L’economia secondo Francesco. All’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano è stato presentato il volume di Elena Beccalli “Per una nuova economia”. Si tratta di una raccolta delle ricerche e delle riflessioni che il rettore dell’ateneo porta avanti da alcuni anni. Proponendo un paradigma economico fondato su quattro parole chiave: persona, etica, fiducia e cooperazione. La presentazione è stata aperta da monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano. Poi l’intervento del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, autore della prefazione al libro. E quelli dell’economista Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei e di Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia. Secondo Elena Beccalli l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale. ritenendo che sia neutrale sotto il profilo etico (anche se in realtà così non è). La pandemia e la crisi finanziaria globale hanno però evidenziato i limiti di questo paradigma, stimolando riflessioni su modelli alternativi. Che includono etica e responsabilità sociale e mettono in discussione la prevalenza della finanza sull’economia reale. Il nuovo sguardo sull’economia e sulla finanza è chiamato a enfatizzare una concezione integrale e sostenibile. Concentrandosi sulla natura relazionale della persona e sull’imprescindibilità di etica, fiducia e cooperazione. Superando la logica di mera massimizzazione del profitto. E aprendo la strada all’ottimizzazione del valore.
Economia e famiglia
“Il lavoro diventa più stressante. Domando sempre ai genitori giovani, soprattutto ai papà, tu giochi con tuo figlio?”. La risposta è: “Ma quando io esco da casa lui dorme e quando torno lui sta dormendo“. Afferma Francesco: “Il papà è fuori di casa per il lavoro, tutta una giornata, e questo non è giusto. Ma deve lavorare per dare da mangiare alla famiglia e paga la famiglia, sempre per la mancanza del papà”. E aggiunge il Pontefice: “L’importante è lavorare per creare un ambiente sempre più umano. Conosco tante imprese che sono brave, che fanno un lavoro di vicinanza a ognuno degli operai. L’operaio, l’impiegato, il caposezione, prima di tutto è un uomo o una donna che ha una famiglia. Dobbiamo custodire l’umanità di questo uomo e questa donna. In alcuni paesi dell’oriente c’è un lavoro schiavo, perché c’è una cultura del lavoro e la persona non ha tempo per stare in famiglia, hanno perso il senso della famiglia”. In un’intervista contenuta nel libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” Jorge Mario Bergoglio ribadisce che il Nuovo Testamento non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza e che il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà. Il ragionamento di Francesco è da leader morale del pianeta. Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in Veritate“, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso Jorge Mario Bergoglio si dice convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, mettendo al centro il bene comune.
Cause della povertà
Secondo papa Francesco non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. In questa ottica il Pontefice invoca programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso. Intanto, però, le parole forti e profetiche di Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno contro l’ imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti, anche cattolici, eccessive e radicali? “Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole, punti sul vivo dalle sue profetiche denunce”, sostiene Francesco. “Ma il papa non era esagerato, aveva detto la verità dopo la crisi economico-finanziaria del 1929, e da buon alpinista vedeva le cose come stavano, sapeva guardare lontano. Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI”. Restano ancora valide le pagine della Populorum Progressio nelle quali si dice che la proprietà privata non è un diritto assoluto ma è subordinata al bene comune, e quelle del Catechismo di san Pio X che elenca tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio l’opprimere i poveri e il defraudare della giusta mercede gli operai.
Radici solidali
“Non solo sono affermazioni ancora valide, ma più il tempo passa e più trovo che siano comprovate dall’esperienza“, dichiara Jorge Mario Bergoglio. “I poveri sono carne di
Cristo. Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i ‘pauperisti’, nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il ‘protocollo‘ sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi è povero, di chi soffre nel corpo, nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. È
pauperismo? No, è Vangelo”. Infatti, prosegue Bergoglio, “la povertà allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri”. Quello del Vangelo è “un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri”.
Economia ingiusta
E “mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare“. Invece, “la speranza cristiana ha bisogno di noi e del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall’altra parte”. E tutti possiamo fare qualcosa ogni giorno, “con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda“. Intanto, nel suo libro sul Giubileo, “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore”, il Pontefice afferma che di fronte alla sfida delle migrazioni “nessun Paese può essere lasciato solo e nessuno può pensare di affrontare la questione isolatamente attraverso leggi più restrittive e repressive. Talvolta approvate sotto la pressione della paura o in cerca di vantaggi elettorali“. Al contrario, “così come vediamo che c’è una globalizzazione dell’indifferenza, dobbiamo rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, affinché le condizioni degli emigranti siano umanizzate”. E chiede: “Quando sentiamo questo o quel leader lamentarsi dei flussi migratori provenienti dall’Africa verso l’Europa, quanti di quegli stessi dirigenti si interrogano sul neocolonialismo che esiste ancora oggi in molte nazioni africane?”