In un’epoca che “rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità“, Papa Francesco fa partire la comunicazione dal cuore umano. Comunicare significa farsi carico dell’altro. “Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo. E riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana”, insegna il Pontefice. Jorge Mario Bergoglio fa riferimento al cuore inteso biblicamente come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita. E simbolo di integrità, di unità. Ma evoca anche gli affetti, i desideri, i sogni e il luogo interiore dell’incontro con Dio. La sapienza del cuore è per Francesco quella virtù che “ci permette di tessere insieme il tutto e le parti. Le decisioni e le loro conseguenze. Le altezze e le fragilità. Il passato e il futuro. L’io e il noi“. In un’intervista, Francesco ha detto di sé: “Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: ‘Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato’. Per Jorge Mario Bergoglio essere gesuita significa “riconoscersi peccatore,
ma chiamato da Dio a essere compagno di Gesù Cristo, come lo fu Ignazio“.
Effetto Francesco
Il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” è riconosciuto da tutti come un efficacissimo comunicatore. Anche nella comunicazione della Chiesa, Francesco utilizza parole e gesti che rientrano in un processo spirituale e culturale che libera energie sopite. Un’evoluzione di forma e contenuti realizzata con una estrema semplicità di stile. Nel dialogo tra l’Ecclesia e la contemporaneità il modello è il Concilio che emerge come programma nella comunicazione di Francesco. La Chiesa impara a comunicare al Vaticano II e, a sei decenni dal Vaticano II, Jorge Mario Bergoglio completa la rivoluzione linguistica. Con il decreto conciliare Inter Mirifica la Chiesa ha concesso una sorta di cittadinanza ai mezzi di comunicazione, riconosciuti come strumento importante per la vita ecclesiale. Quindi “si chiede ai pastori di usarli efficacemente”, sottolinea l’arcivescovo Claudio Maria Celli, ex ministro vaticano delle Comunicazioni Sociali. Nella fase preparatoria del Concilio Vaticano II, l’ambito della comunicazione non fu considerato come un orizzonte strategico per la Chiesa o per il futuro dell’umanità. “Delle 9.348 proposte di tema per i lavori del futuro concilio, solo 18 facevano riferimento alla comunicazione. Fu Giovanni XXIII che desiderò introdurre il tema dei mezzi di comunicazione nell’agenda conciliare”, spiega monsignor Celli. Alla fine si approvò il documento sui mezzi di comunicazione di massa con 1.969 voti a favore e 164 contrari. Fu il documento, dunque, che ebbe più voti contrari.
Cambio di linguaggio
Il varo della “Inter mirifica” risultò fondamentale in quanto avviò l’assimilazione dei mezzi di comunicazione sociali nella vita della Chiesa. Con due mandati chiari: la creazione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali e l’istruzione pastorale “Communio
et Progressio” che verrà redatta nel 1971. Insomma, si iniziò a consolidare l’interesse della
Chiesa per i mezzi di comunicazione. L’istituzione ecclesiale non si limitava ad essere un censore, cercava, anzi, di motivare i pastori ad interessarsi al mondo della comunicazione.
Invitandoli a mantenere una mente aperta di fronte alle opportunità che i media offrivano nel campo dell’evangelizzazione. Da un lato, rimase chiaro che la testimonianza di una vita cristiana autentica fosse il primo mezzo di evangelizzazione. Scrisse al riguardo Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi: “È mediante la sua condotta e la sua vita che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo. Vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù. Di povertà e di distacco. Di libertà di fronte ai poteri di questo mondo. In una parola, di santità”. Dall’altro lato, invece, andò crescendo l’interesse per gli
aspetti tecnici della comunicazione. I sacerdoti e, in generale, gli addetti alla pastorale, fecero propri i mezzi di comunicazione di massa tra gli anni Settanta e Ottanta, stimolati dall’invito fatto da papa Montini con le celebri parole: “La Chiesa si sentirebbe
colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati. Servendosi di essi la Chiesa ‘predica sui tetti’ il messaggio di cui è depositaria. In loro la Chiesa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini”.
In cammino
La comunicazione entra in casa. Con il Concilio la Chiesa iniziò ad utilizzare gli strumenti
di comunicazione di massa. Concependoli come un megafono mediante il quale annunciare il Vangelo. Con la convinzione sottostante, evidenzia l’arcivescovo Celli, che “maggiore fosse stata la quantità dei mezzi di comunicazione più ampia sarebbe stata l’efficacia della comunicazione stessa”. Si sviluppò, inoltre, il dibattito, che dura ancora oggi, circa la necessità d’avere mezzi propri o di essere presenti nei mezzi non cattolici. L’espansione e la globalizzazione di Internet ha mutato radicalmente il panorama. Il fenomeno della globalizzazione ha influenzato tutte le sfere della vita della persona. “Fin dagli anni Novanta questa nuova realtà presentò nuove opportunità e nuove sfid – sottolinea monsignor Celli-. Il paradigma della comunicazione nella vita degli esseri umani si trasformò. Si smise di parlare di mezzi o di strumenti di comunicazione di massa”. Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, fece notare come la Chiesa stesse assistendo alla trasformazione degli strumenti di comunicazione sociale. Che iniziavano ad essere concepiti come un ambiente che la Chiesa deve abitare ed evangelizzare. “In molti ambiti, però, la Chiesa non ha ancora cambiato il proprio paradigma comunicativo. In quanto si preferisce rimanere legati al vecchio schema secondo il quale i mezzi di comunicazione sono come dei megafoni e non come un ambiente da vivere- avverte l’ex ministro vaticano della Comunicazione-. Finché l’idea di comunicazione apparterrà al passato si continuerà a realizzare una pastorale che parla con un linguaggio non comprensibile alla società attuale. E gli sforzi fatti per la costruzione di uffici di comunicazione e di siti web risulteranno inefficaci”. Dunque, solamente un atteggiamento d’apertura verso la conversione pastorale consentirà di valorizzare la comunicazione come una “testimonianza dialogante e rispettosa, che ha bisogno anche di spazi di formazione”.
Itinerario
Per la Chiesa l’itinerario da seguire nell’ambito della comunicazione è tracciato dai messaggi che i pontefici hanno offerto nelle ultime decadi. Quindi, il problema della comunicazione nella Chiesa “non è collegato alla mancanza degli strumenti tecnici
atti a realizzare una buona comunicazione”, avverte monsignor Celli. Ma molte volte all’incapacità di adattarsi al nuovo contesto comunicativo ed alle sue caratteristiche di orizzontalità, interattività e velocità. Insomma, si è aperta una nuova era per la comunicazione ecclesiale. Oggi la modernità come viene comunemente intesa, spinta dall’intelletto e dalla ragione, mostra i suoi limiti. E si apre un ciclo nel quale la cultura, la vita, il simbolo e la poetica ricoprono un’importanza notevole. Ne è una conferma il peso che si dà a temi come l’ecologia o l’alimentazione di fronte alla macroeconomia.
Francesco dà voce alla tendenza dell’epoca postmoderna. La riscoperta dell’uomo libero da astrazioni e intellettualismi. Le sue parole nascono dell’interpretazione dei segni del tempo.
Vicinanza
Jorge Mario Bergoglio incarna la risposta efficace alla reale sfida della comunicazione. Non si tratta, secondo Celli, di un problema che riguarda i mezzi o gli strumenti da utilizzare. Ma piuttosto di un problema che riguarda la comunione, la vicinanza e soprattutto la testimonianza di un Dio misericordioso. Ciò non significa edulcorare il messaggio del Vangelo per far sì che sia più vicino alla società, ma al contrario affermare l’esigenza di
una radicalità della vita cristiana. Oggi la Chiesa, nel campo della comunicazione, deve anche essere capace di recuperare l’universo simbolico nella capacità creatrice della parola e nel potere evocatore dell’immagine. Per Celli questi due elementi offrono nuove possibilità di rinnovamento del linguaggio, che deve essere capace di creare nelle differenti culture luoghi dove sia possibile percepire la presenza del sacro sia a livello personale che comunitario. Perciò, mistica e social. La nuova evangelizzazione ha
un cuore antico.