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Il futuro delle balene, tra tutela e clima che cambia

Dalle balenottere alle balene pilota, il destino dei cetacei appare sempre più legato all'impatto antropico. L'esperto: "Qualcosa possiamo fare..."

Giganti fragili. E non certo per qualche loro insolita caratteristica. La fragilità, semmai, è quella che lo sviluppo antropico ha apportato al loro ambiente naturale, quel mare che in teoria andrebbe tutelato, portando i rischi per la conservazione delle specie a livelli sempre più alti. Praticamente in proporzione all’estensione dell’impatto dell’uomo sugli oceani. La Giornata mondiale dedicata alle balene (ma ai cetacei in generale), in questo senso, contribuisce ad accendere i riflettori su un tema che, troppe volte, balza all’attenzione delle cronache nel momento in cui le conseguenze dell’influenza umana sugli ecosistemi emerge nelle sue conseguenze peggiori. Le quali, nel caso delle balene, consistono nei fenomeni di spiaggiamento, di inquinamento da plastiche e reti da pesca abbandonate e nell’incidenza dei cambiamenti climatici sulla stabilità dell’ambiente marino.

I fenomeni di spiaggiamento

Aspetti non meno pericolosi della caccia, ancora presente (ad esempio in Islanda, che ha concesso nuovamente l’autorizzazione nel settembre scorso, dopo una breve sospensione estiva) ma decisamente più limitata rispetto a qualche decennio fa. Chiaramente, i fenomeni di spiaggiamento, così come gli incidenti con materiale plastico o reti illegali, non riguardano solo gli esemplari di maggiori dimensioni. Basti pensare ai due distinti episodi del luglio 2023, in Scozia e in Australia, che hanno visto coinvolti grossi banchi di globicefali (noti anche come balene pilota) arenatisi in gruppo. Nella maggior parte dei casi, il fenomeno dello spiaggiamento riceve un contributo antropico, a cominciare dall’utilizzo di sonar subacquei e da altri strumenti in grado di interferire con la percezione sensoriale dei grandi cetacei.

Parla l’esperto

Valerio Manfrini è un biologo “da campo”. Anzi, da riva e da mare. Da venticinque anni attivo nello studio dei cetacei e delle tartarughe (con un dottorato di ricerca in Biologia ambientale ed evoluzionistica), ha collaborato e collabora con associazioni ed enti del settore, con oltre 180 interventi su esemplari spiaggiati di cetacei (non solo balene), tartarughe, squali e altri vertebrati marini. Un’attività di monitoraggio ambientale che, negli anni, lo ha portato faccia a faccia con gli effetti più evidenti dell’interazione tra uomo e mare. Incluso quello “nostrum”, dove pure è presente una delle aree protette più importanti del mondo, come quella di Pelagos.

Dottor Manfrini, qual è lo stato di salute dei cetacei nel Mediterraneo?
“Chiaramente bisognerebbe fare dei distinguo, confronti col passato e con altri Paesi, considerare le diverse specie e popolazioni, e gli areali in cui vivono. Tuttavia, molti degli spiaggiamenti di cetacei che si verificano sulle coste italiane sono determinati dall’inquinamento chimico che comporta il bioaccumulo e la biomagnificazione di xenobiotici (sostanze estranee di varia natura) nei tessuti di questi animali indebolendone le difese immunitarie, dalla presenza di detriti solidi/microplastiche (circa 1/3 dei capodogli che si spiaggiano presentano plastica o rifiuti nello stomaco), dalle catture accidentali causate dall’utilizzo di attrezzi da pesca poco selettivi (per es., le reti usate per catturare tonni e pesci spada), dagli impatti con le grandi imbarcazioni, da varie forme di inquinamento acustico solo per citare alcune delle cause di origine antropica e senza considerare quelle naturali, come la predazione o le malattie congenite. Possiamo dire, quindi, che i cetacei non se la passano bene”.

Oltre agli effetti antropici diretti, anche quelli a lungo termine, come il contributo al cambiamento climatico, hanno un impatto sui cetacei?
“Come per tutte le forme di vita sul pianeta anche per i cetacei l’innalzamento delle temperature comporta gravi effetti. Per esempio, il surriscaldamento dei mari può alterare la quantità e la distribuzione del plancton, di cui si cibano i grandi misticeti come le balene, balenottere e megattere determinando l’abbandono di aree di alimentazione e il cambiamento delle rotte migratorie con tutto ciò che ne può conseguire”.

Ad esempio?
“Recentemente, con alcuni colleghi abbiamo pubblicato un lavoro sul giovane esemplare di balena grigia che nel 2021 fu avvistato in acque italiane. Prima di allora questa specie non era mai stata avvistata nelle nostre acque e l’unico precedente in Mediterraneo risale al 2010 quando un esemplare fu visto nuotare in acque israeliane e spagnole. La balena grigia vive nell’Oceano Pacifico settentrionale e le temperature sempre più alte potrebbero aver aperto nuove vie nel Mar Glaciale Artico consentendole di giungere nell’Atlantico e da qui in Mediterraneo”.

Cosa si sta facendo per la conservazione dei cetacei?
“In Italia sono presenti 30 Aree marine protette (AMP). Tra queste occupa sicuramente una posizione di rilievo il Santuario Pelagos istituito nel 1991. Il Santuario ha un’estensione di ca. 90.000 km2 ed è la più grande AMP del Mediterraneo; si estende tra il territorio francese, monegasco e italiano. Nel 2002, il Santuario è stato ufficialmente riconosciuto come Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo. Inoltre, la legislazione nazionale e internazionale volta alla salvaguardia e alla protezione dei cetacei è numerosa”.

Di quali interventi legislativi parliamo?
“Cito solo alcuni esempi: la convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES), l’Accordo ACCOBAMS – firmato da quasi tutti i Paesi del Mediterraneo – col quale si vuole eliminare o ridurre al minimo gli effetti delle attività antropiche sulla sopravvivenza dei cetacei nel bacino e la Direttiva 92/43 CEE ‘Habitat’ relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi-naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”.

Qualcosa, quindi, possiamo fare anche noi…
“Nel nostro piccolo, dobbiamo avere comportamenti volti al rispetto dell’ambiente. Non abbandonare rifiuti sulla spiaggia o in mare, acquistare detersivi con tensioattivi biodegradabili, consumare tonno e altre specie pescate in modo responsabile. Ovvero che non abbiano comportato le cosiddette catture accidentali di delfini, tartarughe marine, uccelli o squali e tanti altri piccoli gesti ma dall’importanza enorme soprattutto come valore educativo per le nuove generazioni”.

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