“Nella Quaresima del 1980 il Vescovo di Rimini, Mons. Giovanni Locatelli, invitò le comunità cristiane ad affrontare il problema dei drogati. In comunità il problema era già sorto. L’invito del Vescovo fu la scintilla che fece scoppiare l’incendio. Nel maggio del 1980 ci fu il primo giovane che si offrì per operare in mezzo ai tossicodipendenti; aveva un drogato con sé. Li accolsi tutti e due. Il giovane si era come incatenato al tossicodipendente e non si sciolse fino a quando le catene del giovane drogato non erano state spezzate. Avevamo imboccato la via giusta. Al primo giovane se ne unì un altro. Il 5 ottobre 1980 iniziammo il cammino difficile e affascinante di riportare alla vita coloro che dalla vita erano fuggiti attraverso il tunnel della droga”. Don Oreste Benzi in questo breve scritto racconta come iniziò il suo impegno e quello della Comunità Papa Giovanni XXIII per liberare i giovani dalle droghe. Nel 1980 don Oreste sentì che era giunto il momento di rompere ogni indugio e interpellò la Comunità in forza della chiamata a condividere la sorte degli ultimi.
La Festa del riconoscimento
Dal 1983, il 26 dicembre di ogni anno, per la festa di Santo Stefano primo martire, nella Chiesa delle Grotta Rossa a Rimini, la parrocchia che fu di don Oreste Benzi, si celebra la festa del Riconoscimento, una Santa Messa in cui si festeggiano i ragazzi che hanno concluso il percorso terapeutico di liberazione dalle dipendenze patologiche. Quest’anno sono più di 120 i ragazzi che hanno concluso il percorso, in Italia e all’estero, della Comunità Papa Giovanni XXIII. A celebrare la Santa Messa è il Vescovo di Rimini, Mons. Nicolò Anselmi. Saranno presenti tutti gli ospiti delle oltre 20 comunità terapeutiche della Papa Giovanni XXIII sparse sul territorio nazionale, con il collegamento online dalle strutture in terra di missione, in particolare dal Sud America e dalla Croazia.
“La resurrezione di alcuni fratelli morti alla vita”
“Quello che si è festeggiato sabato alla presenza del vescovo della Diocesi riminese è stato a dir poco stupendo. – scriveva don Benzi in occasione della prima festa nel dicembre 1983 – E’ stato un giorno in cui si è preso atto di una resurrezione di alcuni nostri fratelli i quali erano morti alla vita, alla Fede, all’amore perché vittime della droga e sono risorti alla stessa vita alla stessa Fede e allo stesso amore. Adriano, Sergio, Vincenzo, Giorgio, Sergio e Luciano – i ragazzi che hanno per primi concluso il percorso terapeutico – hanno riconosciuto davanti al Signore il miracolo che si è compiuto in ognuno di loro e la Misericordia di Dio che li ha amati fino a ricondurli a sé come figli prodighi. Molte persone hanno voluto condividere questo momento di gioia grande, molti sono stati gli applausi non solo per i ragazzi che hanno lavorato sodo, ma anche per il Signore che ha voluto che tutto ciò si compisse. Molte le lacrime di felicità soprattutto da parte dei genitori che hanno rivisto nascere una seconda volta i loro figli e hanno ricompreso la sofferenza passata in questa felicità nuova voluta per loro da Dio”.
L’intervista
Per l’occasione abbiamo raggiunto quel primo ragazzo, allora diciannovenne, – di cui scriveva don Benzi – che nel 1980 si rese disponibile ad aprire la prima comunità per il recupero dei “drogati”, come si diceva allora. E’ Francesco Merciari, ancora oggi tra i responsabili del servizio contro le dipendenze patologiche della Papa Giovanni.
Quando è stata aperta la prima comunità terapeutica?
“Era il 1980. Avevo 19 anni, ero obiettore di coscienza con la Papa Giovanni, ma ci fu una comunità terapeutica di Ravenna che andò da don Oreste a chiedere che io facessi servizio civile da loro perché avevo già avuto esperienze con le tossicodipendenze. Il don acconsentì, ma sottolineò ‘in prestito’. Così iniziai lì a malincuore. Poi quella comunità chiuse, io dovevo tornare a Rimini e dei ragazzi in programma chiesero di venire con me”.
Don Benzi cosa disse?
“Mi disse di portarli con me. Io gli obiettai che la comunità Papa Giovanni si occupava di handicappati e non di tossicodipendenti. Allora don Oreste si arrabbiò e mi disse la Comunità Papa Giovanni si occupava di tutti”.
Cosa fece don Oreste?
“Don Benzi ci chiese di accompagnarlo in auto e parlammo. In auto fece domande al ragazzo tossicodipendente. ‘Come fai a procurarti la roba? Cosa si vive?’ gli chiedeva. Don Benzi non sapeva nulla di droga, ma poi conobbe quel mondo attraverso i ragazzi e lo studio”.
Dove fu aperta la prima comunità terapeutica?
“Don Benzi ci mise prima in una casa famiglia a Igea Marina, vicino Rimini, i cui responsabili erano Roberto Vittori e sua moglie Doriana. Poi ci trasferì alla casa famiglia di Morciano di Romagna. Infine, nell’ottobre del 1980, aprimmo la prima comunità terapeutica a Igea Marina con due ragazzi. Uno in particolare era in astinenza e riuscii a farlo resistere stando sempre con lui”.
Don Benzi incontrò disponibilità di altri giovani come te?
“All’inizio c’erano un po’ di resistenze in Comunità nell’aprirsi a questo nuovo fronte che era ancora sconosciuto ai più. Il fenomeno droga sarebbe infatti esploso nella sua tragicità qualche anno dopo. Poi, mentre eravamo in casa famiglia, arrivò la sollecitazione del Vescovo ad occuparsi delle vittime della droga. Io sospetto che fu don Benzi ad imbeccare il Vescovo, ma lui non me lo ha mai detto. Pertanto don Benzi lo propose alla Comunità, che allora era piccola e concentrata a Rimini. Allora si rese disponibile un altro giovane, Marco Panzetti, attuale responsabile dell’ufficio fund raising della Papa Giovanni. E così iniziammo. Io stavo in comunità con i ragazzi, mentre Panzetti si occupava dell’accoglienza dei ragazzi che chiedevano di entrare. Non avevamo un ufficio e Marco incontrava i ragazzi sulle panchine di fronte alla parrocchia di don Oreste”.
Qual era la peculiarità del metodo di don Benzi?
“Il don diceva che in giro vedeva tanti metodi ma nessuno si occupava del livello spirituale, quello più necessario. Anche io nella mia esperienza avevo visto che i ragazzi erano assetati di approfondire quell’aspetto. Per cui don Oreste prese spunto da diverse esperienze, anche dagli Stati Uniti, ma disse: ‘Il metodo ce lo costruiamo noi’”.
Quali difficoltà avete vissuto?
“Abbiamo dovuto costruire un metodo. Poi siamo rimasti da soli per parecchi mesi. A volte non uscivo neanche sul ciglio della strada. Poi arrivò Luca Scarponi, che è ancora oggi responsabile della nostra comunità a Trarivi. Ma Don Benzi veniva tutte le settimane per incontrarci. I ragazzi erano estasiati, non vedevano l’ora di fargli domande”.
Quali caratteristiche deve avere un operatore?
“Don Oreste diceva che un operatore può essere bravissimo però se non riesce a dare delle risposte che tengano consto dell’aspetto spirituale non è adatto. La componente spirituale della persona è fondamentale, la sua ricerca di assoluto, chi sono, da dove vengo, dove vado. Tanto che nel 1989 alla fiera di Rimini don Benzi organizzò un Convegno Nazionale dal titolo ‘Tossicodipendenza e bisogno di assoluto’”.
Hai un ricordo particolare di questa avventura vissuta con don Benzi?
“Ricordi ne ho tanti. Mi viene in mente un episodio successo la sera di Natale. Venne a trovarci un genitore di un ragazzo accolto che per gratitudine portò in dono a don Benzi un paio di scarpe ed una sciarpa. Si sa che il don aveva sempre un abbigliamento un po’ sgualcito a causa della tanta vita. Il don era felicissimo ed anche il papà andò via soddisfatto. Dopo cinque minuti bussò un poveraccio ed il don gli regalò le scarpe e la sciarpa. I ragazzi furono molto colpiti”.