“Together #WithRefugees“, è questo il tema scelto dall’Unhcr – l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – per la Giornata mondiale del rifugiato, un appuntamento annuale voluto dalle Nazioni Unite per riconoscere la forza, il coraggio e la perseveranza di milioni di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, violenza, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. “L’accesso all’asilo è fondamentale ma la protezione si manifesta concretamente solo attraverso un processo equo di integrazione sociale ed economica nel paese di accoglienza”, dichiara Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “Trovare asilo, infatti, è solo l’inizio: una volta fuori pericolo, i rifugiati hanno bisogno di opportunità per superare i traumi, mettere a frutto il proprio talento, formarsi, lavorare e contribuire al paese che li ha accolti”. Con la campagna Together #WithRefugees l’UNHCR evidenzia che la creazione di concrete opportunità di integrazione è un compito e una responsabilità della società nel suo complesso – istituzioni, società civile e settore privato – in linea con il Global Compact sui Rifugiati.
I dati a livello globale
Secondo il Global Trends, il rapporto statistico annuale dell’Unhcr, il numero delle persone costrette a fuggire dalle proprie case è è aumentato ogni anno nell’ultimo decennio ed è ora il più elevato da quando si è cominciato a registrare il dato. Si tratta di una tendenza che può essere invertita solo compiendo uno sforzo rinnovato e concertato per costruire la pace, ha dichiarato oggi l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati. Alla fine del 2021, le persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani risultavano essere 89,3 milioni, un aumento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente e ben oltre il doppio rispetto al dato registrato 10 anni fa. Da allora, l’invasione russa dell’Ucraina – che ha causato uno degli esodi forzati di più ampia portata e quello in più rapida espansione dalla Seconda Guerra Mondiale – e altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan ad altre aree del mondo, hanno portato la cifra a superare la drammatica soglia dei 100 milioni.
L’intervista ad Oliviero Forti di Caritas Italiana
Per approfondire l’argomento e cercare di capire cosa potrebbe accadere nel futuro, Interris.it ha intervistato Oliviero Forti, responsabile politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana.
Oliviero Forti, qual è la situazione dei rifugiati a livello internazionale?
“Il primo dato che salta all’occhio è che il fenomeno riguarda 100 milioni di persone rifugiate nel mondo, con un balzo legato alla crisi ucraina, ma era in crescita già da anni. La vicenda ucraina ha monopolizzato la scena internazionale, spegnendo i riflettori su altre situazioni e questo è un problema: tutte le risorse necessarie per sostenere queste persone sembrano diminuire in favore di quelle destinate agli ucraini. E’ un aspetto che teniamo molto a sottolineare. Lo sforzo, non solo economico ma anche politico, che giustamente si sta mettendo in atto per risolvere la crisi ucraina, non viene fatto per altri contesti che invece avrebbero bisogno della stessa attenzione”.
Dall’inizio della crisi in Ucraina, abbiamo visto Paesi che fino a qualche mese fa volevano dotarsi di muri ai confini per respingere i rifugiati, aprire totalmente le frontiere per accogliere i profughi ucraini. Sembra un po’ un’ipocrisia, soprattutto se si pensa alle molte persone che fuggono, ad esempio, dal Sud Sudan o dalla Nigeria o dall’Afghanistan. Perché questa disparità di trattamento?
“Stiamo vivendo quello che definirei un paradosso. Come il caso polacco, ad esempio. Questo dà l’idea di come ci sia una politica fatta di due pesi e di due misure. Quando ci si sente realmente in pericolo, perché la Polonia confina immediatamente con l’Ucraina, ci sono sforzi enormi. Nessuno li vuole contestare, però si nota come questo positivo approccio all’emergenza profughi non stia avvenendo nei confronti di persone provenienti da altri Paesi. La prima immagine che mi viene in mente è quella di coloro che nei mesi scorsi sono stati ripetutamente respinti dalla polizia polacca al confine con la Bielorussia solo perché iracheni e siriani. I pochi che riescono ad oltrepassare il confine vengono intercettati e rinchiusi in delle vere e proprie carceri. Un forte contrasto con il grande lavoro di accoglienza che le famiglie polacche stanno facendo nei confronti degli ucraini. E’ un elemento che non può essere né taciuto né si può evitare una doverosa riflessione sulla disparità di trattamento che si sta verificando. In Europa questa vicenda è quella più visibile, ma si verifica anche in altri Stati: in Bosnia, i respingimenti che avvengono al confine con la Croazia. C’è un tema, quello delle politiche selettive, che la civile Europa non si può permettere. Al di là della nazionalità, bisognerebbe pensare alla protezione delle persone. Questo fa ancora più male quando si pensa alla cattolica Polonia dove alcuni valori che noi diamo per scontati sembrano non trovare cittadinanza”.
A proposito dell’Ucraina, viene da pensare al problema del grano bloccato ad Odessa. Il mancato accordo per esportarlo all’estero, potrebbe causare l’aumento dei flussi migratori?
“Certamente sì. I flussi a cui assistiamo da diversi anni, non sono sempre frutto di conflitti, che comunque riguardano molti Paesi. C’è un problema di approvvigionamento alimentare, che riguarda molti Paesi africani che, evidentemente, è alla base di parte della migrazione che raggiunge l’Europa. Se l’approvvigionamento alimentare dovesse essere definitivamente messo a rischio dalla questione grano ucraino e russo, uno dei primi effetti che vedremo sarà quello dell’aumento dei flussi migratori che però, come sempre avviene, riguarderà soprattutto i Paesi limitrofi. Non mi aspetto ondate nel breve-medio periodo legato al tema grano, sarà una situazione da monitorare perché avrà degli effetti, che dipendono anche da quanto durerà la crisi e da quanto tempo impiegheranno le navi ucraine a lasciare i porti. E’ ben risaputo che le migrazioni sono legate a doppio filo alla sicurezza alimentare”.
Questa giornata è stata voluta dall’Unhcr anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto dei rifugiati di essere protetti e di avere l’opportunità di una vita migliore. Pensa che le persone comprendano questo o siano ancora oggi molto diffidenti verso chi viene da un altro Paese, ha un’altra cultura e un’altra religione?
“Oggi avremo il nostro annuale convegno a Milano, dove i delegati dovranno ragionare su diverse tematiche riguardanti il futuro. Dedicheremo uno spazio alla presentazione di un ‘quaderno’ sul tema del Pnrr e dell’impatto che potrebbe avere sui migranti. Noi abbiamo avanti anni in cui il tema immigrazione farà parte dell’agenda di tutti i governi, compreso quello italiano, che non potranno non tener conto della percezione che l’opinione pubblica ha verso questo fenomeno. Negli ultimi anni, lo dobbiamo dire, è migliorata nella misura in cui ci sono state meno occasioni di strumentalizzazione del tema. Purtroppo, alcuni dei governi passati hanno fatto dell’immigrazione un cavallo di battaglia, facendo anche una narrazione scorretta che non aiutava a capire la complessità di questo fenomeno. Ora, dopo la vicenda ucraina, le persone sembrano più ben disposte, c’è stata una risposta straordinaria, tanta voglia di accogliere e integrare. Il problema, come dicevo prima quando parlavo della Polonia, riguarda soprattutto coloro che vengono percepiti come molto diversi, perché hanno una cultura distante dal nostro, perché somaticamente diversi da noi. Ci vuole impegno da parte di tutti. Noi come Caritas Italiana cerchiamo di raccontare chi sono, da dove vengono, quale potenziale possono esprimere per il Paese dove vengono accolti. Il lavoro a livello culturale è estremamente importante e va al di là delle risorse economiche che vengono messe a disposizione. Potremmo avere il miglior sistema di accoglienza, ma senza questo sostegno di consapevolezza informata da parte dell’opinione pubblica, una volta che i rifugiati uscirebbero dai centri si ritroverebbero in un ambiente sfavorevole per la loro integrazione”.
Il governo italiano e le istituzione europee come potrebbero migliorare o modificare le politiche migratorie?
“Con un comunicato che farà Caritas Europa, verrà ribadito che i governi, italiani ed europei, dovrebbero avere il coraggio, come è stato fatto verso i profughi ucraini, di aprire maggiori vie legali di ingresso per queste persone, il reinsediamento verso luoghi sicuri. Noi, anche attraverso i corridoi umanitari e universitari, stiamo provando a stimolare il dibattito verso una maggiore apertura verso i percorsi legali sicuri. Ci sono sia le possibilità sia gli strumenti per farlo, manca la volontà. Tutto questo deve passare dalla volontà e dalla consapevolezza politica. La sfida più grande che tocca chi lavora in questo ambito è raccontare e farsi capire su un tema che ha livelli e interconnessioni sui quali a volte è difficile districarsi”.