“Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale si saldano e la migrazione diventa l’unica strategia di adattamento per chi non ha altra alternativa che fuggire dalla povertà in tutte le sue forme”. Così Luca Di Sciullo, presidente IDOS, commentando per Interris.it i dati dell’ultimo Rapporto sulle Migrazioni, pubblicato pochi giorni fa.
Le “3 C” delle migrazioni
Nel 2021, i 32 conflitti nel mondo, dei quali 17 ad alta intensità, hanno congiunto i propri effetti devastanti a quelli dell’emergenza climatica e della pandemia da Covid-19, rendendo inabitabili aree sempre più vaste del Pianeta. A questi fattori si è aggiunta, di recente, la guerra tra Russia e Ucraina che a fine settembre 2022 aveva già spinto 7,4 milioni di profughi ucraini nei Paesi Ue. Le “3 C” – conflitti, clima e Covid-19 – sono pertanto tra i fattori chiave per comprendere le migrazioni contemporanee.
Nel mondo i migranti – le persone che vivono fuori dal Paese di residenza – ammontano a 281 milioni (1 ogni 30 dei 7,9 miliardi di abitanti della Terra), di cui 169 milioni sono lavoratori. Lo evidenzia la XXXII edizione del Dossier Statistico Immigrazione, realizzata dal Centro Studi e Ricerche Immigrazione Dossier Statistico (IDOS).
L’immigrazione è sempre più “climatica”, anche in Italia
Focalizzando l’attenzione sulle crisi climatiche e il loro impatto sulle migrazioni, il rapporto evidenzia come il numero di migranti ambientali nel mondo sia in continua crescita.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dai conflitti. Tra i Paesi più colpiti: Cina, Filippine e India. Secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone.
Stime non precise poiché il numero di migranti forzati dalle cause climatiche resta per lo più non dichiarato. In Italia e in Europa, infatti, ai migranti climatici in quanto tali non viene riconosciuto lo status di rifugiato.
Gli sfollati del clima sono invisibili per la legge, ma già presenti anche nei Paesi ad alto reddito, come quelli europei. Nel 2021 i primi Paesi di origine delle persone arrivate nella nostra penisola erano tra quelli più colpiti da siccità e alluvioni. Le migrazioni ambientali sono in costante crescita a pari passo degli eventi climatici estremi nel Mondo, sempre più frequenti anche in Italia. Approfondiamo il rapporto tra clima, povertà e migrazioni forzate con il presidente di IDOS, Luca Di Sciullo.
L’intervista a Luca Di Sciullo (presidente IDOS)
1 – Il rapporto Immigrazione IDOS è giunto alla sua XXXII edizione. Come è nato questo progetto e con quali fini?
“Il Dossier Statistico Immigrazione è il rapporto socio-statistico sulle migrazioni in Italia che conosce la più lunga serie ininterrotta di pubblicazioni annuali e la più ampia e capillare diffusione a livello nazionale, anche grazie a una lunga campagna di disseminazione e diffusione, fatta di decine di eventi pubblici di presentazione del rapporto in tutte le regioni e province autonome d‘Italia, che solitamente segue alla prima presentazione nazionale di ogni edizione. Una campagna realizzata grazie al supporto di una consolidata rete di esperti e referenti regionali che non solo redigono i capitoli relativi ai propri contesti di riferimento, ma vi organizzano, durante ogni anno, incontri, convegni, conferenze, seminari, giornate di studio e altri eventi pubblici in cui il rapporto viene presentato e si approfondiscono temi specifici legati alle migrazioni. L’idea di questo rapporto è nata da mons. Luigi Di Liegro, il compianto fondatore e direttore della Caritas diocesana di Roma, che già all’inizio degli anni ’90, quando l’immigrazione era ancora un fenomeno relativamente contenuto nel Paese, comprese la necessità di fornire alla società civile, alle istituzioni, ai decisori politici, alle strutture pubbliche e private, agli operatori sociali e a tutte le persone interessate uno strumento di conoscenza quanto più aggiornato, attendibile e completo, basato su dati credibili e analisi non ideologiche, che illustrasse gli aspetti più rilevanti dell’immigrazione nel Paese, inquadrata nel più ampio contesto internazionale ed europeo, analizzata negli ambiti più rilevanti dell’inserimento sociale e occupazionale, con approfondimenti territoriali di dettaglio e corredata da un’appendice statistica la più ricca possibile. Tutto questo al fine di evitare una rappresentazione distorta del fenomeno e una informazione viziata da pregiudizi e manipolazioni su un tema che già da allora rischiava queste derive pregiudiziali. E ancora oggi questa è la principale missione sociale, culturale e scientifica del Dossier”.
Chi ha contributo alla redazione del rapporto?
“Hanno contribuito, come ogni anno, oltre 100 autori, costituiti da esperti e studiosi delle migrazioni tra i più autorevoli a livello nazionale, afferenti a una vasta pluralità di strutture pubbliche e private, nazionali e internazionali, oltre che da una consolidata rete di referenti regionali. Sostengono questo ampio progetto scientifico, sociale e culturale il Fondo Otto per Mille della Chiesa Valdese – Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi e l’Istituto di Studi Politici ‘S. Pio V’, ai quali si affiancano diverse strutture internazionali, nazionali e regionali che concorrono a organizzare una capillare campagna di disseminazione che, nei mesi successivi alla prima presentazione del Dossier, si articola in decine di eventi pubblici di approfondimento e sensibilizzazione, realizzati in tutte le regioni italiane”.
Quanti sono i residenti stranieri in Italia, secondo il Rapporto?
“Sono quasi 5,2 milioni, con un’incidenza sul totale della popolazione che sfiora il 9%: 5.193.669 e 8,8% secondo il dato provvisorio del 2021 (in linea con le risultanze del Censimento del 2020 che ha fotografato una presenza di 5.171.894 persone). I dati consolidati del 2020 attestano che per quasi la metà (47,6%) i residenti stranieri sono europei e, in particolare, per oltre un quarto (27,2%) sono cittadini comunitari. Con quote tra loro simili, di oltre un quinto, seguono asiatici (22,6%) e africani (22,2%), soprattutto originari dei Paesi mediterranei (13,3%), mentre gli americani sono il 7,5%. Percentuali alquanto esigue riguardano gli apolidi e i cittadini dell’Oceania. Tra le 198 collettività presenti, le prime cinque coprono da sole il 48,4% di tutti i residenti stranieri: i più numerosi si confermano i romeni (1,1 milioni: 20,8%), seguiti da albanesi (433mila: 8,4%), marocchini (429mila: 8,3%), cinesi (330mila: 6,4%) e ucraini (236mila: 4,6%). Oltre ai numeri, ricordo che l’immigrazione rappresenta una ricchezza economica – e non un costo – per l’Italia“.
Cosa si intende per “migrante ambientale”?
“La categoria dei cosiddetti ‘migranti ambientali’ è relativamente recente, tanto che le fonti statistiche ufficiali che, a livello globale e nazionale, conteggiano i migranti nel mondo e all’interno dei vari Paesi, non li ricomprendono ancora nel computo ufficiale, lasciandoli come categoria a parte. In effetti, il fatto che numeri sempre più consistenti di persone si spostino a causa di disastri ambientali – come siccità, alluvioni, desertificazioni, devastazioni da uragani o tifoni, inquinamenti di acqua, aria o terra e così via – provocati dal cambiamento climatico, indotto dall’uomo a livello planetario, è un fenomeno abbastanza recente, almeno nelle sue proporzioni. Ma la cosa più grave è che sta conoscendo un ritmo di aumento vertiginoso, per cui se nel 2021 quasi 24 milioni di persone sono sfollate dalle proprie terre rese invivibili da questi sconvolgimenti climatici e ambientali, tra meno di 30 anni, nel 2050, se l’andamento continuerà ad essere lo stesso, i migranti ambientali potrebbero salire addirittura a 220 milioni, con una quota sempre maggiore di essi che, oltre a spostarsi da un’area all’altra dei propri Paesi d’origine – come ancora in gran parte accade oggi – potrebbero addirittura trasferirsi fuori dei confini dei propri Stati di residenza. Considerando che oggi nel mondo i migranti sono circa 300 milioni, è evidente che si tratta di una previsione quanto mai allarmante”.
Quali altri fattori, oltre al clima, incrementano le migrazioni?
“Nel 2021 i 32 conflitti nel mondo, dei quali 17 ad alta intensità, hanno congiunto i propri effetti devastanti a quelli dell’emergenza climatica e della pandemia da Covid-19, rendendo inabitabili aree sempre più vaste del pianeta. A questi fattori di espulsione si è aggiunta, di recente, la guerra tra Russia e Ucraina, che a fine settembre 2022 aveva già spinto 7,4 milioni di profughi ucraini nei Paesi Ue. Del resto, i conflitti moltiplicano e aggravano – con un’intensità impressionante durante la guerra in Ucraina – le crisi alimentari. Oggi nel mondo soffrono la fame 870 milioni di persone, aumentate di 150 milioni dal 2020”.
Perché “l’immigrazione in Italia è sempre più climatica”?
“In primo luogo perché, sia pure per quantità ancora relativamente contenute, i migranti che raggiungono il nostro Paese sono fuggiti dai propri anche e sempre più a causa di crisi ambientali dovute al surriscaldamento globale e agli sconvolgimenti climatici. Come ho sopra ricordato, la stragrande maggioranza di persone che si trasferiscono per queste ragioni lo fa ancora all’interno dei propri Paesi d’origine, per cui si tratta propriamente di sfollati piuttosto che di ‘migranti’ in senso stretto; ma la tendenza, già visibile anche dagli arrivi in Italia, è che essi, superando le frontiere nazionali e affrontando spostamenti tra Paesi diversi, si trasformino presto in migranti veri e propri. Ma c’è anche un altro senso per cui l’immigrazione in Italia sta sempre più diventando ‘climatica’”.
In quale altro senso è sempre più climatica?
“In un mondo globalizzato, di cui le migrazioni sono al tempo stesso uno degli effetti più paradigmatici e una delle chiavi di interpretazione e comprensione più profonde, l’arrivo di persone che – al di là del loro numero più o meno esteso – sono ‘annunciatrici’, con la loro stessa presenza fisica, di un problema di portata globale che è all’origine della loro ‘epifania’, del loro apparire e rendersi presenti alla nostra vita, ci costringe a prendere in considerazione e a non poter più ignorare – avendocela ormai materializzata dinanzi a noi, a casa nostra, nella insuperabile fisicità dei migranti ambientali – la questione climatica quale questione che ci riguarda anche a prescindere, per così dire, dal tempo che fa a casa nostra”.
Dovendo fare una stima, quanti sono i migranti climatici in Italia?
“Non essendo un’informazione che gli archivi rilevano direttamente né essendo, il motivo climatico o ambientale contemplato nelle categorizzazioni ufficiali o amministrative degli stranieri che giungono nel Paese, è impossibile disporre di un dato certo. Tuttavia, è possibile ipotizzare che una certa quota di migranti entrati da Paesi colpiti in maniera significativa da disastri ambientali e sconvolgimenti climatici possa essersi trasferita di lì proprio per tali ragioni, anche nel caso in cui esse abbiamo agito indirettamente (ad esempio, provocando danni all’economia del Paese interessato e contribuendo, quindi, alla perdita del lavoro e/o della casa, o alla perdita di una rete sociale di sostegno o alla caduta nella povertà). Su questa base possiamo affermare che i migranti ‘climatici’ sono un numero significativo anche in Italia, considerando che le collettività provenienti da Paesi pesantemente colpiti da questo genere di problemi sono nel mondo una cinquantina, di cui le prime a livello mondiale – Cina, Filippine e India – compaiono tra quelle più rappresentate anche dagli immigrati in Italia, dove le cause ‘ambientali’ hanno senz’altro contribuito a far giungere un certo numero di migranti pure dalle collettività tunisina, egiziana, bangladese, afghana, siriana, ivoriana, eritrea, pakistana, iraniana e della Guinea”.
Crisi climatica – povertà economica: quale rapporto intercorre – secondo i dati IDOS – tra queste due gravi problematiche?
“Il rapporto è molto stretto, tanto che è possibile realisticamente assumere che siano migranti ‘climatici’ anche quanti arrivano per ragioni formalmente riconducibili a quelle ‘economiche’ (come il lavoro, i motivi familiari ecc.) come pure alle migrazioni ‘forzate’. Il verificarsi di gravi disastri naturali, ambientali o climatici, incide direttamente e soprattutto istantaneamente sullo stato dell’economia di un Paese o di una certa area, determinando in brevissimo tempo una condizione di emergenza spesso imprevista che, come risultato più immediato, spinge ad abbandonare fisicamente il luogo interessato. Inoltre, queste calamità sono anche foriere di conflitti e scontri violenti, spesso indotti dall’istinto di sopravvivenza o da iniziative di sciacallaggio (uccisioni, furti e aggressioni per accaparrarsi i pochi beni essenziali rimasti). In ogni caso, l’effetto è di ingenerare o aumentare la povertà economica del territorio. Le aree più povere del pianeta, il cosiddetto Sud del mondo, dove circa 8 abitanti della Terra ogni 10 devono spartirsi poco più della metà della ricchezza mondiale, per un Pil pro capite 4 volte inferiore, in media, rispetto a quello dei Paesi ricchi del Nord del mondo, molte delle aree più indigenti (ad esempio, nel subcontinente indiano e nell’Africa subsahariana), sono anche quelle che conoscono gravi problemi ambientali (carestie dovute a siccità o inondazioni o gravi tempeste o inquinamenti di acqua e terre), tanto che qui vive anche la maggior parte degli 870 milioni di abitanti della Terra che soffrono la fame, aumentati di 150 milioni solo negli ultimi 2 anni, quando anche i dissesti dovuti al clima sono diventati più estesi e frequenti”.
In conclusione, quale strada per risolvere il problema delle migrazioni forzate?
“Per risolvere la questione delle migrazioni forzate non basta solo evitare i conflitti e le guerre. E’ anche necessario imparare a convivere in maniera più sostenibile con il nostro Pianeta, rovesciando l’attuale modello di sviluppo e ragionando concretamente sul diritto a migrare”.