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Farabollini: “Opere di prevenzione per rispondere agli effetti del cambiamento climatico”

Dall’incontro tra un evento climatico estremo e la scarsità di opere di prevenzione sul territorio, che lo rendano in grado tenere, di saper “rispondere” a una situazione eccezionale, sono scaturiti nuovamente distruzione e dolore per delle vite spezzate. Dieci persone sono morte nell’alluvione generatosi in seguito al nubifragio più intenso degli ultimi dieci anni, secondo il Cnr, che ha colpito, dall’entroterra marchigiano verso la costa adriatica, le province di Pesaro-Urbino e Ancona. L’hinterland di Senigallia, città che ha già vissuto lo straripamento del fiume che l’attraversa, il Misa, nel 2014, è quello che ha pagato un prezzo più alto. Il triste bilancio delle vittime ne registra a Ostra, a Ostra Vetere, a Trecastelli, nella frazione di Bettolelle e Barbara. Tre sono i dispersi.

Evento fuori scala

“E’ il secondo evento estremo in un mese, dopo le tempeste che si sono abbattute sulla Corsica, la Toscana e la Liguria ad agosto, e per le Marche è stato totalmente fuori scala”, spiega a Interris.it l’ esperto di temi climatici e ambientali Daniele Cat Berro della Società meteorologica italiana. Un evento estremo che ha inoltre lasciato sfollate quasi 200 persone, secondo la Prefettura di Ancona, e ha impiegato circa 380 vigili del fuoco in 500 interventi.

L’intervista

Per provare a capire meglio cosa è successo e cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo, o almeno contenere i danni e il tragico bilancio, Interris.it ha intervistato il presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche Piero Farabollini.

Cosa ha provato quando ha visto quelle immagini?

“La prima a cui ho pensato è stato il dolore che possono aver provato quelle persone a perdere la propria casa, i propri cari e i propri affetti. Di fronte a quella devastazione, poi, pensi a noi esseri umani quanto siamo ‘piccoli’ di fronte alle forze della natura. Un attimo dopo, però, rifletti sul fatto, che nonostante queste forze siano molto importanti, non abbiamo fatto sufficienti interventi di prevenzione. Si provano rabbia, sconforto e anche un senso di impotenza, perché spesso noi geologi cerchiamo di sensibilizzare sulla prevenzione e non veniamo ascoltati”.

L’allerta meteo gialla era prevista per le zone più interne delle Marche, ma ingenti danni e soprattutto vittime si sono registrate verso l’anconetano. Cos’è successo?

“In quelle zone l’allerta meteo parlava sì di una piovosità importante, ma 440 millimetri di pioggia in tre ore sono il 50% della pioggia annuale in quelle aree. Il fiume Misa, che attraversa Senigallia, non era pronto a ricevere tutta portata liquida e una volta a valle ha ‘raccolto’ preso sedimenti e legname fino ad attraversare l’abitato di Senigallia che non sapeva come farlo defluire. Nel momento in cui tracima, il fiume allaga il territorio e porta via quello che trova. La stessa così si era verificata otto fa, nel 2014, sempre a Senigallia e ci furono tre vittime. Un evento del genere avrebbe dovuto spingere a realizzare in tempi brevi delle opere di prevenzione adeguate, ma gli interventi sono stati pochi”.

Quello che è successo è stato un evento estremo che non era possibile prevedere?

“Anche questi eventi, nuclei temporaleschi autorigeneranti che assumono grande forza, ci fanno comprendere che il cambiamento climatico è in atto. Prima non c’erano eventi temporaleschi rapidi, brevi e intensi come questo, erano più brevi e meno intensi. Il cambiamento climatico, il riscaldamento atmosferico e quello delle acque – si è registrato un aumento di temperatura del Tirreno e dell’Adriatico tra +0,5 e +1 grado –  impattano sugli eventi temporaleschi. Basti pensare che in queste zone cadono circa 800 millimetri di pioggia nell’arco dell’anno, adesso con due o tre eventi ne scende complessivamente la stessa quantità. Non sono prevedibili i singoli eventi in sé, ma non siamo preparati a far sì che il territorio non subisca danni”.

Il territorio marchigiano ha delle caratteristiche particolari?

“Nelle Marche la distribuzione dei corsi d’acqua dall’Appennino all’Adriatico è detta a pettine, mentre i fiumi secondari formano un reticolo geografico breve e con pendenze anche importanti nelle zone montane. Queste caratteristiche sono importanti e dovrebbero far ragionare sull’importanza della prevenzione, del drenaggio adeguato per permettere ai fiumi di far defluire le portate liquide importanti, della manutenzione ordinaria. Nell’ultimo secolo in questa regione c’è stato l’abbandono delle zone montane, non sono più state coltivate e si è perso anche un corretto utilizzo del territorio. Non si sono più curati i canali di scolo e la vegetazione viene lasciata ramificare, andando così a fare ostruzione”.

Quale nuovo approccio bisogna adottare per far sì che non si ripeta?

“Sappiamo che questi eventi possono essere imminenti e nel tempo le cose non andranno a migliorare, i temporali improvvisi diventeranno la norma. Dobbiamo adattarci a questo cambiamento e dobbiamo rendere il territorio capace di ‘rispondere’ al tipo di clima a cui andiamo incontro. Il fiume è pur sempre un elemento naturale e dobbiamo pensare che una sua vita propria, dobbiamo permettergli di muoversi liberamente dentro il proprio alveo senza non restringerlo in argini alti e stretti, anche perché arriverà quella pioggia per la quale non saranno più sufficienti. Invece i letti dei fiumi sono stati ristretti artificialmente del 50%. Le opere di prevenzione funzionali sono i bacini di espansione, le casse di laminazione, anche automatizzate, per dare possibilità al fiume di sfogare in aree che vengono allagate per poi reimmettere il corso d’acqua una volta che la piena è passata. Ancora, servono opere di deflusso delle acque e di drenaggio adeguate, così i sistemi fognari, sulla base dell’evento critico”.

Lorenzo Cipolla

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