Categories: copertina

Pratesi (Fai): “La sfida di una nuova progettualità che metta al centro il paesaggio”

© Fai

Come in una casa in cui si abita si instaura una relazione che lega l’abitazione e chi ci vive dentro, in cui il secondo si prende cura della prima, lo stesso vale – o meglio, dovrebbe valere – per il rapporto tra gli esseri umani e quella che papa Francesco, nella sua enciclica Laudato Si’, chiama la nostra “casa comune”. I cambiamenti climatici, con i loro effetti sull’ambiente e sulle popolazioni, e non solo loro, sono invece il segnale dall’allarme che questa relazione corre seriamente il rischio di rompersi, a causa di un assai lungo periodo in cui lo sfruttamento delle risorse per la produzione di beni di consumo viene messo in atto senza tenere conto dei limiti fisici del pianeta e del suo impatto sui delicati equilibri dei suoi ecosistemi. Invertire la rotta e capire che una gestione sana e rispettosa della Terra, all’insegna di una vera convivenza, è innanzitutto un vantaggio e un beneficio per ogni persona, nel presente e per le generazioni future, è prioritario. “Comprendere che l’uomo è inserito dentro la definizione di ambiente è una cosa che ci responsabilizza”, spiega a Interris.it Costanza Pratesi, responsabile Ufficio Paesaggio e patrimonio del Fondo per l’ambiente italiano (Fai)  “per capire l’ambiente oggi e trovare delle soluzioni onnicomprensive è  necessario comprendere questo intreccio indissolubile, questa co-evoluzione

L’intervista a Costanza Pratesi

Di cosa parliamo, quando parliamo di ambiente e paesaggio?

“L’ambiente è l’intreccio di matrici misurabili e il paesaggio ha un valore culturale molto importante. Occorre superare tutte le dicotomie sulla definizione del paesaggio, poiché precedentemente si è vissuta una falsa dualità tra il paesaggio ‘da cartolina’ e paesaggio di realtà. La Convenzione europea del paesaggio del 2000 prevede un obbligo progettuale nei confronti del paesaggio e nell’indice del Benessere equo e sostenibile (Bes) è inclusa una serie di indicatori utili a misurare la qualità della vita, come la qualità dell’acqua, dell’ambiente e ancora la qualità sensibile del paesaggio”.

A febbraio è stata inserita nella nostra Costituzione, con modifiche all’articolo 9, la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Lo stesso articolo della Carta prevedeva già la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. I nostri padri costituenti quindi avevano già una certa sensibilità, quali passi avanti sono stati fatti?

“All’epoca vennero fatte delle riflessioni importanti e negli anni successivi la Consulta ha potuto difendere l’ambiente come bene costituzionale interpretando quanto previsto dall’articolo 9. Quando parliamo di ambiente e paesaggio non parliamo di cose diverse ed esplicitarlo vuol dire avere una coscienza maggiore di quella che è la vita sul pianeta. La sensibilità ambientale sbocciata già sessant’anni fa con il Club di Roma ha raggiunto oggi un fase più matura e ha riconosciuto l’importanza di trasmettere alle generazioni future un ambiente non danneggiato, per permettere loro di godere della stessa qualità di vita avuta da quelle precedenti e dalle attuali. Le conseguenze dell’attività predatoria dell’essere umano ricadono moltissimo sulla specie umana, perché la vita sul pianeta è in grado di sopravvivere mentre la specie umana, forse, lo è meno.”.

Qual è lo spirito che anima le attività del Fondo per l’ambiente italiano?

“La nostro fondatrice Giulia Maria Crespi, prima di dare vita al Fai, faceva parte di Italia nostra e sentiva il bisogno di agire, di fronte al boom economico e all’assalto delle risorse culturali e naturali del paese. Così si è ispirata al National Trust britannico. La nostra ‘azione’ passa attraverso la cura e la restituzione alle persone dei nostri beni, frutto principalmente di donazioni e lasciti. Quest’attività ha tanti significati, dal valore storico-artistico alla diversità del nostro patrimonio, che va dai castelli fino ai pascoli. Il nostro obiettivo è far conoscere questi beni e far incontrare chi vive in quei luoghi con il pubblico che viene a conoscerli”.

Come, in questi quasi cinquant’anni di vita, si sono evolute le attività del Fai?

“Abbiamo raccontato molto la parte culturale, d’altronde i parchi sono prodotti culturali, e oggi abbiamo ampliato il nostro approccio includendo la divulgazione scientifica. I nostri ambienti sono da sempre dei ‘laboratori di sostenibilità’,  e noi agiamo in quest’ottica di risparmio di acqua e del consumo di energia. Nei nostri beni sono conservate delle testimonianze storico-culturali, quelle che nel mondo anglosassone chiamano traditional knowledge, come la modalità di far crescere un albero su un’isola assolata e battuta dal vento, Pantelleria. Nel Giardino Pantesco è possibile farlo grazie a un muro a secco che cinge l’albero e gli garantisce l’ombra e l’acqua. Da questo esempio di sapere tradizionale si può passare allo poi studio per capire come coltivare nelle zone a rischio di stress idrico”.

Come attività produttive, per esempio l’agricoltura, possono aiutare a tutelare il paesaggio?

“Un esempio virtuoso è il Giardino della Kolymbethra, frutto di una sapienza millenaria in grado di coltivare in una zona siccitosa ai piedi della Valle dei Templi, ad Agrigento. Lì sono stati scoperti dei grandi tunnel ipogei, risalenti 2.500 anni fa, congiunti a una fonte idrica, dove scorrevano corsi d’acqua che venivano poi raccolti in delle vasche, dando vita a un posto che attraeva tanti animali. Quell’acqua raccolta nelle vasche veniva poi indirizzata ai singoli alberi di arance con modalità parsimoniose, quasi un processo di irrigazione a goccia antelitteram. Grazie a questo, oggi lì abbiamo una grande diversità agronomica, delle varietà di agrumi altrove quasi scomparsi, che ci permettono di valorizzare i prodotti biologici locali. Questo intreccio di competenza tecnica ‘ancestrale’ e bellezza compositiva è fondamentale, mentre con l’agricoltura industriale abbiamo campi appiattiti, inquinanti e di qualità paesaggistica scarsa. Come io produco ha anche la sua impronta culturale, e oggi le imprese  tornano a cercare il valore dei luoghi e delle comunità”.

Con la transizione ecologica si vuole di potenziare e incentivare l’uso di fonti di energia rinnovabili, come l’eolico e il fotovoltaico. E’ possibile una convivenza tra infrastrutture e l’ambiente che non sia solo una limitazione del danno ma sia anche positiva e fruttuosa?

“Quella della transizione è una sfida culturale che dobbiamo ‘cavalcare’ nell’ottica di una progettualità consapevole dell’impatto sul paesaggio, partendo proprio da quest’ultimo. Perché è nel paesaggio che le generazioni leggeranno la nostra capacità di aver dato risposta alla questione dell’energia. Non si deve aver paura di modificare il paesaggio, si può farlo con sapienza, e infatti dove si sono fatti progetti ‘alti’ si sono tenuti insieme ambiente e innovazione. Serve una pianificazione nazionale a monte che individui le aree idonee, come quelle abbandonate, i siti di interesse nazionale (Sin), i capannoni industriali e i parcheggi. Le linee guida del Ministero della Cultura per l’installazione di impianti di pale eoliche andranno aggiornate, pensando in partenza al paesaggio e non dopo, per evitare l’‘effetto selva’, secondo nuovi criteri quali il non utilizzare le cime dei crinale o percorrere quelle ‘linee’ preesistenti in natura, leggendo quello che ci ‘dice’ il contesto. Urge un lavoro di composizione da pensare per ogni luogo, ci sono tanti paesaggi che si possono rendere più sani e più belli progettando in una maniera qualitativa. Per esempio, installando i pannelli solari sui tetti dei capannoni industriali e delle aziende agricole consente anche di bonificarli di quello che ancora è rimasto di amianto”.

Come rendere più efficace e capillare la sensibilizzazione delle persone sui temi ambientali, paesaggistici, culturali ed ecologici?

“Ci vuole grande impegno di formazione negli enti pubblici e nelle imprese su cosa sono l’ambiente e il paesaggio e quali sono le possibilità d’intervento per migliorare, per esempio, l’impatto idrico. E su questo il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede degli investimenti. Noi come Fai portiamo le persone a visitare i nostri beni, gli raccontiamo quanto più possibile, forniamo loro contenuti su acqua, energia,  biodiversità vegetale e animale. Attiviamo inoltre dei programmi per le scuole per raccontare ai giovanissimi le complessità dell’ambiente e del paesaggio. Con le nostre campagne organizziamo visite guidate specializzate poi riproposte sul web. Infine, invitiamo nei nostri beni degli esperti per raccontare il cambiamento climatico”.

Lorenzo Cipolla: