Papa Francesco esorta l’umanità a trasformare le frontiere in “finestre di conoscenza“. Al progetto europeo “Snapshots from the Borders” (“Voci ed esperienze dai confini“), il Papa ha ricevuto il sindaco di Lampedusa e Linosa, Salvatore Martello. Nessuno può rimanere indifferente alle tragedie umane che continuano a consumarsi in diverse regioni del mondo. Drammi individuali e collettivi che hanno come teatro il Mediterraneo. Un mare di confine. Ma anche di incontro di culture. “Non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso– raccomanda il Pontefice- Tra coloro che nell’area del Mediterraneo più faticano, vi sono quanti fuggono dalla guerra. O lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo – ha ricordato Francesco. Siamo consapevoli che in diversi contesti sociali è diffuso un senso di indifferenza. E perfino di rifiuto. La comunità internazionale si è fermata agli interventi militari. Mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità. E luoghi nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune“.
Sos frontiere
Secondo il Papa “l’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile”. Tuttavia è “impensabile poterlo affrontare innalzando muri“. Di fronte a queste sfide “appare evidente come sono indispensabili la solidarietà concreta e la responsabilità condivisa. A livello sia nazionale che internazionale. L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza. Siamo tutti legati, gli uni agli altri. Sia nel male che nel bene. Bisogna agire insieme. Non da soli”. “Le frontiere, da sempre considerate come barriere di divisione, possono invece diventare ‘finestre’. Spazi di mutua conoscenza. Di arricchimento reciproco. Di comunione nella diversità. Possono diventare luoghi in cui si sperimentano modelli. Per superare le difficoltà che i nuovi arrivi comportano alle comunità autoctone“, sottolinea Jorge Mario Bergoglio. Lo scenario migratorio attuale è “complesso”. E spesso “presenta risvolti drammatici“.
Cambiamento
Le interdipendenze globali che determinano i flussi migratori sono da studiare. E da capire meglio. “Le sfide sono molteplici e interpellano tutti- sostiene il Pontefice-. Sono indispensabili la solidarietà concreta e la responsabilità condivisa. E’ anche fondamentale cambiare il modo di vedere e raccontare la migrazione. Si tratta di mettere al centro le persone, i volti, le storie. Ecco allora l’importanza di progetti che cercano di proporre approcci diversi. Ispirati dalla cultura dell’incontro che costituisce il cammino verso un nuovo umanesimo“.
Divario Nord-Sud
La libertà di movimento, di viaggiare è segno di potenza. Il passaporto è un viatico per il Paese che lo emette. E anche in questo campo si allarga il divario fra il Nord e il Sud del mondo. A farla da padrone sono i Paesi più ricchi. Con in testa il Giappone e Singapore. I cui cittadini hanno diritto a passaporti che aprono le porte a ben 192 Paesi del mondo. La classifica per il 2022 è stilata dalla società di consulenza americana Henley & Partners. E si basa sui dati forniti dall’Associazione internazionale del Trasporto aereo (Iata). Una graduatoria che non tiene conto delle restrizioni ai viaggi o sconsigli legati alla pandemia di Covid. O ad altre cause contingenti. Nella classifica in generale dominano i Paesi europei. In seconda posizione ci sono ex aequo Germania, primo fra i Paesi europei, e Corea del Sud (190 Paesi). Mentre l’Italia si trova al terzo posto a pari merito con Finlandia, Lussemburgo e Spagna (189).
Il “peggiore” passaporto
Seguono in quarta Austria, Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Svezia (188), e così via. Per trovare gli Stati Uniti, bisogna scendere un po’, alla sesta posizione in classifica (187), dove sono appaiati a Belgio, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito. Poi continuano a esserci solo Paesi europei fino alla decina posizione e oltre, insieme all”Australia (settima posizione). Il primo Paese dell’Europa orientale figura al decimo posto, con la Repubblica Ceca. Il “peggiore” passaporto da possedere è invece quello dell’Afghanistan, al 111° posto, che al momento lascia passare solo in 26 Paesi del mondo, 166 in meno di quelli ai quali ha accesso il cittadino giapponese.
Frontiere “squilibrate”
Perfino la Corea del Nord è messa meglio (104° posto, 39 destinazioni) dell’Afghanistan dei Talebani. Peggio del documento di espatrio emesso da Pyongyang sono quelli di Nepal e Territori palestinesi (posizione 105, 37 destinazioni), Somalia (106, 34), Yemen (107, 33), Pakistan (108, 31), Siria (109, 29) e Iraq (110, 28). Pandemia a parte, la libertà di movimento si è generalmente estesa negli ultimi due decenni. Il Henley Passport Index rileva infatti che nel 2006 un viaggiatore medio poteva, in media, visitare solo 57 Paesi senza dover richiedere in anticipo un visto. Oggi ne può visitare alle stesse condizioni 107: quasi il doppio in 15 anni. Ma questa è una libertà goduta, appunto dagli europei, dai nordamericani e dai cittadini dell’Asia più prospera.
A livello globale
In media, un viaggiatore dell’Angola, del Camerun o del Laos può entrare senza visto preventivo solo in una cinquantina di Paesi. Secondo Christian H. Kaelin, presidente di Henley & Partners e creatore dell’indice, “i passaporti e i visti sono fra gli strumenti più importanti per incidere sull’ineguaglianza sociale nel mondo. Perché determinano le opportunità di mobilità globale. I confini del Paese in cui siamo nati e i documenti ai quali siamo intitolati sono non meno arbitrari del colore della nostra pelle”. Gli stati più benestanti, conclude Kaelin, “dovrebbero incoraggiare una immigrazione positiva. Come sforzo per redistribuire e bilanciare le risorse umane e materiali a livello globale“.