L’8 dicembre 1998, giorno in cui la Chiesa festeggia l’Immacolata Concezione della Vergine Maria, don Aldo Buonaiuto, fondatore della testata digitale Interris.it e sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII, celebrava la sua prima Santa Messa dopo aver ricevuto il dono dell’Ordinazione sacerdotale. Un quarto di secolo totalmente al servizio della Chiesa e degli ultimi. In occasione di questo importante anniversario, lo abbiamo intervistato.
Don Aldo, 25 anni fa celebrava la sua prima Messa. Proviamo a fare insieme un bilancio di questo periodo?
“Non è semplice perché questi venticinque anni sono trascorsi velocemente, intensamente e allo stesso tempo con l’indescrivibile ricchezza di tante tappe condivise con una pluralità di fratelli e sorelle. Sicuramente, ciò che ha segnato di più la mia vita sacerdotale è stato l’incontro con don Oreste Benzi. Un incontro arrivato prima dell’Ordinazione sacerdotale e che ha stravolto la mia vita come uomo e poi come presbitero. Don Oreste, che oggi per la Chiesa è Servo di Dio, è stato il modello e l’indicatore del tipo di sacerdote che ho sempre desiderato essere. Certo lui è un gigante della carità e della vita spirituale e io, a suo confronto, una formica, ma sono felice di essergli stato accanto e di aver imparato da lui. Chiaramente, ci sono state tante altre figure importanti: i miei familiari che mi hanno testimoniato la fede in Cristo e l’importanza del volontariato; sacerdoti, religiose vescovi che hanno pregato per me e mi hanno fatto conoscere Gesù fin da quando ero piccolo”.
La sua vita sacerdotale è stata molto vivace e movimentata…
“Si, in effetti, accanto a don Oreste sono partito come su un treno ad alta velocità. La prima bellissima ‘follia’ che ho realizzato è stata l’apertura di una casa rifugio per le vittime di tratta, che ancora oggi continua, dopo 25 anni, ad accogliere giovani donne vittime di violenze inaudite”.
Come ha reagito il territorio nei confronti di questa iniziativa così particolare?
“I primi tempi non sono stati così facili, perché alla fine degli anni ‘90 non era così scontato che un sacerdote si occupasse delle donne costrette a prostituirsi, vivendo addirittura con loro in una casa rifugio. All’epoca ero molto giovane, non mi preoccupavano né interessavano giudizi e pregiudizi delle persone. Ero concentrato a seguire l’opera di don Oreste e, nonostante i miei tanti limiti, mi sentivo coinvolto nel soccorrere e nel liberare queste persone schiavizzate, per restituire loro la libertà e la dignità”.
Nella Comunità Papa Giovanni è animatore del servizio dedicato alle vittime delle sette, all’ascolto dei loro familiari, al vasto mondo dell’occultismo. Come è nata questa pastorale così, potremmo dire, “rara”?
“In effetti, ripensandoci non avrei mai immaginato nella mia vita di dovermi occupare del complesso fenomeno delle sette. Fu uno degli ‘scherzi’ di don Benzi che, nel 2002, mi chiese di aiutarlo in questo nuovo servizio dell’Apg23. E’ nato così un numero verde nazionale per dare voce anche a questo tipo di poveri, cioè persone che a causa dei guru e delle sette avevano perso ogni cosa. Forse quelli sono stati gli anni più difficili della mia vita sacerdotale: è stato come andare in guerra contro un nemico che non conosci. Poi con il tempo, con l’esperienza, abbiamo imparato tanto, soprattutto sui sentieri insospettabili e le trappole insidiose di questa particolare forma di assoggettamento e plagio della persona da recuperare”.
Lei è stato anche nominato esorcista in diocesi. Un altro impegno molto gravoso. Cosa vuol dire svolgere il ministero del sacerdote esorcista?
“E’ stato un altro incarico, diciamo, abbastanza ‘pesante’. Anche in questo caso, si ha a che fare con persone molto sofferenti che vivono delle tragedie interiori, ma che agli occhi del mondo potrebbero sembrare invisibili. Questa pastorale ti assorbe molto perché la gente che chiede aiuto anche in questo ambito è tantissima”.
Nel 2016, Papa Francesco l’ha nominata Missionario della Misericordia. Ci potrebbe spiegare di cosa si tratta?
“I Missionari della Misericordia sono dei sacerdoti nominati dal Santo Padre in occasione del Giubileo Straordinario nel 2016. Proprio in quell’anno dedicato alla Misericordia, il Papa ha voluto far arrivare a quante più persone possibili l’annuncio della carezza del Padre misericordioso attraverso i suoi missionari, delegati a donare il Sacramento della Riconciliazione anche per quei peccati riservati alla Sede Apostolica come segno della vicinanza e del perdono di Dio per tutti. Ci sono cinque gravi peccati per cui si poteva ricorrere solo al Papa. Il primo è la profanazione della Santa Eucarestia. Il secondo è l’assoluzione del complice. Il terzo l’ordinazione episcopale di un vescovo senza il mandato del Papa. Il quarto la violazione del sigillo sacramentale (che consiste nel far trapelare quanto ascoltato in confessione). Il quinto è la violenza fisica contro il Pontefice. Il servizio pastorale dei Missionari della Misericordia si sarebbe dovuto concludere con la chiusura della Porta Santa, ma nella lettera apostolica ‘Misericordia et misera’ del 20 novembre 2016, il Pontefice ha annunciato il suo desiderio di prolungare il ministero a tempo indeterminato”.
Lei dal 2016 è fortemente impegnato nell’accoglienza dei migranti. Cosa può raccontarci di questa esperienza?
“Papa Francesco, in quel periodo, chiedeva con insistenza ai vescovi e ai sacerdoti di aprirsi all’accoglienza dei profughi che arrivavano in Italia dopo aver attraversato su barconi di fortuna il Mar Mediterraneo. Come in tutte le diocesi, anche noi a Fabriano-Matelica abbiamo fatto la nostra parte. Il vescovo mi chiese di occuparmene in quanto ero direttore dell’ufficio migranti della diocesi. Abbiamo dato vita alla ‘Pace in terra Onlus’ che si è prodigata nella collaborazione con le Prefetture per dare a questi nostri fratelli e sorelle più sfortunati di noi un’accoglienza. E’ una grande responsabilità che richiede tante attenzioni: ci prendiamo cura di questi ‘ultimi’ che hanno bisogno di tutto, anche di ricominciare una nuova vita”.
Il suo impegno ha avuto una vasta eco anche a livello nazionale nell’opera di sostegno ai migranti. Ce ne può parlare?
“Feci anche lì la mia parte collaborando con la Cei e con il Ministero dell’Interno per far sbarcare i profughi dalla Nave Diciotti e trovare per loro una sistemazione dignitosa. Ho collaborato, in tanti altri momenti, nella realizzazione dei corridoi umanitari”.
E quindi sembra che nel tempo libero debba fare anche il parroco?
“Grazie per questa bella battuta. Essere il parroco di San Nicolò è il mio primo impegno. Un impegno senza soste, totalmente coinvolgente che cerco di svolgere dando il massimo del mio tempo e del mio spazio. Basta solo vedere le innumerevoli attività che abbiamo avviato e proseguito in parrocchia e questo è certamente possibile non solo per la presenza del parroco, ma per la collaborazione e la condivisione che si deve vivere in una parrocchia facendo modo che ognuno possa fare la propria parte con gioia e zelo”.
Nel 2014 ha anche fondato una testata digitale, quella da cui la stiamo intervistando. Perché questa avventura editoriale?
“Questa testata nasce un po’ per gioco, senza quella consapevolezza dell’impegno che avrebbe anch’essa assunto nella mia vita. Don Oreste diceva: ‘Le cose belle prima si fanno e poi si pensano’. Così avvenne anche in questo caso. In poco tempo è stata aperta una redazione, che posso definire speciale, perché costituita da giornalisti professionisti che dalle origini ad oggi prestano il loro tempo libero per insegnare a giovani candidati al giornalismo come scrivere in una testata digitale. Oggi si è formata una squadra bellissima, fatta anche di persone diversamente abili che scrivono con gli occhi o con un solo dito. Sono questi i cardini principali che rivelano il senso di questo strumento di informazione che è innanzitutto un’opera sociale. Ricordo che sono anche da vent’anni giornalista pubblicista e quindi la comunicazione è stata da sempre una mia umile passione”.
Don Aldo, vuole aggiungere una sua riflessione in una giornata così speciale per lei?
“Sì, vorrei dire grazie a tutti. Anche a quanti mi hanno messo alla prova. A coloro che mi hanno perseguitato e a tutti coloro – sono la maggior parte – che mi hanno sostenuto e sopportato. Inoltre, desidero chiedere scusa e perdono se ho fatto soffrire qualcuno e se inconsapevolmente ho recato dispiaceri. Il mio desiderio è stare in pace con tutti e trasmettere stima e amore cristiano a chiunque incontro nella mia vita, con l’aiuto Dio”.