I “genitori spazzaneve”, presenti in tutto il mondo occidentale, sono quelli moderni, troppo protettivi che si sostituiscono ai figli (imponendo i propri canoni) pur di non farli sbagliare e, possibilmente, primeggiare. La definizione deriva proprio dal voler eliminare e spazzar via qualsiasi ostacolo, pratico e mentale, che si dovesse porre dinanzi ai pargoli. Tali genitori privano i figli del significato di un eventuale insuccesso e la conseguente capacità di potersi rialzare. È proprio l’insegnamento di una caduta o di un fallimento (e la relativa abilità di reagire) che è fondamentale per una sana crescita del piccolo.
Egoismo genitoriale
Il ragionamento è anche egoistico: quello di eliminare qualsiasi imprevisto e, rendendo perfetta la vita dei figli, di conseguenza semplificare la propria. I giovani, spesso, accettano questa comoda attività di “pulizia” nei loro confronti e sono conniventi verso una strada apparentemente in discesa; in realtà è una salita ripida al primo problema. La convinzione, egoistica, di guadagnare tempo nello spianare ogni evento della vita di un figlio non sempre offre i risultati sperati. In primo luogo perché è impossibile non trovare impedimenti, seppur piccoli, nella gestione della vita quotidiana; in secondo luogo, tale ricerca esasperata conduce a una vita da stress, che coinvolge sia il genitore opprimente sia il bambino.
Contro gli esiti negativi
La competitività gioca un ruolo importante per il genitore che programma la vita del proprio figlio, assicurandosi che viaggi al massimo della potenza e sia motivo di vanto dinanzi al prossimo (considerato come rivale). L’eventuale fallimento di un progetto comporterebbe, per il genitore spazzaneve, anche un trauma a livello di immagine, con tutte le ripercussioni per se stesso e il figlio. In realtà, la paura dell’insuccesso nasconde un latente timore del genitore che, per primo, crede di non poter fronteggiare l’evento negativo. La scuola, vista come un percorso dove tutto deve filar liscio e consentire al pargolo di primeggiare, non deve contemplare note disciplinari o voti non eccelsi. La figura dell’insegnante, vista un tempo come positiva e formativa in caso di rimprovero per il figlio, ora è considerata come un ostacolo al raggiungimento dello scopo competitivo. A questi genitori, poco interessati all’offerta formativa della scuola e come si sviluppino le varie situazioni non solo didattiche (con la classe, i docenti, gli altri genitori), preme, primariamente, l’ottenimento del titolo con il massimo dei voti possibile.
Motivazioni competitive
L’eccesso di aspettative risposte nei figli, crea in loro un’ansia notevole e può innescare delle dinamiche autodistruttive sino a livelli tragici. Ai bambini perviene un messaggio di sfiducia: quasi un volersi sostituire a loro perché ritenuti incapaci di poter far fronte da soli. Ciò concorre, ovviamente, alla costruzione di una personalità insicura e fragile. Molti genitori spazzaneve non hanno motivazioni competitive: il loro cruccio, condotto all’eccesso, è di preservare i figli e cercare di fare il possibile per renderli felici, senza rendersi conto che, gestirne la vita privata (studio, amicizie, uscite, svaghi, abbigliamento), è più deleterio del lasciarli andare anche un po’ da soli e con gli amici.
Questione di… tempo
Linkedin, il noto social di carattere professionale, ha indicato, nel 48%, la percentuale dei genitori italiani che concedono ai propri figli di decidere, autonomamente, il proprio sviluppo universitario e professionale. Il sito www.nonsprecare.it riporta uno studio dello scorso anno, pubblicato dal settimanale Economist, in cui si afferma che il tempo trascorso da padri e madri, con i figli, è il doppio di 50 anni fa. In questa buona notizia deve, ovviamente, essere considerata la qualità del tempo trascorso, della giusta interazione non del convivere sotto lo stesso tetto, ognuno impegnato nelle proprie faccende tra smartphone, tv e videogiochi.
I dati
Ci sono anche altri dati da aggiungere al contesto in questione. Un report dell’Istat del 18 novembre scorso, riferito al 2018, dal titolo Conciliazione tra lavoro e famiglia, afferma che “nel 2018, 12 milioni 746 mila persone tra i 18 e i 64 anni (34,6%) si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani […] Fra i genitori occupati con figli minori di 15 anni il 35,9% delle madri e il 34,6% dei padri lamentano problemi di conciliazione tra il lavoro e la famiglia […] Il 38,3% di occupate 18-64enni con figli sotto i 15 anni hanno modificato aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia. Per i padri con le stesse caratteristiche il valore è 11,9%”. Un riferimento all’Europa “Nel 2018 circa 106 milioni di persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni hanno dichiarato di avere responsabilità di cura nell’Ue28”.
Sensibilità ed emotività
Per i genitori intrusivi sarebbe utile leggere le parole di Madre Teresa: “I figli sono come gli aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto”. La Santa aggiunse “i genitori devono essere affidabili, non perfetti. I figli devono essere felici, non farci felici”. La minor attenzione riposta, un tempo, nei confronti dei figli, si scontra con quella maggiore riscontrabile ai giorni nostri. La sensibilità verso l’emotività del figlio è arrivata a livelli notevoli, fino a scongiurare qualsiasi disappunto del bimbo, a viziarlo e a sostenerlo (sostituendosi) nelle attività più banali del quotidiano.
Incapacità di dialogo
Il paradosso: anche nel passato i genitori decidevano il futuro dei figli, sia per pregiudizi sulle attività lavorative, sia per impossibilità economiche (ricevendo, in cambio, un carico di mugugni e dispiaceri); tuttavia non si sostituivano a loro e li invitavano a incamminarsi da soli per altre strade. Ora decidono senza scontrarsi con i figli (che, in genere, accettano), si crogiolano in questo e non li lasciano procedere autonomamente. Molti giovani hanno anche perso, per inerzia o palese incapacità di dialogo e confronto, la voglia di contestare i padri e le madri. Hanno smarrito, altresì, la voglia e la capacità di rendersi utili, di collaborare.
Genitori onnipresenti
Un genitore deve saper stimolare un figlio, lasciarlo guidare dalla curiosità e dall’impegno, libero, cercando di incoraggiarlo nelle attività in cui riesce meglio che potrebbero essere le predisposizioni per attività lavorative del futuro e di lasciarlo anche commettere qualche errore di percorso, per capire la strada giusta e come saper ovviare. Questi genitori si sono sostituiti a tutti i tipi di educatori: quelli scolastici, religiosi, sportivi, artistici e musicali. La loro intrusività spazia, quindi, dalla scuola al lavoro, fino alla religione, le amicizie, l’amore, le attività sportive e ludiche. Si assiste, così, a una “generazione” di madri e padri assurti a educatori onnipresenti e onniscienti, convinti di incarnare la verità, anche in “conto terzi” e in grado di discernere, autonomamente, il bene dal male. La loro iattura principale è che i figli possano fallire, non eccellere economicamente e socialmente, con l’onta di accontentarsi di stipendi comuni o, peggio, rischiare di essere invischiati nella difficoltà economiche.