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Saverio Gaeta: “Ecco cosa manca a Medjugorje”

Le problematiche e la complessità delle presunte manifestazioni mariane su cui la Chiesa non ha dato ancora un giudizio definitivo. Oggi si celebra il 40esimo anniversario della prima apparizione

Guarda, la Gospa!“, che vuol dire Madonna in lingua croata. E’ questa l’esclamazione pronunciata da Ivanka il 24 giugno 1981 quando si trovava nel paese di origine dei suoi genitori, Medjugorje, insieme alla sua amica Mirjana. All’inizio la sua amica non le credette, ma poi insieme ad altri amici tornarono a recarsi sul Podbrdo e da allora i veggenti, nel frattempo sei (con Ivan, Jakov, Vicka e Marija), hanno continuato a riferire di queste apparizioni, circa 51mila in quarant’anni.

La commissione internazionale voluta da Ratzinger

Dal 17 marzo 2010 al 17 gennaio 2014, per volontà di Benedetto XVI, veniva istituita una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Oltre all’ex presidente della Cei, vi hanno fatto parte i cardinali Jozef Tomko, Vinko Puljić, Josip Bozanić, Julián Herranz, e Angelo Amato. Insieme a loro lo psicanalista Tony Anatrella, i teologi Pierangelo Sequeri, Franjo Topić, Mihály Szentmártoni e Nela Gašpar, il mariologo Salvatore Perrella, l’antropologo Achim Schütz, il canonista David Jaeger, il relatore delle cause dei santi Zdzisław Józef Kijas, lo psicologo Mijo Nikić e l’officiale della dottrina della fede Krzysztof Nykiel. Hanno avuto il compito di “raccogliere ed esaminare tutto il materiale” su Medjugorje e di presentare “una relazione dettagliata” col relativo voto circa “la soprannaturalità o meno” delle apparizioni oltre a indicare le “soluzioni pastorali” più opportune. La commissione si è riunita 17 volte, ha vagliato tutta la documentazione depositata in Vaticano, nella parrocchia di Medjugorje e anche negli archivi dei servizi segreti dell’ex Jugoslavia. Ha ascoltato tutti i veggenti e i testimoni, e nell’aprile 2012 ha svolto un sopralluogo nel paesino dell’Erzegovina.

Vere le prime 7 apparizioni

La commissione ha rilevato una differenza molto netta tra gli inizi del fenomeno e il suo successivo sviluppo. E ha così deciso di esprimersi con due voti distinti sulle due diverse fasi: le prime 7 presunte apparizioni, avvenute tra il 24 giugno e il 3 luglio 1981, e tutto ciò che è successo dopo. I membri e gli esperti si sono espressi con 13 voti a favore del riconoscimento della soprannaturalità delle prime visioni. Un membro ha votato contro e un esperto ha espresso un voto sospensivo. La commissione sostiene che i sei ragazzi veggenti erano psichicamente normali, sono stati colti di sorpresa dall’apparizione, e in ciò che raccontano di aver visto non c’è stato alcun influsso esterno da parte dei francescani della parrocchia o di altri soggetti. Hanno resistito nel raccontare quanto avevano visto nonostante la polizia li avesse arrestati e minacciati di morte.

L’intervista

“Le presunte apparizioni di Medjugorje sono le più complesse e problematiche della storia. Solo un aiuto dal cielo, un’illuminazione, potrà permettere a chi deve giudicare su questa cosa definitivamente di dare un parere autorevole”. A parlare è Saverio Gaeta, giornalista, vaticanista e scrittore, autore del libro Dossier Medjugorje (San Paolo) nel quale viene riportata in forma integrale la relazione della commissione internazionale guidata dal card. Ruini. Interris.it lo ha intervistato.

Quattro anni di lavoro della commissione internazionale hanno portato alla conclusione che 7 apparizioni (quelle dal 24 giugno al 3 luglio 1981) apparizioni della Vergine Maria a Medjugorje sono soprannaturali. Perché la commissione si è concentrata principalmente su questo primo periodo?

“La commissione ha parlato di 7 delle prime 10 apparizioni, senza specificare quali sono, risulta un po’ oscuro. La commissione ha concentrato le sue valutazioni sulle prime dieci apparizioni (6 sulla collina, una a Cerno e tre in parrocchia) perché sono i dieci giorni in cui c’erano la maggior parte delle testimonianze. Dopo iniziano ad essere apparizioni un po’ meno precise dal punto di vista delle testimonianze di altri presenti che potessero confermare o smentire. Inoltre, nel prosieguo del tempo, se le contiamo una ad una, le apparizioni sono circa 51mila. Realisticamente è impossibile verificarle una ad una. Secondo la mia ricostruzione, penso che la commissione si sia concentrata sulle apparizioni dal 25 giugno, esclusa quella del 24 considerata un po’ una premessa e i ragazzi non parlarono con l’apparsa, al 1 luglio giorno in cui i ragazzi vanno in parrocchia per le apparizioni. Questo testimonia il passaggio dall’esterno all’interno, dalla collina alla Chiesa. La commissione non ha valutato le altre negativamente. E’ capitato anche in altre località che la Chiesa ha approvato solo una prima parte di apparizioni, non bisogna dare per forza un giudizio su tutto”.

Mons. Pavao Žanić prima, e mons. Ratko Perić dopo, hanno guidato la diocesi di Mostar. Sembrerebbe che entrambi non abbiano mai creduto alle apparizioni della Vergine a Medjugorje. Cosa potrebbe aver suscitato in loro dei dubbi?

“Dobbiamo considerarli molto simili come atteggiamento. Mentre Žanić era vescovo a Mostar, Perić era il rettore del collegio croato a Roma e sostanzialmente era colui che teneva i rapporti tra la diocesi di Mostar e il Vaticano. Il motivo per cui questi due vescovi siano stati così tenacemente contrari a Medjugorje, francamente, non lo conosce nessuno. Le ipotesi sono diverse. La prima che Žanić, dopo i primi mesi in cui sosteneva Medjugorje – tanto che era arrivato a scrivere al presidente della Repubblica federale di Jugoslavia per lamentare tutte le critiche del regime ai ragazzi – cambiò improvvisamente idea, forse per una sua convinzione che i ragazzi fossero dei mentitori. La seconda motivazione è il conflitto fra i francescani e il clero locale per la gestione delle parrocchie, tensione che si era verificata negli anni precedenti alle apparizioni. Il vescovo ha sempre pensato che la Madonna fosse apparsa per risolvere questo conflitto, perché per lui era un problema serio. I ragazzi di Medjugorje, invece, dicevano che Maria affermava che il vescovo esagerava con il suo comportamento verso i frati. L’altro problema che è stato posto come ipotesi, è che il potere comunista in quel periodo esercitava sul vescovo, ma di questo non ne sappiamo molto. L’ipotesi è che lo avessero minacciato”.

“Preferisco la Madonna Madre che non la Madonna capo di ufficio telegrafico che ogni giorno invia un messaggio”. Sono le parole di Papa Francesco. Cosa ha voluto dire secondo lei?

“Papa Francesco, quando disse queste parole, lo fece tornando dal viaggio a Fatima. Chiarì che era un’opinione personale. Dopo diversi mesi, Chiara Amirante dichiarò, che dopo aver dialogato diverse volte con il Pontefice, lui stessa l’aveva autorizzata a dire che quella che lui aveva espresso come opinione personale era nata da un’informazione non corretta. Dichiarazione quella di Chiara Amirante, persona affidabile, mai smentita o confermata dal Vaticano”.

Nel 2017 il Pontefice ha inviato mons. Henryk Hoser per verificare come gestire le necessità dei pellegrini. Che rischi correvano dal punto di vista della fede?

“Il vero problema è che non c’è mai stata una pastorale organica nei confronti dei pellegrini e il motivo è dovuto al rapporto del vescovo locale con la parrocchia. In tutti gli anni in cui c’è stato un vescovo ‘ostile’, praticamene fino allo scorso anno, i parroci, i frati, avevano il divieto di parlare delle manifestazioni mariane, se disubbidivano, il vescovo gli toglieva il permesso di stare lì. Questo ha impedito una pastorale organica, ossia che si facesse un lavoro di approfondimento sulle tematiche che la Regina della Pace – ammesso che queste apparizioni siano vere, perché fino a che la Chiesa non si pronuncia bisogna dire presunte – proponeva nei suoi messaggi. Il motivo dell’invio di Hoser è stato proprio legato a questo. Per varie vicissitudini – la pandemia, l’età avanzata di Hoser che poi si è anche ammalato di Covid – alla fine, non si capisce ancora chi deve occuparsi di questa pastorale. I pellegrini hanno bisogno non solo di essere guidati nella comprensione della vicenda Medjugorje, ma ancor più devono essere aiutati e guidati a comprendere come vivere tutto questo una volta tornati a casa. Uno va a Medjugorje, fa un pieno di benzina spirituale, torna a casa. E’ lì che deve andare a mettere in pratica tutto ciò che a Medjugorje ha vissuto”.

Nel suo libro “Dossier Medjugorje” lei ha riportato relazione finale della commissione istituita dal Papa Emerito Benedetto XVI e presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Papa Francesco però non si è ancora espresso su questo tema. Quale potrebbe essere il motivo?

“Penso che difficilmente durante questo pontificato verrà data una dichiarazione finale sulla veridicità o meno delle apparizioni mariane a Medjugorje. E’ complicato, difficile e credo non sia nelle priorità di Papa Francesco. Ovviamente, non ho nessuna competenza per dirlo in maniera totale, ma è una mia opinione in base agli sviluppi che ho visto. Penso che Medjugorje sia la più complicata, complessa e problematica manifestazione mariana in duemila anni di cristianesimo, ha tante questioni irrisolte, compresa quella dei dieci segreti che dovranno essere rivelati prima del loro verificarsi. Forse Papa Francesco sta più pensando a come definire la struttura del luogo, magari creando un santuario, che possa avere un rettore o un vescovo legato alla Santa Sede”.

Nel 2019 il Pontefice ha dato la sua approvazione per organizzare ufficialmente i pellegrinaggi a Medjugorje. Lo scorso mese di maggio, invece, Medjugorje è stato inserito tra i luoghi scelti per la maratona di preghiera per chiedere la fine della pandemia, come se fosse stato messo sullo stesso piano di Fatima, Loreto, Nazareth. L’inizio di una nuova pagina di storia?

“Forse potrebbe essere un primo passo verso un riconoscimento, ma dobbiamo tenere presente che la Chiesa ha un diritto canonico, delle regole che devono essere rispettate. Medjugorje, per la maratona di preghiera per la fine della pandemia, è stata inserita nell’elenco dei santuari dove si è recitato un rosario, ma di fatto non c’è nessun decreto che la definisce santuario. E’ come una dichiarazione di fatto, ma non di diritto, che sarebbe di fatto indispensabile. L’apertura a fare pellegrinaggi è un fatto positivo, perché ha chiarito che chi va a Medjugorje non è un ‘disobbediente’ ma un pellegrino che va dove si respira un’aria di grazia. Questo fermo restando che Medjugorje è un’esperienza da vivere sul luogo, però la cosa fondamentale è una pastorale che aiuti tutti i pellegrini a vivere quella spiritualità una volta rientrati nelle loro case”.

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