L’Italia è il Paese delle migrazioni plurime, in cui ci sono anche gli italiani che tornano “a casa”, sebbene molti di più se ne vadano: il saldo migratorio è nuovamente e chiaramente negativo dopo il rallentamento per la pandemia (-52.334 nel 2023). Nel mentre assistiamo allo scollamento tra tale realtà e l’azione politica, che non sa interpretare il modo in cui la mobilità umana sta già di fatto mutando profondamente il concetto di cittadinanza. Questo il cuore della XIX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes (Tau editrice), curato da Delfina Licata, presentato nei giorni scorsi a Roma.
In questo rapporto emerge il ruolo dei giovani che oggi sono sempre più in movimento alla ricerca di nuove opportunità, ma anche di speranza e garanzia. Nel rapporto si parla di migrazioni interne, ma anche di spostamenti molto più lontani.
“La migrazione interna precede quella verso l’estero – dichiara Delfina Licata – riguarda il 50% dei laureati, che si sposta dal sud verso il nord, molti sono giovanissimi; c’è un movimento del lavoro e anche sanitario. Dalle regioni del Nord poi si arriva anche all’estero. Le prime regioni sono la Lombardia e il Veneto, ma quando andiamo a raccontare le storie di vita di chi lascia il nostro Paese, ci rendiamo conto che le persone non sono lombardi e veneti, ma provenienti dalle regioni meridionali”
Spesso quando si pensa ai motivi che portano persone a migrare, si pensa a una maggiore occupazione o retribuzione migliore, ma in realtà ci sarebbe dell’altro. “Oggi – continua Licata – anche a causa della emergenza sanitaria, i giovani e giovani adulti che si spostano, ci parlano della necessità di formare una famiglia. C’è in loro quindi un progetto esistenziale con una motivazione più complessa ed è quello di creare genitorialità. Questo desiderio in loro è molto forte”.
Il flusso delle migrazioni è cambiato nel tempo. Siamo in presenza di una “mobilità malata”: si parte, ma non si riesce a tornare nei luoghi di origine. “Il lavoro della Fondazione Migrantes è quello di lavorare per un progetto migratorio perfetto, trasformandolo da unidirezionale a circolare: alle partenze devono corrispondere i ritorni, valorizzando anche chi di altre nazionalità si trova sul nostro territorio”.