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Francesco in Iraq, messaggero di pace nel segno di Maria

L'Iraq è stato motivo di sollecitudine ostante per il pontificato di San Giovanni Paolo II dopo la caduta del Muro. Oggi Francesco inizia il viaggio nel paese che Karol Wojtyla sognava di visitare

Francesco inizia oggi il suo storico pellegrinaggio in Iraq. Un radicale passo d’uscita da qualunque residua mentalità neo-colonialistica. In passato, infatti, le missioni erano spesso accusate di essere collegate col colonialismo. E di essere espressione della civiltà occidentale. Giovanni Paolo II ha appassionatamente difeso “le radici cristiane dell’Europa”. Ma anche rifiutato l’identificazione del cristianesimo con l’Europa e l’Occidente. Nelle due guerre in Iraq, che in Asia hanno avuto un’eco negativa enorme, Karol Wojtyla ha parlato forte e chiaro contro quegli interventi militari. Ed è apparso evidente a tutti come il Pontefice non avesse affatto “sposato” la causa dell’Occidente.Iraq

Impegno pontificio per l’Iraq

Giovanni Paolo II non riusciva a nascondere il dolore lancinante che provava. Sentiva tutta l’enormità e, più ancora, l’assurdità della nuova tragedia che stava per esplodere. Il testo dell’Angelus di quella domenica, 16 marzo del 2003, era un accorato appello alle due parti in conflitto. “A Saddam Hussein e ai Paesi che componevano il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Perché trovassero una qualche soluzione pacifica– spiega a Interris.it il decano dei vaticanisti Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano, amico e collaboratore di Giovanni Paolo II-. Pur tenendo tenacemente accesa quell’ultima speranza, Karol Wojtyla intuiva che la situazione era sul punto di precipitare. E presto sarebbe scattato l’attacco occidentale contro l’Iraq”.Iraq

Sconfitta dell’umanità

Già nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, Giovanni Paolo II propose di metter mano a una riforma del diritto internazionale. E aveva opposto un rifiuto assoluto al ricorso alle armi come strumento per regolare i rapporti tra gli Stati. “La guerra –diceva Karol Wojtyla– è un’avventura senza ritorno. Non è una fatalità. Essa è sempre una sconfitta dell’umanità“. E, tale convinzione, il Papa l’aveva immediatamente ribadita al profilarsi del secondo conflitto del Golfo (o guerra d’Iraq). Per il quale non c’era più nemmeno l’“attenuante” etica di dover “porre rimedio a una invasione, quella del Kuwait”, precisa Svidercoschi. Iraq

Nuovi estremismi

In più, nel giudizio di Karol Wojtyla, questa operazione militare internazionale portava in sé un carico enorme di pericolosità. Per le motivazioni stesse che ne erano all’origine. Per il rischio di nuovi estremismi. E di “tremende conseguenze”. Sia per le popolazioni dell’Iraq. Sia per l’equilibrio geopolitico dell’intera regione mediorientale. Papa Wojtyla comunque non si era limitato a mettere in guardia i diretti responsabili. Cioè Saddam Hussein, presidente Usa e membri del Consiglio di Sicurezza. Si era anche adoperato con i suoi “strumenti”. Sia spirituali che diplomatici. Per una vasta opera di prevenzione.

Digiuno e preghiera

“Giovanni Paolo II aveva proclamato una Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Medio Oriente– rievoca Svidercoschi-. Aveva parlato di quel gravissimo argomento con molti capi di Stato. E aveva inviato due suoi personali ambasciatori. A Baghdad e a Washington. Per un estremo tentativo. Era stato il cardinale Roger Etchegaray a incontrare i governanti iracheni. I quali, per la verità, si erano detti disposti a collaborare con gli ispettori delle Nazioni Unite. Incaricati di verificare che venisse eliminato ‘ogni motivo di intervento armato’. Ma si erano mostrati assai reticenti circa le accuse di possedere le cosiddette ‘armi di distruzione di massa’. E di sostenere il terrorismo islamico. Atteggiamento non proprio negativo. Ma fortemente ambiguo. E, quindi, pericoloso”.Iraq

“Volontà di Dio”

“L’altro inviato pontificio, il cardinale Pio Laghi, aveva parlato con il presidente americano, George W. Bush– racconta Svidercoschi-. Il quale, senza neppure leggere la lettera inviatagli da Giovanni Paolo II, aveva risposto che comprendeva perfettamente le ragioni morali del Papa. Secondo alcune fonti, invece, si sarebbe detto addirittura convinto che fare la guerra all’Iraq fosse la ‘volontà di Dio’. Ma non poteva ormai tornare indietro. Anche perché aveva imposto un ultimatum di quarantotto ore a Saddam Hussein“.

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(Photo by AHMAD AL-RUBAYE / AFP)

Testimonianza personale

“Mai più la guerra!”. Giovanni Paolo II sapeva naturalmente tutto questo, al momento di leggere all’Angelus l’appello contro la guerra. “E, proprio perché sapeva tutto questo, aveva cominciato a interrogarsi su quel testo. Ispirato da lui. Ma scritto materialmente in Segreteria di Stato. Avrebbe davvero potuto esercitare una qualche pressione sui capi politici delle due parti? E fu così che a un certo punto, con quel dubbio che aveva preso a tormentarlo, papa Wojtyla smise di leggere le parole scritte. Alzò gli occhi dal testo ch’era sul leggio. E prese a parlare a braccio. Sentiva il bisogno di esprimere quello che aveva nel cuore. Non solo, ma sentiva soprattutto il bisogno di portare la sua testimonianza personale”.

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ANSA/FABIO FRUSTACI

Ecumenismo

Viaggiare verso Oriente ha sempre implicazioni anche nel dialogo tra cristiani. Uno dei gesti ecumenici più efficaci, Francesco lo ha compiuto a Gerusalemme. Sul Santo Sepolcro. Abbracciando Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli. Esattamente come aveva fatto cinquant’anni prima Paolo VI con Atenagora, nel corso del pellegrinaggio in Terra Santa. Il suo non è stato un semplice gesto commemorativo. Ma un vero e proprio tentativo di risveglio. L’abbraccio di allora portò fulmineamente alla cancellazione delle reciproche scomuniche. Duravano dal 1054, anno dello Scisma tra Oriente e Occidente. San Paolo VI inseguiva il soffio di quel vento nuovo. Appena dopo la fine del Concilio ecumenico Vaticano II, sembrava addirittura che si potesse arrivare alla condivisione del calice.

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Papa Francesco e il grande imam Ahmad Al-Tayyeb

Impronta mariana

A Erbil benedirà statua della Madonna profanata dall’Isis. Alla messa che celebrerà nello stadio di Erbil, domenica Papa Francesco benedirà un’effige della Vergine Maria. Vandalizzata dai miliziani dello Stato Islamico durante l’occupazione della Piana di Ninive.  “La statua, che proviene dal villaggio cristiano di Karamles, è priva di mani – afferma al Sir padre Samir Sheer, direttore di Radio Mariam di Erbil– perché mozzate dai terroristi. Originariamente la statua era anche priva di testa. Che è stata recuperata e riattaccata. In queste ore si sta ultimando il suo restauro. Dopo la benedizione la statua tornerà nella Piana di Ninive. La speranza dei cristiani locali è che la Madonna possa tornare presto ad abbracciare i suoi figli a Karamles“.

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A mani giunte

Tremendi gli anni di occupazione di Mosul e dei villaggi della Piana di Ninive (2014-2017). L’Isis ha distrutto, fatto saltare in aria e profanato chiese, cimiteri, monasteri. Ha incendiato case e negozi. Statue e immagini sacre sono state usate per il tiro a bersaglio. A Erbil, inoltre, Papa Francesco riceverà in dono un dipinto realizzato da un artista iracheno espatriato. L’opera ritrae il Papa in piedi a mani giunte. Tra la basilica di san Pietro e la ziggurat. Simbolo di Ur. Patria di Abramo. Padre delle tre fedi. Ebraismo, cristianesimo e Islam. A terra si notano delle orme che rappresentano il cammino del popolo di Dio che è in Iraq. Con i suoi martiri. E dei caratteri cuneiformi. Richiamo al fatto che in Iraq è nata la prima scrittura del mondo. A Erbil la città è vestita a festa per l’arrivo del Papa.

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