Verona ha l’onore di accogliere Papa Francesco per una storica visita che ha per motto “Giustizia e Pace di baceranno”. Si tratta del terzo pellegrinaggio papale in epoca moderna a Verona, dopo le visite apostoliche di Papa Giovanni Paolo II nel 1988 e di Papa Benedetto XVI nel 2006. Ma il rapporto tra i Papi e la città scaligera è ben più antico e profondo, per il ruolo cruciale svolto dalla città nei secoli. Annunciata per la prima volta lo scorso novembre dal vescovo di Verona, mons. Domenico Pompili, la presenza di Papa Francesco nella città scaligera è destinata dunque a lasciare un segno indelebile nella comunità cristiana tutta. Per comprenderne l’importanza teologica e pastorale, Interris.it ha intervistato don Simone Caleffi, teologo e docente di teologia alla Lumsa, che ha riallacciato i nodi e svelato i parallelismi con il viaggio del Pontefice, lo scorso 28 aprile, a Venezia.
L’intervista a don Caleffi sul viaggio del Papa a Verona
Qual è il significato di questa storica visita del Papa per la comunità cattolica scaligera?
“A far capire quanto sia di portata storica quest’evento, occorre guardare al numero delle precedenti visite papali a Verona: quella di papa Francesco rappresenta il settimo incontro tra un pontefice e la città di Romeo e Giulietta negli ultimi mille anni. I due più recenti sono stati quelli di Benedetto XVI, il 19 ottobre 2006, in occasione del quarto convegno nazionale della Chiesa italiana, e la due giorni di Giovanni Paolo II, il 16 e il 17 aprile 1988. Ma Verona è legata da un filo diretto al pontificato da tempi ben più antichi: Lucio III fu il primo papa a recarsi nella città veneta nel 1184 e qui vi stabilì la sede papale per circa tre anni, tant’è che il suo successore, Urbano III, fu eletto in un conclave che si tenne proprio in riva all’Adige. Con la visita di Francesco si scrive un altro capitolo di questa storia che collega Verona al papato. Rendendo nota l’ufficialità della visita del Santo Padre, il vescovo di Verona Domenico Pompili, lo scorso 25 novembre, aveva dichiarato: «Papa Francesco ha accolto l’invito di incontrare la Chiesa di San Zeno e la nostra città, definendola ‘crocevia di popoli’ e dunque spazio adatto al confronto e al dialogo». La data del viaggio, poi, risulta significativa: il 18 maggio, quest’anno, è la vigilia della domenica di Pentecoste ed il vicino 21 maggio sarà la festa del patrono”.
Perché il pontefice ha scelto Verona?
“Il Pontefice è a Verona per prendere parte all’Arena di Pace 2024, evento nel quale incontra e dialoga con varie realtà della società civile, dell’associazionismo e dei movimenti popolari presenti in Italia. Arena di Pace è un percorso iniziato lo scorso giugno, promosso dalla diocesi di Verona e da alcuni giornali cattolici italiani, che riprende l’esperienza delle Arene di pace degli anni Ottanta e Novanta. Nasce dalla presa d’atto che lo scenario mondiale di una ‘terza guerra mondiale a pezzi’ di cui ha parlato più volte il Papa è concreto e drammatico nelle sue conseguenze, toccando da vicino anche l’Italia, visto che vi sono conflitti in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Da qui l’urgenza di interrogarsi in modo serio su come può essere intesa la pace nel contesto odierno e su quali processi si possono intraprendere per costruirla”.
Il tema scelto per la visita a Verona è tratto dal Salmo 85: “Giustizia e pace si baceranno”. Quale rapporto intercorre tra giustizia e pace?
“Abbiamo la conferma anche storica che, tramite la speranza che le cose possono cambiare, non magicamente, ma per la sinergia che scaturisce fra l’opera di Dio che crea giustizia e quella dell’uomo che lavora per la pace, il mondo che Dio ha pensato per l’uomo e quello che ogni persona vorrebbe per se stessa e per il prossimo è possibile da lui riceverlo, conservarlo in noi e, infine, trasmetterlo a chi viene dopo di noi. Come diceva l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’istruzione Libertà cristiana e liberazione, ‘le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento della beata speranza, donde la comunità cristiana attinge la forza per agire risolutamente e efficacemente al servizio dell’amore, della giustizia e della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione'”.
Il motto della visita a Venezia è “Rimanere uniti nell’amore di Cristo”. Quello di Verona è “Giustizia e Pace di baceranno”. C’è continuità tra i due motti sul piano teologico?
“Certamente, le due circostanze sono diverse, pensate per momenti e motivazioni differenti: a Venezia andò in occasione della 60° Esposizione Internazionale d’Arte. Tuttavia, la continuità teologica appare chiara. Nella pericope evangelica della quinta domenica di Pasqua, Gesù, nel contesto dell’ultima cena, invita i suoi a rimanere in lui. Se, infatti, i cristiani permangono in quell’amore che il figlio di Dio mostra donandosi fino all’ultima goccia di sangue, essi non potranno che essere uniti fra di loro per portare anche alle “altre pecore che non provengono da questo recinto” (Gv 10,16: brano proclamato nella quarta domenica di Pasqua) il dono pasquale della pace che crea giustizia. Ogni guerra è un’ingiustizia che fa perdere tutto, mentre niente è perduto con la pace, per parafrasare quanto disse Pio XII, in un celebre radiomessaggio nell’agosto del 1939, alla vigilia di una nuova guerra mondiale”.
A Venezia il Santo Padre ha visitato le detenute del carcere della Giudecca; a Verona incontra e pranza con i detenuti della casa circondariale di Montorio. Perché questa attenzione verso i privati della libertà?
“Anche in occasione della sua visita a Milano, del 25 marzo 2017, il papa si era recato ad incontrare i carcerati. Perfino a chi non è recluso, sono rimaste nella mente e nel cuore le sue parole: ‘Vi ringrazio dell’accoglienza. Io mi sento a casa con voi’, ha detto Francesco ai 130 detenuti e detenute che lo attendevano nella ‘rotonda’ di San Vittore. E poi ha aggiunto: «Gesù ha detto: ‘Ero carcerato e tu sei venuto a visitarmi’. Voi per me siete Gesù, siete fratelli. Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: ‘Se lo merita’. Perché voi e non io? Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori. Pensate ai vostri figli, alle vostre famiglie, ai vostri genitori. Voi che siete il cuore di Gesù ferito». Per usare una terminologia cara a Chiara Lubich, sicuramente uno che è privato della libertà è un ‘Gesù abbandonato’ ed il vescovo di Roma non vuole che alcuno si senta abbandonato, almeno dalla Chiesa. Distribuendo la comunione nel corso di una messa in una casa circondariale romana, pensavo fra me e me che la stessa obbedienza di Gesù al Padre fino alla fine aveva redento me, esattamente come quello che riceveva l’eucaristia che, potenzialmente, poteva essere uno stupratore o un assassino”.