nel nome che richiama il poverello – che proclama che siamo tutti fratelli e che va ad abitare insieme ai poveri, agli ultimi, ai migranti…indipendentemente dalla fede che professano…è un Papa credibile agli occhi del mondo intero, dunque anche di quello islamico”.
C’è continuità tra questi due grandi Papi sul tema ecumenico?
“Assolutamente sì. Quello che ha iniziato San Giovanni Paolo II ha terminato Papa Francesco. Non dimentichiamo che Wojtyla ha avuto il merito di vivere e di far diventare centrale nella dialettica della Chiesa il tema dell’ecumenismo. Prima di lui, il parlare di ecumenismo -nel senso ampio del termine: la ricerca di un punto d’incontro fra le grandi religioni monoteiste – faceva storcere la bocca a molti…con lui è invece diventato un tema attuale, una strada percorribile. Papa Francesco, poi, dicendo che siamo tutti fratelli, ha fatto fare al dialogo tra le diverse religioni un grande balzo in avanti”.
Cosa intende Francesco dicendo “siamo tutti fratelli”?
“Il Papa si ricollega alla frase evangelica ‘ut omnes unum sint‘, [che tutti siano una cosa sola, ndr]. Non si tratta di un discorso esclusivamente clericale, ma anche umanistico e teologico. Una delle caratteristiche fondamentali del cristianesimo è l’identificazione dell’amore di Dio con l’amore verso il prossimo. In pratica, chi non ama il prossimo, non può dire di amare veramente Dio. Divinità e umanità sono così strettamente legati tra loro. Per esempio, Teresa di Lisieux disse di aver capito cosa è l’amore verso Dio quando capì cosa era l’amore verso i fratelli, non prima. ‘Beati gli ultimi perché saranno i primi’, dice Gesù. L’identificazione dell’ultimo con il primo è una grazia santificante. In definitiva, un Papa come Francesco che fa un discorso di amore unico per Dio e per il prossimo credo sia un Pontefice davvero credibile”.
Quali frutti porterà dal viaggio papale in Iraq?
“Io credo che porterà un’immensa grazia. Credo che si apriranno strade di amicizia, stima reciproca e collaborazione mai aperte finora. Il futuro però è in mano solo a Dio: è impossibile sapere oggi se e quali frutti porterà in futuro. Per questo è importante pregare per il Papa, per la Chiesa, per la gente: siamo tutti fratelli nelle mani del Signore!”.