“Epifania manifestazione di fraternità. Tutti gli uomini sono fratelli perché si riconoscono figli di Dio. I re Magi arrivano da paesi lontani per adorare Gesù. E’ un segno di speranza. Gesù bambino si manifesta come Dio a tutti i popoli. Nessuno è escluso”, afferma a Interris.it padre Alfredo Feretti, il direttore del “Centro La Famiglia” di Roma, il primo consultorio sorto nella città di Roma. Fondato nel 1966 da padre Luciano Cupia degli Oblati di Maria Immacolata nella capitale.
Epifania e inclusione sociale
Nella solennità dell’Epifania è fondamentale il significato sociale e religioso dell’inclusione sociale. Per questo Interris.it ha intervistato padre Feretti che collabora con diverse diocesi per le attività di pastorale familiare. Tra cui anche quella di Roma, per la quale ha scritto numerosi sussidi di spiritualità. E ha seguito le attività con i separati e i divorziati. Il Centro La Famiglia si pone come obiettivo primario la tutela dell’individuo, della coppia e della famiglia. E la promozione della famiglia fondata sul matrimonio. Incoraggiandone la solidarietà intergenerazionale. E promuovendo tutte le condizioni per il pieno sviluppo della persona. Con l’Epifania Gesù si manifesta come Dio all’umanità intera. E significativamente a rendergli omaggio per primi sono degli “stranieri” che provengono da terre lontane. E’ il segno che nessuno è “scartato”?
“Sì. L’espressione che percorre l’insegnamento di papa Francesco fin dall’inizio del suo servizio. E che, oltre a inserirsi costantemente nei suoi discorsi o nei suoi documenti, si declina in gesti e azioni eloquenti. Ciò i colpisce sempre come uno schiaffo alla mia quotidianità”.Cioè?
“E’ uno schiaffo alla mia indifferenza. Che mi fa guardare la realtà partendo dall’alto e non dal basso. Mi fa affrontare i problemi non chiedendo agli ultimi, ai poveri il loro parere. Non ascoltando i loro bisogni. Ma prende le mosse dalla ricerca del mio (nostro …di città, di regioni, di Paese) ‘benessere’. Elargendo caso mai il sovrappiù. Cò che mi avanza. Si vede bene ‘solo partendo dalle periferie dell’uomo’. Non dalla sicurezza dei nostri spazi. Salvaguardati in nome di un ‘prima noi, prima gli italiani, prima …'”.Può farci un esempio?
“Papa Francesco allarga l’idea della cultura dello scarto dalla persona all’intera ‘casa comune’. Alla terra. E ci ricorda la vera ecologia (eco uguale casa). E’ la cura della casa dove le divisioni e le proprietà non sono possesso. Ma luoghi di solidarietà e condivisione. Spazi dove il metro di misura dello sviluppo di una civiltà è l’attenzione agli ultimi. Agli emarginati. A coloro che sembrano non rientrare nel profitto, nei cicli di produzione. A coloro che non hanno voce nelle decisioni. E vengono lasciati da parte”.A chi si riferisce?
“Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze. Che finiscono per produrre una cultura dello scarto. E questa tende a divenire mentalità comune. Le vittime della cultura dello scarto sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili. Cioè i nascituri. I più poveri. I vecchi malati. I disabili gravi. Che rischiano di essere scartati. Espulsi da un ingranaggio che dev’essere efficiente a tutti i costi. Per questo parlare di cultura dello scarto sembra essere un ossimoro. Perché in effetti non è una cultura”.Chi sono i fragili e gli emarginati che la società tende a scartare?
“Sono tutti coloro che sembrano non rientrare nel profitto. Che non producono un guadagno. Occorre comprendere chi siano effettivamente per papa Francesco gli scartati. Credo basti guardare, a modo di esempio, ad alcuni suoi gesti compiuti in questo tempo di Natale”.Quali?
“Le migliaia di tamponi mandati ai poveri. Ai senza fissa dimora. Ai transessuali che chiedono attenzione alla loro situazione. Alle famiglie in difficoltà. L’incessante e nascosta azione portata avanti dal suo elemosiniere in favore degli ultimi. Il suo insegnamento non manca di evidenziare senza sosta i volti degli scartati”.In che modo?
“Basta rileggere il lungo elenco delle situazioni di crisi o di guerra che ha fatto nella benedizione solenne del giorno di Natale. In ogni paese menzionato c’erano volti di scartati. I bambini che pagano ancora l’alto prezzo della guerra. Le minoranze oppresse in molti paesi. Le vittime ‘isolate’ e flagellate dalle calamità naturali. I milioni di poveri che, aggrediti dalla pandemia non hanno accesso alle cure. E soprattutto è implicito un invito”.Ossia?
“L’invito a non fare della speranza racchiusa nei vaccini un trionfo degli individualismi nazionali. Non possiamo lasciare che i nazionalismi chiusi ci impediscano di vivere come la vera famiglia umana che siamo. Non possiamo neanche lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi. E ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle. Non posso mettere me stesso prima degli altri. Issando le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione al di sopra delle leggi dell’amore. E della salute dell’umanità”. Cosa chiede?
“E’ giusto rivolgersi ai responsabili degli Stati. Alle imprese. Agli organismi internazionali. Per chiedere di promuovere la cooperazione e non la concorrenza. E di cercare una soluzione universale. Vaccini per tutti. Specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!”.Nell’Epifania all’intera umanità si manifesta la divinità di Gesù. Cosa accomuna gli interventi del Pontefice a favore della fraternità umana?
“E’ possibile trovare un filo conduttore. Anche se le encicliche papali sono documenti così ricchi che ogni semplificazione impoverisce il tutto). Mi sembra si possa dire che tutto è visto in relazione. Tutto è legato. E di questo tutto, ognuno di noi è responsabile. Alla globalizzazione dell’indifferenza si oppone la globalizzazione del legame. Della solidarietà, chiarificata e arricchita dal valore della fraternità. Ritorna l’idea della casa. Della responsabilità. In tempo di pandemia queste dimensioni acquistano ancor di più la loro importanza”.Cosa si può imparare dalla pandemia?
“Quello che viviamo è da una parte un macro-trauma che coinvolge tutti. Accomunandoci nella medesima condizione di precarietà e di ricerca di risposta. Dall’altra, questo macro-trauma contiene una moltitudine di microtraumi. Di perdite. E di conseguenza, di lutti che coinvolgono (e a volte sconvolgono) le relazioni costitutive della nostra identità. I livelli macro si incrociano con i livelli quotidiani”.Cosa ne consegue?
“Ecco perché il contributo di qualificazione delle nostre relazioni non è indifferente. Nessuno si salva da solo. Il battito d’ali di una relazione buona può scatenare l’effetto farfalla. E causare se non un uragano, almeno uno slancio di nuovo inizio. E’ il continuo movimento di pendolo dall’universale al particolare. E caratterizza la sottolineatura dell’inestricabile destino che accomuna gli uomini”.Cosa significa essere fratelli sull’esempio dei Re Magi in un tempo così difficile?
“Mi ritorna in cuore una poesia drammatica e forte di Giuseppe Ungaretti. In questo tempo di sofferenza offre una luce mirabile.”Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte. Foglia appena nata. Nell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità. Fratelli”. La Parola fratelli risuona come un accenno di primavera. In mezzo alla guerra. Come una foglia appena nata. Come una rivolta dell’uomo del nostro tempo contro la propria fragilità”.Segno di speranza?
“Sì. E’ la splendida conclusione espressa da Papa Francesco nella notte di Natale. Sei Tu, Gesù, il Figlio che mi rende figlio. Tu mi ami come sono, non come mi sogno di essere. Io lo so! Abbracciando Te, Bambino della mangiatoia, riabbraccio la mia vita. Accogliendo Te, Pane di vita, anch’io voglio donare la mia vita. Tu che mi salvi, insegnami a servire. Tu che non mi lasci solo, aiutami a consolare i tuoi fratelli. Perché Tu sai da stanotte sono tutti miei fratelli”.