“In Terris è la voce degli ultimi. E’ così che l’ho pensata e realizzata nove anni fa e da allora non abbiamo mai smesso di descrivere la società, il terzo settore e la realtà ecclesiale a partire dalle fragilità e dalle periferie geografiche ed esistenziali”, spiega don Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondatore e guida della testata on line in prima linea nella comunicazione sociale. Don Aldo Buonaiuto è nato il 18 febbraio 1971. È stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1998. Dopo gli studi di Filosofia e di Teologia ha conseguito la licenza di specializzazione in Antropologia teologica. È parroco di San Nicolò di Fabriano e ricopre l’incarico di direttore diocesano per i migranti. E’ autore di numerosi libri tra i quali “Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada” (Rubbettino, con la prefazione di Papa Francesco)
Come è nata In Terris?
“Fin da quando ero studente accanto ai libri ho sempre tenuto i giornali: prima solo cartacei e poi, man mano che i mass media evolvevano, digitali. Scorgevo una lacuna. Il bene non trovava quasi mai spazio in pagina. E i ‘piccoli’ sembravano non fare notizia. In Terris nasce come opera sociale e, in quasi un decennio di attività giornalistica, ha offerto opportunità di formazione e lavoro a decine di giovani che in questo modo sono potuti entrare in un settore difficile e delicato come l’informazione”.
Quale ritiene essere lo stile comunicativo in grado di avvicinare chi scrive e chi legge?
“Don Oreste Benzi ha dimostrato nella sua missione che quando si comunica l’empatia e la condivisione avvicinano alle persone. Parlare e scrivere in modo chiaro, comprensibile e sincero è segno di libertà interiore. In fondo si tratta della differenza tra il poliedro e la sfera di cui parla papa Francesco”.
A cosa si riferisce?
“L’esempio arriva dalla ‘Evangelii Gaudium’ dove viene raffigurato l’uso del poliedro anziché della sfera come modello della realtà. Con tutto quello che ciò comporta in termini di salvaguardia della pluralità e delle differenze: all’interno della Chiesa e nel rapporto con la società. A differenza della sfera, identica da qualunque prospettiva la si guardi, il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Pur avendo la sua unità, ciascuna faccia mantiene la concretezza della propria individualità e l’aspetto dell’insieme dipende dal concorso di tutte. Ecco il punto. Siamo facce di un poliedro irregolare, che tiene insieme anche altre prospettive e competenze. In quanto tale, la comunicazione ha un ruolo fecondo e prezioso da giocare. A condizione però di non preoccuparsi di essere al centro di tutto”.
Quali obiettivi si pone In Terris dal punto di vista del racconto della realtà?
“La nostra finalità è informare a partire dalle situazioni di fragilità e marginalità. In più occasioni Papa Francesco ha chiesto l’aiuto dei giornalisti e degli operatori delle comunicazioni sociali affinché possano raccontare il mondo in modo responsabile, evitando gli slogan e le narrazioni preconfezionate. Ne emerge l’importanza di raccontare la realtà, poiché l’unica verità è la realtà. Ecco questo è il nostro obiettivo: essere testimoni onesti e credibili di ciò che accade nella società e nella Chiesa”.
Da cosa deriva la decisione di affiancare giovani che iniziano il loro percorso a professionisti di lungo corso. Considera il giornalismo un mestiere che si impara “a bottega”?
“La trasmissione dei saperi e delle competenze scaturisce spontaneamente da un patto tra le generazioni. Si impara interagendo. Per questo a In Terris giovani in formazione e giornalisti esperti lavorano gli uni accanto agli altri. Si tratta dell’attuazione di quel patto educativo indicato da papa Francesco. Se vogliamo un mondo più fraterno, dobbiamo educare le nuove generazioni a riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica. A prescindere dal luogo del mondo dove si è nati o si abita”.
In Terris si è meritata in questi nove anni una credibilità e un proprio spazio nell’informazione digitale. Tra le migliaia di articoli pubblicati quali le sono rimasti particolarmente impressi?
“Tante volte in questi anni articoli e interviste di In Terris sono stati ripresi da giornali e televisioni italiane e straniere. Un’ occasione mi è particolarmente rimasta impressa: la lettera di un anziano isolato in una Rsa durante il lockdown per la pandemia. Un messaggio fortissimo e delicato che ha commosso tutti. La missione di informare è fatta di profezia. A In Terris, confidando solo sulla provvidenza di chi sostiene il nostro impegno, ci prodighiamo per testimoniare quotidianamente la persistenza del bene, nella convinzione che faccia più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Ci sforziamo di raccontare ciò che l’umanità di oggi non è più in grado di vedere a causa delle cataratte storiche o ideologiche che spesso riducono la vista”.
Cioè?
“Gli uomini-scarto, l’urgente necessità di fratellanza con i migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita principalmente dei popoli più poveri. Cioè la galassia degli invisibili. Ecco perché il mondo ha bisogno di informazione corretta a onesta. Dal particolare all’universale. E, come ripeteva Madre Teresa, quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.
Come definirebbe il lavoro svolto finora dalla testata e cosa intende per “voce degli ultimi”?
“La corretta informazione è la nostra stella polare per accompagnare con attenzione e premura i più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito. Ognuno di noi può ridonare fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una torcia portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Ciascun informatore può ribaltare l’atteggiamento dell’indifferente. Di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri. Di chi serra gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui. In Terris si propone di promuovere una cultura di solidarietà e speranza a partire da una vocazione educativa primaria ed imprescindibile. Essere la voce degli ultimi significa trasmettere i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro. Quando si è correttamente informati si è maggiormente propensi a improntare l’esistenza alla pietà e alla solidarietà”.