La nostra “casa comune” è tanto bella quanto fragile, e dobbiamo essere consapevoli di dovercene prendere cura. La diversità biologica è invece minacciata dal forte impatto delle attività umane. Secondo le Nazioni unite, i danni alla biodiversità e agli ecosistemi comprometteranno molto i progressi verso otto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, inoltre i tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati alterati in modo significativo dalle azioni umane.
Tra i i luoghi deputati alla cura degli habitat naturali, con le specie di piante e di animali che li abitano e instaurano in essi delle relazioni ecologiche, sono i parchi e le aree protette. Il 24 maggio è la Giornata europea dei parchi. Istituita per ricordare il giorno della fondazione dei primi parchi nazionali europei, nati in Svezia nel 1909, in Italia si svolge all’insegna dei cento anni compiuti dal sistema italiano delle aree protette. Nel nostro Paese ci sono oggi 24 parchi nazionali, 135 parchi regionali, 147 riserve naturali statali, 30 aree marine protette, circa 400 riserve regionali e una vasta rete di siti protetti, la maggior parte dei quali rientranti in Natura2000, una rete di siti di interesse comunitario (Sic) e di zone di protezione speciale (Zps) individuate da ciascun Stato membro dell’Unione europea. “In Europa siamo primi per biodiversità, abbiamo il maggior numero di specie animali e vegetali, tra esse 1.300 piante e 10mila animali sono endemiche, cioè vivono solo in Italia”, ha dichiarato il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri. “Il numero delle aree protette in Italia è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 50 anni, calcolando anche le aree della rete Natura 2000 (molte delle quali sono esterne alle aree protette) oggi raggiungiamo il 21% di territorio protetto a terra e il 16% a mare. Un’estensione importante, ma l’Europa ci indica l’obiettivo del 30% di territorio protetto sia a terra che a mare da raggiungere entro il 2030. Questo vuol dire aumentare di circa la metà la superficie protetta a terra e quasi raddoppiare quella a mare, uno sforzo non da poco ma che va affrontato”, ha analizzato Sammuri.
L’intervista
Per approfondire le tematiche legate alla diversità biologica e ai parchi, Interris.it ha intervistato Marco Galaverni, direttore oasi del Wwf.
Cos’è precisamente la biodiversità?
“E’ la ricchezza vita sulla terra, la diversità degli ambienti, delle specie animali e vegetali, così come la varietà genetica all’interno delle popolazioni. Biodiversità significa anche relazioni ecologiche e prospettiva evolutiva, quella che mostra come ai cambiamenti ambientali e specie reagiscano adattandosi”.
Qual è il trend dell’impatto antropico sulla diversità biologica, la stiamo danneggiando sempre di più o abbiamo invertito la rotta?
“Purtroppo a livello globale l’andamento è ancora negativo. Oggi un milione di specie, su 4-8 milioni esistenti, è a rischio estinzione, con una rapidità di scomparsa tra le 100 e le mille volte superiore al tasso naturale. Si registrano alcuni segnali speranza di speranza, comunque insufficienti, da quando in alcuni continenti l’azione di ‘saccheggio’ ha rallentato dopo secoli e per esempio in Italia sono quasi raddoppiati gli ecosistemi forestali”.
Qual è la specificità della biodiversità dell’Italia, la cui tutela è stata recentemente inserita nella nostra Costituzione, e qual è il suo attuale “stato di salute”?
“L’Italia è un ponte tra il Mediterraneo e le Alpi, tra l’Africa e l’Europa, e questi livelli di diversità collegati tra loro si riscontrano anche nella cultura, nei linguaggi e nel cibo. Ma nel nostro paese circa l’80% degli habitat e il 50% delle specie non si trovano, attualmente, in uno stato di conservazione favorevole. Alla luce dell’inserimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella Carta, il Wwf lancia la proposta di un garante per la natura. un ente super partes che monitori che quanto scritto nella Costituzione trovi effettivo riscontro”.
In Italia, secondo quanto riferito dal presidente di Federparchi Parchi Giampiero Sammuri, nei parchi e nelle aree protette vivono 1.300 piante e 10mila animali che si trovano solo nel nostro Paese. Inoltre il 21% del territorio italiano è sotto tutela, in vista di raggiungere quel 30% indicato dall’Unione europea. Che “quadro” dipingono questi dati?
“La strategia europea poggia su due elementi fondamentali. Uno è l’efficacia nel proteggere il proprio valore di natura, come può essere un parco individuato per tutelare dei particolari ecosistemi e delle particolari specie. L’altro è che queste situazioni siano al loro interno ecologicamente connesse. Il parco deve essere un sano connubio di conservazione e di ‘laboratorio a cielo aperto’”.
Le principali attività a tutela della biodiversità sono la conservazione degli habitat e insieme ricreare quelle condizioni per farle tornare a vivere da quelle specie che le popolavano in precedenza?
“Le due cose devono andare di pari passo, ma soprattutto dobbiamo smetterla con quelle attività che sappiamo essere particolarmente nocive per sia per biodiversità e che per nostra salute. Invece in agricoltura si fa ancora ricorso ai pesticidi, che impattano sistema nervoso di molti insetti impollinatori, tra cui le api. Ma almeno l’80% piante coltivate e il 90% delle piante selvatiche a fiore si possono riprodurre solo grazie agli impollinatori. Lo scorso 20 maggio è stata la Giornata mondiale delle api: il 40% delle api selvatiche, che consentono la sopravvivenza delle piante, è a rischio”.
Quanto sono importanti le popolazioni indigene e le comunità locali nella tutela della biodiversità?
“Fondamentale da due punti di vista. In moltissimi casi queste comunità hanno saputo trovare soluzioni diverse dalle nostre per vivere in equilibrio con le risorse territorio, con un approccio e delle conoscenze diversi dai nostri. E’ un ‘pozzo di sapere’ che rischia di andare perso, se si trovano a dover rispondere ai criteri della globalizzazione. Urge inoltre uscire da un’apparente contraddizione, quella cioè che sostiene che la protezione delle aree sia in conflitto con la presenza delle comunità locali e delle popolazione indigene: queste devono invece essere, con il loro sapere, parte integrante per esempio nella definizione di aree protette”.
In che modo la tutela o l’incuria della biodiversità impattano invece sulla nostra salute?
“Un grandissimo numero di report di istituzioni di alto profilo, come il Programma ambientale delle Nazioni unite (Unef) che hanno messo in luce con certezza la relazione tra le nostre azioni a danno della biodiversità e l’incremento del rischio trasmissione all’uomo di nuove zoonosi, quelle malattie infettive che possono essere trasmesse dall’animale all’uomo. La deforestazione di ambienti che ospitano animali con agenti patogeni, la costruzione di nuove strade, i mercati all’aperto e il commercio di specie esotiche sono un mix e se non lo affrontiamo, ci esponiamo al rischio di epidemie. Anche il cambiamento climatico aumenta fortemente la diffusione di patogeni la diffusione nuove epidemie”.
Quali sono le attività umane con un maggior impatto sulla biodiversità?
“I dati dell’International Panel on Biodiversity and Ecosystem Services ci dicono che le cinque principali cause dei danni alla biodiversità sono la frammentazione o la distruzione di habitat naturali quando si costruisce una nuova città o una già esistente si espande a scapito prateria; l’inquinamento luminoso o di altro tipo che degrada la qualità dell’habitat, il sovrafruttamento delle specie animali e vegetali – ne preleviamo più di quanto possano rigenerarsi e riprodursi naturalmente – , l’inquinamento dovuto all’uso di pesticidi plastici, il cambiamento climatico, che aumenta proprio impatto sulle altre cause, infine la diffusione specie non tipiche di un luogo. gli uomini le spostano e alterano equilibrio specie locali. Ma anche gli stili di vita che conduciamo hanno un impatto, se pensiamo che circa l’80% della deforestazione è per creare pascoli o coltivazioni soia e il 29% emissioni gas serra è dovuto alla produzione, al trasporto e alla distribuzione del cibo”.
Da oltre due decenni si tengono Conferenze delle parti sulla biodiversità: quali frutti hanno generato?
“Sono stati fatti passi in avanti come consapevolezza globale dell’importanza della biodiversità e firmati documenti d’indirizzo in cui si dicono cose fondamentali, ma nella pratica la strada da fare è ancora lunga. I finanziamenti per contrastare la crisi della diversità biologica sono ben lungi dal raggiungere la cifra necessaria. L’Ue si è dotata di strategia europea di biodiversità di cui uno dei punti importanti è l’obiettivo di raggiungere il 30% del territorio ecologicamente protetto, quei luoghi che la scienza ha identificato come indispensabili per non perdere biodiversità, e almeno il 10% di almeno aree protette a vario titolo”.
Il cambiamento della transizione ecologica può portare a risultati concreti o servirebbe un cambiamento ancora più importante del modello economico e produttivo?
“Non possiamo illuderci di perseguire una crescita materiale illimitata in un pianeta a risorse limitate, basti pensare che l’Italia ha terminato le sue risorse rinnovabili del 2022 il 15 maggio. Dobbiamo partire dal risparmio energetico insieme alla riduzione degli sprechi e pensare a delle soluzioni sempre più sostenibili, perché qualunque attività non compatibile con pianeta non è un’attività sostenibile. Nella sua enciclica Laudato Si’ papa Francesco lo tratteggiato in maniera molto attuale: noi dipendiamo dal Creato che ci ospita. La transizione ecologica non è solo transizione energetica – che è comunque fondamentale per avere fonti di energia senza avere effetti deleteri per l’uomo e per la biodiversità –,è anche un cambiamento di paradigmi. Possiamo passare alle auto elettriche, ma non possiamo pensare di avere sul nostro pianeta otto miliardi di auto elettriche: abbiamo dei limiti biofisici e dovremo ridurre sprechi e rivedere il nostro ‘spostarci’”.
Come far arrivare questo tema a diversi pubblici su diversi media?
“Conoscere le basi del nostro rapporto con natura e pianeta è doveroso e imprescindibile e la chiave sta nel partire dall’educazione. In tutti i cicli di istruzione ci devono essere momenti dedicati alla conoscenza dell’importanza della natura e la consapevolezza profonda che si tratta di cose fondamentali per le nostre vite e le nostre economie”.