Eletto dodicesimo presidente della Repubblica il 31 gennaio 2015, Sergio Mattarella si avvicina alla conclusione del suo mandato. Più volte, l’inquilino del Quirinale ha fatto intendere di non essere disponibile a un secondo mandato. L’ipotesi di rieleggere Mattarella è stata considerata come valida da tempo dai partiti, che sembrerebbero essere in grande difficoltà a intavolare le trattative su chi votare come suo successore. Una delle strade che sembrava la più percorribile, quella che avrebbe portato all’elezione al Colle di Mario Draghi, si è complicata a causa dell’opposizione dei partiti che chiedono che il presidente del Consiglio rimanda a Palazzo Chigi fino al 2023 per dare continuità a un Paese alle prese con una lenta e difficile ripartenza dopo lo shock causato dalla pandemia da Coronavirus. Ipotesi più che realistica in quanto sembra difficile che si possa trovare un accordo su un eventuale sostituto del premier.
Il “toto Quirinale”
E mentre ci avviamo a grandi passi verso il 31 dicembre, giorno in cui Sergio Mattarella pronuncerà il suo ultimo messaggio alla Nazione in qualità di presidente della Repubblica, ha già visto – da tempo, in realtà – la luce il cosiddetto “toto Quirinale”, una girandola di nomi che potrebbero diventare gli inquilini del Quirinale. Un ventaglio di proposte che al momento non sembrerebbero mettere d’accordo i partiti che sperano ancora in un “Mattarella bis”, visto che alcune voci di corridoio sempre più insistenti sarebbero pronte a giurare che in caso gli venisse chiesto, il capo dello Stato non si sottrarrebbe al compito.
L’uomo delle regole
Ma chi è davvero Sergio Mattarella? Quali sfide ha dovuto affrontare nel corso del suo mandato come presidente della Repubblica? Come ha affrontato le tre crisi politiche che si sono verificate nel corso di questi sette anni? Interris.it ha intervistato Nicola Graziani, giornalista, decano dei quirinalisti, vaticanista e capo della redazione Esteri dell’Agi, autore del libro “L’uomo delle regole. Sergio Mattarella e la terza fase della Repubblica“.
Perché ha voluto raccogliere in un libro l’operato come Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella?
“Quello di Mattarella è un settennato che ha chiuso un’epoca, aprendone un’altra. La terza fase della Repubblica, quella in cui entra definitivamente in crisi il trentennio berlusconiano, inizia nel momento in cui Renzi, per molti versi l’ultimo interprete dei vecchi schemi, è costretto storcendo il collo a fare di Mattarella i il suo candidato. Il leaderismo politico, che in quel momento pare essere al suo apice, in realtà conosce la sua disfatta. Il nuovo Capo dello Stato, non a caso, non avrà più – come Scalfaro, come Ciampi – il problema di gestire i rapporti con un presidente del Consiglio debordante – come Berlusconi, come lo stesso Prodi e come sarebbe stato anche Rutelli se avesse vinto nel 2001 – ma con un fenomeno del tutto nuovo”.
Quale?
“Il sovranismo, il populismo, la somma magmatica di questi due concetti. Un diffuso senso di sfiducia nella democrazia e nelle sue forme, magari insufflata da centri di potere non sempre posti all’interno dei nostri confini nazionali ma sempre ispirati all’idea che possa esistere una democrazia illiberale. Il contrario della nostra democrazia, che invece è parlamentare. Anzi, che è la vera democrazia”.
Nel corso del suo mandato, Mattarella ha dovuto far fronte a tre crisi politiche (nel 2016, nel 2019 e nel 2021). Secondo lei, come le ha affrontate?
“Mattarella è quello che una volta si sarebbe definito un cavallo di razza: grande pedigree, ottimi studi, grandissima esperienza. Buona parte del libro è proprio dedicata a vedere come ha risolto tre crisi una più complicata dell’altra, e com’è riuscito a portare movimenti nati per sfasciare in strumenti – imperfetti, per carità, ma si pensi a cosa erano prima – del gioco democratico. È il metodo dei Pokemon Go”.
Pokemon Go?
“È il gioco cui lo ha iniziato uno dei suoi tanti nipoti. Andava alla grande qualche anno fa: dovevi trovare Pikachu tra i monumenti della tua città, attraverso il cellulare o il tablet. Qualcuno ebbe l’idea di piazzarlo di fronte al Quirinale, e così finì nel tablet del Presidente. Quello in cui Mattarella tiene la versione integrale della Divina Commedia. E lì il pokemon più famoso del mondo ha dovuto imparare le vecchie e sane regole della convivenza con una cultura e un pensiero ben più antico di lui. È quello che è accaduto, e sta accadendo, con tanti populisti che si sono improvvisati politici”.
Ci avviciniamo a grandi passi alla fine del mandato come Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella. Che eredità lascia all’Italia?
“L’eredità della continuità con la cultura profonda del Paese: compostezza, equilibrio. Soprattutto senso di responsabilità. Ne abbiamo tanto, basti vedere cosa abbiamo fatto con i vaccini, solo che ce ne vergogniamo come liceali che non ammetteranno mai che a loro piace studiare. Mattarella ha tirato fuori il meglio che c’è in noi. Poi ricordiamocelo: è cattolico e i cattolici sono quelli che meglio di tutti sanno interpretare l’anima del nostro Paese. L’essere venuto dalla Democrazia Cristiana, da ultimo, lo ha reso uomo di naturale sintesi e mediazione. Quello di cui avevamo bisogno di fronte a tanti urlatori”.
Le elezioni per eleggere il nuovo capo dello Stato si terranno nel gennaio del 2022. C’è veramente la possibilità che Draghi diventi il nuovo inquilino del Quirinale?
“Mai vista una elezione più complicata, eppure le ricordo tutte da quella di Pertini in avanti. Per spiegare la complessità basta una sola osservazione, che sento fare troppo di rado”.
E cioè?
“Questa è la prima volta che probabilmente non verrà eletto un Presidente cresciuto con la prima fase della Repubblica. Quella, per intenderci, della cultura dell’intesa e della mediazione. ‘L’inciucio’, come è stata definita con disprezzo più tardi, è invece è il sale della politica. Basta guardare come in Germania si fanno i governi dopo trattative di mesi e nessuno se ne duole. Bene, si consideri che un Capo dello Stato deve essere fisicamente un elemento unificatore, mentre la cosiddetta Seconda Repubblica è nata e si è rafforzata sul concetto di divisione: noi contro di voi e chi ha la maggioranza, anche risicata, comanda. Non governa, si badi, comanda. Ora, chi è cresciuto in un clima del genere, chi ha fatto propria questa idea della politica, non può essere attrezzato per essere lui o lei stessa rappresentante dell’Unità Nazionale”.
Sì, ma Draghi?
“Giusto, nella foga del ragionamento me ne stavo dimenticando. Draghi è colto, intelligente preparato e ha quel filo di spregiudicatezza che anche al Quirinale non guasta. Toglierlo da Palazzo Chigi però è rischioso, soprattutto ora che a forza di candidarlo lo hanno messo nella posizione di chi perde se non viene eletto, e se lo viene perde l’Italia. Un capolavoro”.
C’è un nome tra tutti quelli che sono circolati che secondo lei potrebbe diventare il nuovo Presidente della Repubblica?
“Nomi se ne fanno sempre …. Poi bisogna vedere in quanti, nascosti dietro una tenda, li scrivono sulla scheda. Trovo poi surreale che si parli di una donna solo perché ci deve essere una donna. Un Presidente di sesso femminile sarebbe un bel segnale, ma solo se si trattasse di una persona veramente all’altezza. Nomi al femminile ci sono, ma le più brave e più capaci o se ne stanno nascoste per non bruciarsi (ed è legittimo) oppure sono state già bruciate in questa inutile gara a chi è più politicamente corretto”.
Lei è stato un quirinalista. Cosa ci può raccontare di questa esperienza?
“Trent’anni di puro giornalismo. Anche molto divertenti. Ci tengo solo a dire una cosa: eravamo un gruppo di gente specializzata e assolutamente indipendente. Un presidente, per alcune mie domande, non mi ha più rivolto la parola per 15 anni, poi abbiamo fatto la pace. Un altro, che ho fatto arrabbiare più di una volta, alla fine divenuto un amico personale. Abbiamo preso a vederci costantemente dopo che lui ha lasciato il Colle. Sottolineo: dopo. Prima no, per una questione di rispetto dei ruoli”.
Tra le sue pubblicazioni c’è “Corse dell’altro mondo” dove racconta itinerari che percorso correndo o alla ricerca di parchi, spiagge e angoli nascosti. Un risvolto interessante della sua vita come inviato al seguito del Presidente della Repubblica. Consigli per i quirinalisti di domani?
“Verrebbe da dire: non smettere mai di correre. Io ho smesso per un misto di pigrizia, esigenze familiari e dolori alla schiena. La maggior parte di quei percorsi erano su asfalto. Me ne sono pentito, ma riprendere non è facile anche perché gli anni passano. Ma correre vuol dire anche studiare. Studiare, studiare e poi ancora studiare. Il giornalismo di oggi soffre non di faciloneria, come una volta, ma di vera e propria ignoranza. Anche questo prepara la strada al populismo”.
Ora è vaticanista. Ci sono tratti simili nei due settori?
“Molti più di quanto non si immagini: il Quirinale nelle sue prassi si ispira ancora molto – anche per via del ruolo del Capo dello Stato – alla corte sabauda, che a sua volta molto imparò e assunse dalla corte del Papi. Sarebbe un argomento bellissimo per una tesi di laurea: ispirandosi a Braudel e alla sua teoria della lunga durata, vedere quanto di Vaticano resti ancora adesso nel Quirinale”.