Cambiamento climatico, siccità, tutela dei piccoli e medi produttori, internazionalizzazione delle eccellenze agroalimentari, nuovi mercati con i paesi in via di sviluppo, politiche agricole comuni. Per il settore primario è un presente ricco di sfide, problematiche e nodi da sciogliere. Ne abbiamo parlato con Andrea Tiso, presidente nazionale della Confeuro, la Confederazione degli Agricoltori Europei e del Mondo. Costituita nel settembre del 2001 per rispondere e porre in essere iniziative tese a favorire i piccoli produttori agricoli e le medie imprese del sistema primario e dell’indotto, la Confeuro vuole dare voce anche ai cittadini, che si domandano, tra l’altro, le ragioni dell’altalena dei prezzi dei prodotti dell’agricoltura, del loro coefficiente di nutrizione, della sicurezza e dell’eccellenza certificata. Alla confederazione aderiscono 95 Associazioni Territoriali e 21 organismi strutturati a livello nazionale, con una base associativa di oltre 300 mila soci con circa 500 mila unità produttive.
Presidente Tiso, il G7 agricoltura che si svolgerà ad Ortigia, in Sicilia, cosa rappresenta per l’Italia?
“Partiamo dalle note liete. A mio giudizio, il G7 Agricoltura, che si svolgerà a Siracusa, nell’isola di Ortigia, rappresenta senz’altro un’occasione di rilancio e promozione fondamentale per il settore primario. Stiamo parlando, infatti, di un evento di caratura mondiale, al quale prenderanno parte centinaia di stakeholders e operatori in rappresentanza delle eccellenze nazionali dell’agricoltura, della pesca, dell’acquacoltura e del settore vivaistico/forestale. E saranno tanti i temi portanti del prossimo G7: dalla innovazione tecnologica alla cooperazione con Paesi in via di sviluppo, dalla reciprocità dei commerci alla riaffermazione del ruolo dell’agricoltura e della pesca nella produzione di cibo di qualità e nella gestione dei territori. Ci auguriamo comunque che possa essere l’occasione propizia per cercare di trovare soluzioni condivise sulle problematiche che attanagliano il settore primario che, volendole guardare su scala mondiale, così come il G7 dovrebbe fare, sono innanzitutto l’esigenza di produrre di più utilizzando meno risorse naturali e garantire a livello globale il principio della reciprocità delle produzioni inteso in termini di rispetto degli standard qualitativi minimi e di tutela dei diritti umani delle produzioni agricole.
Qual è la missione dell’Italia a questo g7?
“Guardi, non parlerei di mission quanto piuttosto di avere il coraggio di affrontare e risolvere finalmente i veri problemi e le grandi criticità che attanagliano la nostra agricoltura. E il g7, come detto poc’anzi, può dimostrarsi davvero un momento di profonda riflessione sulle criticità agricole. E le garantisco che i nodi sono davvero tantissimi: da una totale inversione di rotta sulla Pac, la politica agricola comune, all’applicazione di politiche mirate che promuovano la sostenibilità economica, sociale ed ambientale del settore: in particolare, pensiamo alla necessità di un nuovo pacchetto europeo di aiuti per le aziende del comparto primario, riguardanti le assicurazioni a tutela del reddito agricolo. In questa ottica, il governo italiano dovrebbe farsi vero promotore a Bruxelles. Sul fronte interno, invece, la premier Meloni e il ministro Lollobrigida, dovrebbero non sottovalutare gli effetti connessi al cambiamento climatico, e quindi contrastare la siccità e la crisi idrica in atto in Italia e nel Meridione, in particolare in Sicilia, dove si svolge proprio il G7… infine ma non meno importante, si dovrebbe lavorare di più e meglio sul marketing commerciale, sull’aspetto economico e sulla valorizzazione dei prodotti agroalimentari attraverso una vera e propria ristrutturazione del sistema fieristico italiano che rappresenta un volano imprescindibile per l’internazionalizzazione dei nostri prodotti e l’accesso al mercato delle Pmi del settore primario ma ad oggi, a parte qualche grande evento, come quello di Ortigia, nel Sud Italia risulta in grande crisi”.
I lavoratori del comparto agricolo sono sufficientemente tutelati nel nostro Paese?
“Dunque, la tutela dei lavoratori del settore agricolo nel nostro Paese presenta senza dubbio diverse sfide. Da una parte, esistono provvedimenti che garantiscono diritti fondamentali come la sicurezza sul lavoro, la retribuzione e l’accesso ai servizi sociali. Dall’altra, sussistono ancora gravi problematiche, come il lavoro stagionale irregolare, che possono portare a sfruttamento e mancanza di protezioni adeguate. In alcune aree, i lavoratori agricoli, in particolare migranti, possono trovarsi in situazioni vulnerabili, con limitata accesso ai diritti lavorativi e alla sicurezza sociale, dando realtà a un fenomeno illegale e terribile come quello del caporalato. Vere e proprie storie di sfruttamento e lavoro nero, che spesso si trasformano in tragedia, come accaduto nel giugno scorso, in provincia di Latina, a Satnam Singh. In questo contesto, Confeuro condanna senza ‘se’ e senza ‘ma’ questo sistema di schiavitù moderna e ricorda come più volte abbia sollecitato le istituziona a contrastare il caporalato con azioni maggiormente incisive e concrete. L’auspicio dunque è che si continui a operare contro ogni forma di sfruttamento e illegalità, sia aumentando controlli e verifiche (soprattutto da parte dell’ispettorato del lavoro), sia alimentando una nuova rivoluzione culturale, fondata sulla tutela dei diritti fondamentali della persona e sul rispetto delle norme legate alla sicurezza dei luoghi. Su questo ultimo punto, un ruolo maggiormente incisivo dovrebbero averlo anche le parti sociali, ma la sindacalizzazione nel settore agricolo, a mio giudizio, è divenuta debole, rendendo più difficile per i lavoratori rivendicare i propri diritti. In sintesi, sebbene ci siano strumenti legislativi, la loro attuazione e l’effettiva protezione dei lavoratori agricoli sono ancora problematiche da affrontare e risolvere”.
Quali le principali differenze con il resto dei Paesi Ue a livello di lavoro agricolo e aziende?
“Siamo di fronte a domanda complessa, su cui bisogna evitare di fare facili generalizzazioni. Quello che mi sento di dire è che alcune principali differenze tra l’Italia e gli altri paesi dell’UE a livello di lavoro agricolo e aziende si possono rintracciare nella struttura stessa di quest’ultime. Ad esempio, nel BelPaese – ma anche in Francia e Spagna, quindi il blocco mediterraneo, seppur in minor percentuale – predominano imprese agricole di piccole e medie dimensioni, spesso a conduzione familiare. Questo modello, chiaramente, favorisce la diversificazione delle coltivazioni e la produzione di prodotti tipici. Mentre, in altri paesi, come i Paesi Bassi o la Germania, ci sono aziende di dimensioni maggiori e più industrializzate, che si concentrano su produzioni di massa e agricoltura intensiva (allevamenti bovini, latte, frumento tenero). In Italia, al contrario, abbiamo la presenza di prodotti tipici ed eccellenze agroalimentari di qualità (come vino, olio d’oliva, formaggi), con una grande varietà di produzioni regionali. Viceversa, altre realtà europee sono più orientate verso la monocultura o la produzione di beni a grande scala (ad esempio, cereali, carne). Dunque, tra i paesi europei esiste una grande differenziazione di produzione agricola e una netta diversificazione degli interessi commerciali, che influenzano la competitività, la sostenibilità e l’evoluzione del settore. Per quanto riguarda, invece, le condizioni lavorative delle aziende agricole, il tema è ampio, variegato e complesso. Certamente possiamo rintracciare alcune similitudini, come la difficoltà di molti paesi Ue nel garantire un reddito sufficiente, ossia pagare il prodotto agli agricoltori in maniera equa e dignitosa. Un problema trasversale e che non inizia certamente oggi, come dimostrano le proteste dei trattori di alcuni mesi fa, in nazioni come Italia, Francia, Spagna e Germania, solo per citarne alcune. Altra criticità condivisa è legata poi alla tutela delle eccellenze agroalimentari europee nel commercio internazionale: cosa che purtroppo non avviene in toto visto e considerato che, soprattutto dai porti del Nord Europa, entrano spesso merci extra Ue ma spacciate come europee, che costano la metà e hanno qualità ridotta: una concorrenza sleale che danneggia economicamente sia le aziende agricole italiane che quelle degli altri paesi europei. Ultimo elemento, ma non meno importante, che “accomuna” il settore agricolo europeo è la questione dei cambiamenti climatici che si avvertono non solo nel nostro territorio ma anche in Francia, Spagna, Germania e nel resto d’Europa: un tema che tira in ballo il delicato capitolo del reddito agricolo, sostenuto dalle assicurazioni”.
Uno dei focus principali del G7, sarà la promozione dello sviluppo agricolo dell’Africa. È possibile tramandare ed esportare le nostre conoscenze in questo campo e far prosperare anche l’Africa?
“Assolutamente sì, uno degli obiettivi principali del G7 di Ortigia è la valorizzazione e la promozione dello sviluppo agricolo dell’Africa, come peraltro previsto dal cosiddetto piano Mattei, progetto di diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimento voluto dal governo Melini per rafforzare e rinnovare i legami con il continente. Il Piano dovrebbe prevedere lo sviluppo di nuovi progetti, il trasferimento di competenze e tecnologie alla avanguardia, nonché il sostegno attivo ad iniziative già in corso, condividendo con gli Stati africani le fasi di elaborazione, definizione e attuazione, con l’obiettivo di portare un effettivo valore aggiunto alla popolazione locale e una effettiva autosufficienza alimentare. Dunque, se vista in questa ottica, la cooperazione potrebbe rappresentare davvero un aspetto fondamentale, soprattutto per un territorio come l’Africa che merita attenzione, contrasto alla povertà e sicurezza alimentare. Poi, bisognerebbe comprendere con precisione se ci sono altri obiettivi da parte del nostro Paese. Vedremo cosa uscirà fuori dal focus di Ortigia”.
Vuole fare una sua conclusione?
“Guardi, più che fare conclusioni, mi auguro che possa esserci un ‘nuovo inizio’ nella tutela dei piccoli e medi agricoltori italiani ed europei. È proprio di pochi giorni fa, ad esempio, l’ufficializzazione della nuova squadra del commissario europeo Von der Leyen, in particolare la nomina alla Agricoltura del lussemburghese Hansen, a cui spetterà il compito di rilancio il settore primario. L’auspicio, che ha sapore di sollecitazione istituzionale, è che questo mandato possa davvero rappresentare una nuova fase per il settore agricolo Ue, in cui – dopo anni di immobilismo politico – le esigenze dei produttori e la sostenibilità economica ed ambientale siano finalmente messe al centro dell’agenda politica. In definitiva, al fine di guardare in prospettiva alle esigenze ed alla tutela del settore primario bisogna intervenire con urgenza con un piano straordinario di ristrutturazione ed ampliamento delle reti idriche e rafforzare decisamente la posizione del produttore nella catena del valore dei prodotti. Non deve essere più consentito che all’agricoltore vada meno del 10% del prezzo pagato dal consumatore per un prodotto alimentare”.