Nel novembre del 1982 il polacco Lech Walesa, a capo di Solidarnosc , viene liberato dopo undici mesi di carcere. Questo ha rappresentato l’inizio di un processo di democratizzazione che, progressivamente, ha lambito tutti i paesi dell’allora orbita sovietica fino al definitivo crollo della stessa avvenuto il 26 dicembre 1991.
Chi è Lech Walesa
Lech Walesa è nato il 29 settembre 1943 a Popowo in Polonia. Dalla sua gioventù lavora nei cantieri navali di Gdansk nella Polonia sovietica e animato da una radicata fede cattolica si impegna nella difesa dei diritti dell’uomo e dei lavoratori. Nel 1970, per aver partecipato ad uno sciopero definito illegale dalle autorità, viene arrestato e condannato ad un anno di reclusione, in seguito al quale – nel 1980 – comincia ad organizzare il primo sindacato indipendente nella Polonia sovietica chiamato Solidarnosc (tradotto significa Solidarietà) con il quale dà vita alla cosiddetta rivoluzione pacifica, ovvero ad uno sciopero che, partendo dai cantieri navali, ha lambito varie zone di tutto il paese. Grazie a questo ci sono state delle negoziazioni con l’allora esecutivo in carica che hanno portato al riconoscimento del diritto di associazione in sindacati indipendenti, un unicum tra i paesi satelliti dell’Urss. Quindi, all’inizio del 1982, per la legge marziale vigente in Polonia, viene condannato ad una pena detentiva in carcere dal quale viene scarcerato nel mese di novembre dello stesso anno.
Il Premio Nobel e il processo di democratizzazione
Nel 1983 gli viene conferito il Premio Nobel per la Pace. Successivamente si impegna nel movimento sindacale e, nel 1990, dopo il crollo del regime polacco ed alle libere elezioni che si sono susseguite, viene eletto per cinque anni Presidente della Repubblica Polacca guidando il paese verso la piena democratizzazione. In questo lungo cammino verso la libertà del popolo polacco Lech Walesa è stato coadiuvato dall’opera di Papa Giovanni Paolo II che, con il suo primo pellegrinaggio in terra polacca nel 1979, ha esortato i cittadini ad agire con integrità morale e fede in una lotta pacifica per l’affermazione di una società democratica. In Terris ha parlato di questi temi con il professor Agostino Giovagnoli, docente ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore di molteplici pubblicazioni.
L’intervista
Cosa significò l’azione di Lech Walesa e di Solidarnosc per la Polonia e per l’intero blocco sovietico?
“L’azione di Lech Walesa e di Solidarnosc è stata molto importante perché ha introdotto il tema del pluralismo sociale, ma indirettamente anche politico, dentro un regime comunista a partito unico che quindi non ammetteva questo pluralismo. Solidarnosc non nasce come partito o in alternativa al partito comunista. Questa è stata una mossa vincente perché altrimenti non avrebbe potuto affermarsi e svilupparsi. Vede la luce come spazio sociale anzitutto sostenuto dagli operai che portano avanti le loro legittime rivendicazioni sindacali ma poi, in realtà, ha rappresentato uno spazio sociale più ampio perché hanno potuto confluire in esso tante voci diverse della società civile”.
Quale era la condizione dei cittadini polacchi all’epoca e cosa li spinse a protestare pacificamente?
“La condizione dei cittadini polacchi era decisamente migliore di quella di altri regimi dell’Europa orientale. Questo perché – dal 1956 – i dirigenti comunisti, in particolare Wladyslaw Gomulka, erano riusciti ad ottenere da Mosca delle condizioni di vita decisamente migliori, meno controllate e poi, soprattutto, la forte presenza della Chiesa Cattolica che aveva un ruolo sociale riconosciuto, malgrado ovviamente fosse sottoposta a pesanti condizionamenti. La Polonia è sempre stata diversa dagli altri paesi comunisti grazie alla Chiesa Cattolica e a dei leader importanti come il Cardinal Dziwisz Wyszyński, il Cardinal Wojtyła ed altre figure di spicco che hanno difeso questi spazi e resistito alle pressioni. La Chiesa rappresentava uno spazio non solo per i credenti ma anche per gli altri. Una forma di pluralismo dentro il regime comunista”.
In che modo il Pontificato di Giovanni Paolo II influì sulla situazione della Polonia?
“Il Pontificato di Giovanni Paolo II influì molto sull’attivazione della Polonia perché la nomina di un Papa polacco accese i riflettori di tutto il mondo sulla Polonia e questo preoccupò molto sia i dirigenti polacchi che la leadership di Mosca. In secondo luogo, la presenza a Roma di un Pontefice polacco ovviamente divenne una sponda importante per tanti che in Polonia cercavano in qualche modo di cambiare la situazione ma non avevano dei riferimenti interni perché ciò non era possibile. I viaggi di Giovanni Paolo II in Polonia furono molto importanti. I locali leader comunisti non li volevano assolutamente ma li hanno dovuti subire. In questi frangenti il Papa aggregò enormi folle, a Częstochowa e in altri luoghi milioni di persone si radunarono per ascoltare la sua parola e celebrare la liturgia con lui. Questi furono momenti molto importanti perché hanno dato coraggio alla società polacca. La funzione più importante del Papa fu appunto quella di dare coraggio ai polacchi. Il problema di un regime autoritario, qualunque esso sia – fascista o comunista – è quella di indurre la passività e la rassegnazione nelle persone, l’idea che non si possa far nulla senza essere perseguiti. Giovanni Paolo II è stato molto attento a non fare nessun discorso politico durante i suoi viaggi, a fare solamente discorsi di tipo religioso. Tuttavia, con la sua capacità di comunicare e trasmettere speranza, è stata importantissima per dare speranza al popolo. Infine, un’altra azione importante svolta dal Pontefice, è stata quella di frenare gli impazienti che normalmente – in situazioni come quelle – avrebbero voluto passare subito all’azione, sfidando il regime apertamente con la possibilità di provocare un bagno di sangue. Quando lo stesso è molto forte reagisce duramente se questo attacco frontale arriva troppo presto ed, oltre a ciò, lo stesso sarebbe quindi in grado di annullare queste minoranze. Egli capì benissimo questo e volle una transizione pacifica ed ebbe ragione perché, alla fine, il regime polacco cadde in modo pacifico e consenziente attraverso una tavola rotonda fino a quando il partito comunista rinunciò ad essere l’unico partito. A quel punto ovviamente la strada fu aperta per l’affermazione di un sistema pluralista e democratico. In questo modo l’azione e la lungimiranza di Giovanni Paolo II furono estremamente importanti ad incoraggiare la pace ed il sostegno a Solidarnosc affinché rimanesse un’organizzazione sindacale e non di tipo politico. Questo era tollerato – anche se faticosamente dal regime – ed ha fatto sì che lo stesso cadesse quasi per erosione interna. Il Papa fu un protagonista pacifico di questa vicenda che permise di risparmiare un uno spargimento di sangue e forse una guerra civile alla Polonia e agli altri paesi del blocco comunista. In questo ci furono delle notevoli differenze tra la politica di Giovanni Paolo II e quella di Ronald Reagan: l’obiettivo per certi versi era comune ma l’attuazione era profondamente diversa.”