Essere genitore significa molte cose. Amore incondizionato, perenne responsabilità, forza e resistenza al di fuori di quelle realmente a propria disposizione. Ma anche sorrisi, affetto e tutto quanto di bello può offrire il rapporto con un figlio. Perché è vero, la genitorialità risente di molti aspetti della vita di ogni giorno. E i cambiamenti della società influiscono, direttamente o indirettamente, sulla possibilità stessa di essere o meno genitore. Non sulla sua essenza però. Quella resta, a prescindere dai dati statistici o da qualsiasi inverno demografico. La Festa del papà, collocata non a caso nel giorno di san Giuseppe, sembra dirci proprio questo. O meglio, sembra ricordarcelo. Tenta di ricordarcelo. Al di là delle incombenze quotidiane, delle difficoltà immancabili, di tutti i momenti di crisi personale, quando tutto attorno a noi sembra dirci che è impossibile venire a capo dei problemi.
I papà di oggi
Una festa, sì, ma più che altro un momento per riflettere. Non sul ruolo del papà ma su cosa significhi davvero esserlo. Perché ogni esperienza è vita che scorre, diversa da un’altra, speciale in quanto unica. Un concetto, quello dell’essere genitore, che non guarda troppo ai dati, nonostante sia innegabile che il concepimento di un figlio, in Italia, risenta di fin troppi fattori ambientali. I quali, a conti fatti, hanno portato i papà italiani a essere tra i più “anziani” in Europa per quel che riguarda l’età al momento del primo figlio (36 in media, sensibilmente più alta rispetto a Francia e Germania, rispettivamente a 33,9 e 33,2). Un dato sul quale riflettere, in relazione al cosiddetto inverno demografico che, da tempo, mette alla prova la futuribilità del nostro Paese.
Un incontro di mondi
Ma, come sempre accade, l’amore va oltre le crisi. Siano esse materiali o dello spirito. C’è chi attende di donarlo e chi di riceverlo. E l’incontro dei due mondi significa lavorare per la creazione di un equilibrio reciproco. Di una felicità che vada oltre lo sforzo compiuto per ottenerla. Tony ha vissuto quest’esperienza qui, affrontando quelle difficoltà proprie di chi sceglie di aprire le porte della propria casa (e quelle del proprio cuore). Un percorso, quello dell’adozione, che costruisce la figura del papà in modo diverso, forse, ma con l’obiettivo e insieme la speranza di ottenere il medesimo risultato per sé e per chi è accolto: sperimentare l’amore di una famiglia.
Una storia, tre vite
Del resto, la vita ha costretto Tony a conoscere la figura di padre attraverso la conoscenza di sé stesso: “Io – racconta a Interris.it – non ho avuto una persona di riferimento chiamata ‘papà’. Il mio se ne andò di casa molto presto, sono stato letteralmente abbandonato. E questo ha reso tutto più complicato, a scuola sul lavoro… Mi sono trovato a non avere una figura alla quale guardare, negativa o positiva che fosse”. Chiaramente, crescendo, “si cerca di agire pensando a cosa avrebbe fatto un padre. Col tempo ho fatto molta psicologia autonoma, anche grazie all’esperienza avuta con mio zio, che è stato una persona importante, col quale ho avuto confidenza e relazione. Poi i miei suoceri mi hanno fatto conoscere un altro tipo di famiglia, un altro modo di essere padre”.
Un futuro da papà
Una conoscenza più matura, coincisa con la necessità di dover prendere, assieme a sua moglie, una decisione importante. Cruciale per la determinazione del futuro della sua famiglia: “Sono arrivato al punto di dover decidere cosa volevo dalla vita, perché non c’erano presupposti per avere un figlio naturalmente. C’è stato quindi un bivio, ho cercato di andare oltre e non è stato facile”. Qualcosa di bello, seppur difficile, iniziava però a farsi largo. “Sentivo che forse avrei potuto fare qualcosa, come padre o qualcosa di simile a esso. Sentivo la forza di volerlo fare con mia moglie. Siamo quindi partiti con questa esperienza”.
Dalle difficoltà al sorriso
Dalle naturali criticità di un percorso duro, come l’adozione, alla consapevolezza di star costruendo un futuro reale, vero, fatto di autentica vita familiare: “Per me, la parola papà ha un’importanza enorme. Oltre qualunque immaginazione. Per ciò che abbiamo passato è stato difficile ma il tempo mi ha dato ancora più sicurezza nel fare quello che abbiamo fatto”. Il problema, semmai, “era capire cosa fosse essere papà. Ora posso dire che è la persona che, al 100% è per il figlio o la figlia. Lui sa, al 100%, che per lui ci sei. Papà ci sarà sempre, nel bene e nel male. Lei potrà contare su di me sempre, io sono la sua figura di riferimento. Quest’esperienza mi ha segnato tanto. Il bene è quello che è arrivato”.
Accogliere e amare
È chiaro che la difficoltà vissuta non è solo quella emotiva. In ballo c’è il tuo futuro ma anche quello di chi hai accolto nella tua vita. “Nel momento in cui c’è un’adozione, inizialmente sei un estraneo. Dopo nove mesi di attesa, quel bambino è tuo. Dopo il primo giorno di incontro, invece, si è pieni di dubbi. C’è una storia dietro che potrebbe ‘pesare’. Devi essere psicologicamente pronto perché non sai quando quest’onda anomala arriverà“. Una prova che richiede enorme forza mentale piuttosto che un carattere deciso: “Da questo punto di vista mi sento ancora più forte. È un legame viscerale, nonostante ci sia dietro un mondo fatto di sensazioni e difficoltà difficili da spiegare”.
Gradazioni di colore
In fondo, vale la pena affrontare una prova simile. Fatta di abbracci respinti, magari di fatica nel lasciarsi andare davvero all’affetto più tenero tra figlia e papà. Eppure “come una goccia cinese, ci siamo avvicinati. Per un percorso del genere occorre forza mentale, non carattere. Sono gradazioni di colore e può capitare che, nel momento in cui arriva la sfumatura giusta, sopraggiungano altri fattori. Devi avere la forza mentale di dire “sono stanco ma per lei faccio questo e altro”. È come se fosse un’energia immagazzinata pronta a uscire fuori al momento giusto. E quel sorriso vale più di ogni altra cosa”. Senza prezzo né dubbi.