Alle elezioni con l’affluenza più bassa di sempre, nella singolare cornice di una tornata elettorale in autunno – unicum nella storia della Repubblica italiana del Secondo dopoguerra -, la coalizione di centrodestra raccoglie il 43,8% dei consensi e maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, mentre il Movimento 5 stelle raggiunge il 15,5% e il Partito democratico resta sotto la soglia del 20%. Nel centrodestra, la forza politica trainante è Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che dal 4,3% delle scorse politiche arriva al 26% delle preferenze. Complessivamente, domenica 25 settembre hanno espresso il loro voto 28 milioni su oltre 46 degli aventi diritto sul territorio nazionale, con un’affluenza del 63,9% dei votanti, in netta diminuzione dal 72,9% del 2018. Con il problema dell’astensionismo involontario, cioè l’impossibilità a recarsi alle urne per difficoltà o impedimenti materiali, probabilmente aggravato dall’inaspettato termine anticipato della legislatura rispetto alla sua scadenza naturale e dalle elezioni anticipate.
I seggi
Sono 235 i seggi conquistati dal centrodestra alla Camera dei deputati in seguito ai risultati delle elezioni politiche. Secondo i dati diffusi dal Viminale, la coalizione di centrosinistra avrà 80 seggi, il Movimento 5 Stelle 51, il Terzo Polo 21. Tre seggi vanno alla Südtiroler Volkspartei e uno a “De Luca sindaco d’Italia”. Nel proporzionale, Fratelli d’Italia conquista 69 seggi, la Lega 23, Forza Italia 22 e nessuno Noi Moderati. Nel centrosinistra 57 seggi per il Partito democratico, 11 per Alleanza Verdi-Sinistra, nessuno per +Europa e Impegno civico. Per M5S 51 seggi, 21 per il Terzo Polo e uno per Südtiroler Volkspartei. Nell’uninominale, invece, il centrodestra ha conquistato 121 seggi, il centrosinistra 12, M5S 10, nessuno per il Terzo Polo, 2 per Südtiroler Volkspartei e uno per Valée D’Aoste. A questi si aggiungono gli otto deputati eletti all’estero: quattro per il Pd, due per la Lega e uno ciascuno per Maie e Movimento 5 Stelle.
Sono 112 i candidati del centrodestra eletti senatori, contro i 39 del centrosinistra. I Cinque stelle hanno invece eletto 28 senatori, mentre nove sono di Azione/Italia Viva. Un senatore è stato eletto nella lista ‘De Luca sindaco d’Italia’. C’è poi un senatore eletto in Valle d’Aosta, 6 in Trentino Alto Adige e 4 nelle Liste Estero, secondo il sito del Ministero dell’Interno. Per quanto riguarda i 112 senatori della coalizione di centrodestra, nel proporzionale ne sono stati eletti 34 di FdI, 13 della Lega, 9 di Fi. Altri 56 sono stati eletti nell’uninominale. Dei 39 senatori del centrosinistra, 5 sono stati eletti nell’uninominale. Dei 34 eletti nella quota proporzionale, 31 sono del Pd e 3 dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Tra i 28 senatori dei Cinque stelle, sono 23 quelli del proporzionale e 5 dell’uninominale. Per Azione-Italia Viva tutti i 9 senatori sono stati eletti nel proporzionale. L’unico senatore della lista Luca sindaco d’Italia è stato eletto nell’uninominale. C’è poi il senatore eletto in Valle d’Aosta nell’uninominale che fa parte della coalizione di centrodestra. In Trentino Alto Adige sono stati eletti due senatori di Svp, due del centrodestra, due del centrosinistra. Per la circoscrizione Estero sono stati eletti 3 senatori nel Pd e 1 nel Movimento associativo italiani all’estero-Maie.
I tempi per la formazione del governo
Il timing per la formazione del nuovo governo ha un’unica data sicura: quella del 13 ottobre, quando si dovranno riunire, per la prima volta, le Camere. L’articolo 61 della Costituzione prevede, infatti, che i due rami del Parlamento vengano convocati “non oltre il ventesimo giorno” dal voto. Nella scorsa legislatura, ad esempio, a fronte di elezioni tenute il 4 marzo 2018, il governo cosiddetto giallo-verde o Conte I, si insediò solo l’1 giugno. Il 13 ottobre, in ogni caso, sarà una data spartiacque perché i senatori e i deputati eletti, dopo aver dato vita ai gruppi parlamentari, dovranno scegliere come primo atto i presidenti di Camera e Senato: un voto che di fatto indica una maggioranza e prelude a un accordo di massima sul Governo. Una volta eletti i vertici del Parlamento, prenderanno il via le consultazioni del Capo dello Stato che chiamerà al Quirinale i capigruppo, i leader delle coalizioni, gli ex presidenti delle Camere e i presidenti emeriti della Repubblica per capire gli orientamenti prima di affidare l’incarico a formare il nuovo esecutivo. Un incarico che il centrodestra ora chiederà per Giorgia Meloni. Qualora l’incarico sia pieno, la persona prescelta si presenterà dopo pochi giorni con la lista di ministri. Se, invece, sarà “con riserva”, il presidente incaricato svolgerà, a sua volta, delle consultazioni che lo porteranno a sciogliere la riserva e a presentare la lista dei ministri al Colle o a rinunciare. In teoria, il Capo dello Stato potrebbe affidare anche un “incarico esplorativo” a una personalità terza per vedere se si potrà dar vita ad una nuova maggioranza. Un precedente, in questo senso, si ebbe, sempre nel 2018, quando Sergio Mattarella affidò questo tipo di incarico, prima alla Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, e poi a quello della Camera, Roberto Fico. In ogni caso, quando la persona incaricata avrà concordato la lista dei ministri con il Colle, il Governo potrà giurare al Quirinale e a quel punto potrà ritenersi formalmente insediato. Poi, entro dieci giorni, dovrà chiedere e ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento. E solo dopo, l’esecutivo sarà nel pieno dei poteri.
L’intervista
Per analizzare l’esito della tornata elettorale, Interris.it ha intervistato il professor Paolo Feltrin, politologo, docente di Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste e coordinatore dell’Osservatorio elettorale della Regione Veneto.
La coalizione di centrodestra ha conquistato una maggioranza molto ampia, dispone di quei due terzi dei seggi nelle Camere per poter eventualmente apportare modifiche alla Costituzione senza il referendum?
“No, assolutamente. Questo è stato un argomento ricorso nella propaganda elettorale più che un dato ragionevolmente plausibile. Ora il centrodestra ha la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato, col 55%-56% dei seggi, ma è lontana di dieci punti da quella soglia. Per raggiungerla, la coalizione avrebbe dovuto prendere il 5 o 6% in più”.
Quali sono i rapporti di forza all’interno nella coalizione?
“La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha stravinto ma non può governare senza uno dei suoi due principali alleati, perché di quel 55-56% di maggioranza nelle aule parlamentari l’8-9% a testa ce l’hanno la Lega e Forza Italia. Fdi ha un compito immane davanti a sé, se uno guarda ai precedenti di fenomeni come Renzi nel 2014, il Movimento 5 stelle nel 2018 o Matteo Salvini l’anno dopo, perché Meloni ora ha intercettato l’‘onda’ e deve dimostrare di sapervi restare sulla cresta, non di scendere. Il suo partito tradizionalmente raccoglie consensi al Centro-Sud, stavolta ha preso più voti in Veneto e in Friuli-Venezia Giulia che hanno voluto in qualche modo protestare contro la Lega. Il tema principale all’interno del centrodestra è il futuro della Lega, che ha un problema di riassetto generale. Non ha mai infatti risolto la questione se si tratta di un ‘partito del leader’, dove il capo decide e si fa come vuole lui, o un partito storico di massa. Inoltre vive la contraddizione storica tra l’identità di partito territoriale e la volontà di diventare una forza nazionale. In Italia i partiti territoriali non hanno mai funzionato, non c’è una tradizione come ad esempio la Csu bavarese, partito “fratello” della Cdu. Una delle sorprese di questo voto è il risultato di Forza Italia, che ha raccolto un voto prevalentemente meridionale. Una parte, per quanto piccola, di elettorato considera il fatto che l’identità del partito corrisponda con quella del suo leader Silvio Berlusconi un fatto positivo e per questo lo vota. Le elezioni fotografano in maniera più dettagliata possibile il Paese così com’è e spesso le preferenze si muovono all’interno degli stessi bacini elettorali: nel 2001 e nel 2008 Forza Italia era sopra il 30%, poi è stata la volta della Lega di superare il 30% e ora abbiamo Fdi al 26%. Complessivamente il bacino elettorale della coalizione si mantiene sul 45-46%, lo stesso dicasi per l’altro campo”.
Riguardo l’altro campo, quello non di centrodestra, il Partito democratico non ha raggiunto il 20% delle preferenze e il Movimento 5 stelle è risalito a poco sopra il 15: i secondo hanno recuperato quello che i primi hanno perso?
“Se guardo i risultati così come sono e sommo le varie componenti di centrosinistra e i loro possibili alleati, vedo in quel campo un possibile 48% complessivo. Il segretario dem Enrico Letta ha fatto scelte diverse, tuttavia va tenuto presente che la questione si ripropone anche dopo le elezioni se il centrosinistra vuole costruire un’alternativa”.
Come valuta la performance del cosiddetto “terzo polo” e qual è il suo peso?
“Non avendo raggiunto la soglia simbolica 10%, ha ottenuto un risultato che non è pessimo né soddisfa le attese. Dimostra che nel nostro paese il ‘centro’ conta poco e non è omogeneo, ma in qualche maniera sempre diviso tra destra e sinistra. Non esiste oggi un centro ‘vecchia maniera’, come negli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi il centro di è ridotto”.
In queste elezioni l’astensione è salita ancora, a scapito dell’affluenza. Come si spiega questo ulteriore calo, in un trend che va avanti da tempo?
“E’ sempre più ampio l’astensionismo involontario, cioè quello di chi vuole votare ma non può perché si trova altrove per motivi di studio o lavoro o perché in qualche modo impossibilitato. Oggi rappresenta circa un terzo dell’astensionismo e riguarda soprattutto i più giovani. Occorrerebbe favorire il voto di chi è lontano o si trova impossibilitato a recarsi al seggio. Poi c’è un 20 di astensionismo volontario, di protesta, che in questa tornata ha ‘colpito’ prevalentemente la Lega al Nord e il centrosinistra nel Sud Italia. Il Meridione, tra l’altro, è penalizzato da entrambi i tipi di astensioni, quello involontario e quello di protesta”.