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L’Europa del dopo Trump: cosa cambia con Biden alla Casa Bianca

Dall'Europa alla Cina: in attesa della risoluzione degli ultimi nodi, l'eventuale ripresa del filone democratico a Washington potrebbe modificare l'influenza americana su alcuni dossier internazionali. Interris.it lo ha chiesto all'ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente Iai

Probabilmente non arriverà mai l’ammissione della sconfitta. Perlomeno non adesso, non a stretto giro. Donald Trump si concentra sulla battaglia legale, attende il riconteggio (a mano) delle schede in Georgia dicendosi sicuro che la nuova conta lo premierà. Rimescolando non poco le carte in tavola. Tutte supposizioni però: al momento il presidente eletto è Joe Biden, vincitore dell’Election day e pronto a riallacciare il filo democratico interrotto nei quattro anni intercorsi tra l’ultima presidenza Obama e l’amministrazione Trump. Un discorso che includerà l’ampio spettro delle relazioni internazionali, soprattutto in merito all’eredità trumpiana sui grandi dossier a livello mondiale.

Biden e l’Europa

Non a caso, probabilmente, i primi a congratularsi con il presidente eletto sono stati i leader europei. Anche chi, come Boris Johnson, sulla partnership con Trump hanno impostato tutta la loro politica verso Washington. E il tema Brexit è fra i più caldi, anche se non l’unico. Nella considerazione che una presidenza Biden potrebbe influire in altri termini sulle relazioni fra le due sponde dell’Atlantico. Anzi, come spiegato a Interris.it dall’ambasciatore ed ex commissario europeo all’Industria, nonché attuale presidente Iai, Ferdinando Nelli Feroci, il ruolo dell’Unione europea potrebbe riacquistare quelle quote scese vertiginosamente durante l’ultimo periodo repubblicano alla Casa Bianca.

Ferdinando Nelli Feroci

Presidente, partiamo dall’Europa. Forse non è un caso che i primi a congratularsi con il presidente eletto siano stati proprio i leader europei, fra i quali il premier britannico Boris Johnson. Considerando i suoi rapporti di intesa con Trump, il ritorno a un’amministrazione democratica potrebbe cambiare le carte in tavola nel dossier Brexit?
“Premesso che il negoziato sulla definizione del futuro delle relazioni fra Regno Unito e Unione europea è ormai alle battute conclusive, e che realisticamente ci si dovrebbe attendere un esito positivo. Anche se la prudenza è comunque obbligatoria data l’incertezza che ancora sussiste sul quadro complessivo. Credo che l’elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti, dovrebbe indurre il premier britannico a stringere i tempi per una conclusione positiva del negoziato. In altre parole, Johnson ha perso una sponda a Washington. Non dimentichiamo che Trump, fin dall’inizio del suo mandato alla Casa Bianca, era stato un fortissimo sostenitore della Brexit, e il primo capo di governo a essere ricevuto è stata Theresa May. Alla quale aveva consegnato un forte messaggio di sostegno al processo di uscita dall’Unione. Faceva parte di una politica di Trump di indebolimento sistemico e strategico l’Ue. Con Biden le cose dovrebbero cambiare. Abbiamo un presidente democratico molto più aperto e collaborativo con l’Unione. E certamente non interessato a indebolirla”.

Un tavolo negoziale, quello della Brexit, che negli ultimi mesi ha assunto sempre più una deriva verso il No deal. Il fattore di rischio perderebbe quota con una presidenza Biden?
“C’è un secondo rilievo messo in luce dalla stampa in questi giorni. Le origini irlandesi di Biden lasciano ritenere che si adopererà con Johnson affinché non vengano rimessi in discussione quegli aspetti dell’accordo di recesso che avevano regolato il rapporto fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda. Il rischio peggiore che potrebbe emergere da un fallimento del negoziato è che si rimettano in discussione anche quelle intese. E quindi, di conseguenza, che si possa in qualche modo pregiudicare l’Accordo del Venerdì Santo, con il quale si era concluso il periodo di maggior tensione. Sono ancora supposizioni ma credo che l’arrivo di Biden dovrebbe facilitare una conclusione positiva di questo accordo, se non altro per un semplice motivo: al di là delle scaramucce tattiche che hanno caratterizzato tutto il negoziato, il Regno Unito ha enormi interessi alla conclusione positiva del negoziato. E una Brexit senza accordi sarebbe un disastro anche per l’economia britannica”.

Restando al Regno Unito, come va letta la strategia britannica di partnership commerciale con Paesi terzi? Ad esempio il Giappone…
“Questa è stata una rivendicazione da sempre, prima della May e poi di Johnson. Con l’uscita dall’Unione europea, una sorta di recupero della capacità – e della sovranità – di negoziare accordi con i Paesi terzi, commerciali e non solo. Non conosco esattamente i termini dell’accordo con il Giappone ma, generalmente, queste intese sono molto complesse, richiedono mesi se non anni prima di raggiungere un punto d’incontro. Mi ha sorpreso che venisse annunciato un accordo in tempi così rapidi con Tokyo. Riprenderanno probabilmente quei contatti già partiti fra Londra e Washington. A ogni modo, fino alla fine del periodo transitorio il Regno Unito non può concludere accordi con Paesi terzi. Quando invece diventerà pienamente operativa l’uscita dall’Ue, allora potrà farlo. Non credo ci siano difficoltà, da parte di un’amministrazione democratica, a concludere un accordo anche con il Regno Unito”.

Allargando lo spettro delle relazioni transatlantiche, il ritorno a un presidente democratico gioverebbe al ruolo dell’Europa come interlocutore internazionale?
“Credo che avrà un impatto positivo sulle relazioni transatlantiche in generale, Brexit a parte. Anche per la sua esperienza precedente, per la sua cultura politica, Biden sarà un presidente molto più attento e più interessato al dialogo con gli europei. L’Europa in qualche modo ritornerà in gioco. Trump l’aveva completamente scartata come interlocutore interessante. Io credo che ci sarà un rafforzamento della dimensione transatlantica e della collaborazione. Rimarranno alcune costanti della politica americana, per esempio la richiesta agli europei di spendere di più per la loro difesa, forse lo farà in maniera un po’ più garbata. Perdureranno probabilmente tensioni già presenti, fra Stati Uniti ed Europa, in campo commerciale. Ora c’è una questione molto delicata…”

Quale?
“Le sanzioni commerciali già annunciate dall’Europa e già autorizzate dal Wto. Sono misure compensative per i sussidi versati dall’amministrazione americana alla Boeing, il parallelo di quelle sanzioni commerciali che gli americani ci hanno imposto ad Airbus. Finora erano stati tenuti in sospeso, nonostante l’autorizzazione del Wto, perché si aspettava l’esito delle elezioni. Ma questo fa parte della fisiologia dei rapporti fra le due sponde dell’Atlantico. Immagino che ci saranno tensioni anche se l’Europa andrà avanti con l’idea della tassazione dei giganti del web, molto contrastata dall’amministrazione Trump e non credo che quella Biden possa permettersi il lusso di una posizione diversa. Lo dico per dire che ci saranno delle frizioni, degli attriti, ma complessivamente, credo che il quadro sia destinato a migliorare di molto”.

A proposito di relazioni commerciali, la disputa con Pechino alimentata dall’amministrazione Trump, rischia di schiacciare ulteriormente l’Europa fra le due sponde della contesa?
“La competizione strategica con la Cina rimarrà, è un dato strutturale. Quello che cambierà saranno i toni, i modi di come questa competizione verrà gestita da Washington. E comunque questo non è soltanto un problema di competizione commerciale ma di competizione strategica a tutto campo, che coinvolge innanzitutto il primato sulle tecnologie di punta. Quello che c’è da augurarsi è che questa competizione venga gestita dagli Stati Uniti in maniera meno unilaterale e possibilmente più concertata con gli alleati europei, in modo da definire assieme all’Europa una strategia di gestione della Cina che sia anche più efficace. Piuttosto che mettersi davanti al fatto compiuto, prendere le decisioni insieme per far fronte al fenomeno o al problema Cina”.

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