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Fine vita, Farri: “Ecco i nodi da sciogliere”

Intervista di In Terris al professor Francesco Farri, docente al Dipartimento di giurisprudenza dell'Università di Genova e membro del Centro Studi Livatino

“Per ragioni ontologiche e scientifiche, recentemente ribadite anche da un parere del Comitato Nazionale di Bioetica, nel concetto di trattamenti di sostegno vitale non dovrebbe essere ricompresa una serie di strumenti che la legge sulle DAT vi ha ricondotto, a cominciare da nutrizione e idratazione artificiali, e che la giurisprudenza ha impropriamente esteso anche al campo del suicidio assistito”, spiega a In Terris il professor Francesco Farri, docente al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Genova e membro del Centro Studi Livatino.

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Foto: Università di Genova

Il tema del fine vita è tornato di stringente attualità. I mass media hanno enfatizzato il fatto che, dopo gli interventi della Corte Costituzionale, in determinate condizioni il suicidio assistito non deve più considerarsi reato in Italia. E’ davvero così?
“Esattamente. Nella ricorrenza delle condizioni fissate dalla Corte Costituzionale, l’assistenza al suicidio allo stato attuale non è più punibile secondo l’ordinamento italiano”.

Quali sono queste condizioni poste dalla Corte Costituzionale, in presenza delle quali l’assistenza al suicidio può ritenersi non punibile in Italia?
“L’art. 580 c.p. punisce con la reclusione da cinque a dodici anni chi aiuta altri a realizzare il proprio proposito suicidario. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 242/2019, ha dichiarato incostituzionale tale disposizione, e quindi legalizzato l’aiuto al suicidio, quando ricorrono congiuntamente quattro condizioni: 1) il proposito suicidario sia manifestato da una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili; 2) il proposito suicidario sia frutto di una decisione pienamente cosciente, autonoma, libera e consapevole da parte del soggetto; 3) il malato sia coinvolto in un appropriato percorso di cure palliative; 4) le condizioni e le modalità di esecuzione del suicidio assistito siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Il che non implica, naturalmente, che l’esecuzione materiale del suicidio assistito debba avvenire presso strutture del sistema sanitario nazionale, dai cui compiti e obiettivi di cura esso esula secondo l’attuale ordinamento. La Corte Costituzionale ha confermato l’impianto della decisione 242/2019 anche nelle occasioni successive, in cui era stata sollecitata a estendere ulteriormente il perimetro di liceità del suicidio assistito in Italia (cfr. specialmente Corte Cost., n. 50/2022 e 135/2024)”.

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Foto di Mirko Sajkov da Pixabay

Nel panorama europeo come è regolamentata una materia così eticamente sensibile?
“L’approccio degli Stati europei in questa materia non è uniforme. Alcuni Stati confermano la punibilità del suicidio assistito, mentre altri lo hanno legalizzato, in termini più o meno ampi a seconda dei casi. La materia è estranea alle competenze attribuite all’Unione Europea. Quanto al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte EDU ha recentemente affrontato la questione nel caso Karsai c. Ungheria, nel quale è intervenuto anche il Governo Italiano. Nella sentenza, pubblicata il 13 giugno 2024, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato che nessuna norma internazionale impone agli Stati di depenalizzare l’aiuto al suicidio e che sanzionarlo penalmente è “senza dubbio” una misura intrinsecamente legittima, in quanto persegue gli obiettivi pienamente legittimi di proteggere la vita delle persone vulnerabili a rischio di abuso, di mantenere la piena integrità etica della professione medica e anche di tutelare la morale della società nel suo insieme per quanto riguarda il significato e il valore della vita umana (par. 137 della sentenza).

Qual è la situazione negli Stati dove esiste una legge in materia?
“Negli Stati dove l’aiuto al suicidio e l’eutanasia, che all’aiuto al suicidio è oggettivamente affine, sono stati legalizzati da più tempo, come i Paesi Bassi e il Belgio, i casi di ricorso a tali pratiche sono aumentati esponenzialmente nel tempo, estendendosi anche a depressi o semplici anziani che ritengono compiuto il loro percorso di vita. Può infatti crearsi quella che la Corte Costituzionale italiana, nella sent. n. 135/2024, ha definito una “pressione sociale indiretta su altre persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte”.

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Foto di valelopardo da Pixabay

Oggi vede margini in Italia per una mediazione tra le opposte posizioni che consenta un intervento legislativo sul fine vita, come ipotizzato da un recente documento vaticano?
“Una legge che sostanzialmente positivizzi il contenuto della decisione della Corte Costituzionale, n. 242/2019, come ad esempio quella proposta con A.S. 104, primo firmatario sen. Bazoli, non costituisce a mio avviso una mediazione, ma il recepimento di una delle posizioni del dibattito. Una simile operazione di positivizzazione mi sembra poco utile, se non controproducente. Poco utile perché, come ho detto, l’effetto scriminante già si produce allo stato attuale per effetto diretto della sentenza. Controproducente perché, fissando tali principi in una legge, si segna un passaggio sul quale può innestarsi una dinamica di nuove fughe in avanti da parte della giurisprudenza. La vicenda della legge sulle DAT è emblematica: per positivizzare un precedente orientamento giurisprudenziale, essa ha costituito la base per lo sviluppo della giurisprudenza con cui la Corte Costituzionale ha scriminato l’aiuto al suicidio. Un testo normativo di lodevole mediazione poteva essere A.C. 1888 della scorsa legislatura, primo firmatario on. Pagano, ma su questi temi “di bandiera” i progressisti non vedono di buon occhio mediazioni. Adesso peraltro il quadro è mutato per effetto della decisione della Corte Costituzionale”.

Foto di Mufid Majnun su Unsplash

Quindi, nessuno spazio per un intervento normativo?
“Potrebbero esservi spazi in due direzioni. Un primo puntuale intervento per definire più precisamente il concetto di trattamenti di sostegno vitale e aspetti contermini. Per ragioni ontologiche e scientifiche, recentemente ribadite anche da un parere del Comitato Nazionale di Bioetica, nel concetto di trattamenti di sostegno vitale non dovrebbe essere ricompresa una serie di strumenti che la legge sulle DAT vi ha ricondotto, a cominciare da nutrizione e idratazione artificiali, e che la giurisprudenza ha impropriamente esteso anche al campo del suicidio assistito”.

E la seconda direzione?
“Personalmente ritengo che possa esserci uno spazio per rivedere l’impostazione complessiva del problema. Come ho detto, il quadro giurisprudenziale sovranazionale si è precisato, rispetto al 2018/2019, chiarendo che nessun principio sovranazionale impone agli Stati di scriminare l’aiuto al suicidio (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 13 giugno 2024, Karsai). Ciascuno Stato, in altre parole, è libero di autorizzare o punire l’aiuto al suicidio in conformità ai propri valori costituzionali. Ora, che la Costituzione italiana, notoriamente fondata su una visione dell’uomo saldamente ancorata a valori antropologici oggettivi, imponga di scriminare l’aiuto al suicidio, andando addirittura oltre quanto richiesto dalle convenzioni internazionali, a me pare francamente eccessivo e controvertibile. Non si dovrebbe quindi escludere a priori una reimpostazione complessiva del problema, alla luce del principio giurisprudenziale costituzionale consolidato per cui la valutazione di costituzionalità non riguarda la disposizione in sé considerata, ma la norma inserita nel complesso del sistema normativo di riferimento”.

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