“La realtà foggiana è quella di essere un ‘bacino di approvvigionamento’ di lavoratori irregolari stagionali impiegati principalmente nella raccolta dei pomodori da giugno a settembre inoltrato. L’impiego irregolare nei campi è ciò che dà ‘lavoro’ ai caporali e, al contempo, permette l’esistenza dei ghetti. Come quello di Borgo Mezzanone dove sono morti due ragazzi per le esalazioni di un braciere di fortuna acceso per non morire di freddo”.
Così a Interris.it il dottor Donato Di Lella, segretario generale della Federazione Alimentare Agricola Ambientale Industriale (FAI) della CISL di Foggia.
L’intervista a Donato Di Lella di FAI – Cisl
A cosa è da imputare la tragica morte dei due ragazzi nel ghetto di Borgo Mezzanone?
“Come già rimarcato dalla dottoressa Costantino proprio su Interris.it due giorni fa, i ragazzi non sono vittime del freddo, ma della povertà che vivono i migranti assembrati nei ghetti foggiani. Come FAI Cisl abbiamo costituito – con la collaborazione della Coldiretti – una filiera etica del lavoro. Che implica far lavorare solo migranti (o italiani) con contratti di lavoro regolari. Abbiamo diverse realtà di inclusione lavorativa. Una di queste è la Princes: azienda che non accetta prodotti raccolti a mano ma solo la raccolta con le macchiane che limita l’utilizzo nei campi dei lavoratori in nero. Purtroppo, non sono ancora molte le aziende etiche nel territorio, però speriamo che crescano”.
Perché tanti migranti, anche se hanno un lavoro, restano a vivere nel ghetto?
“Le problematiche sono molteplici, principalmente di natura economica. I migranti presenti nel ghetto, anche se non sono irregolari, non riescono a uscirne perché non trovano una sistemazione esterna: lavorando solo pochi mesi l’anno, non hanno le garanzie né i soldi necessari per un affitto. Altro problema radicale è l’analfabetismo o comunque la poca o nulla conoscenza della lingua italiana. Che equivale a non conoscere neppure i propri diritti né di essere in grado di tutelarsi in modo autonomo. Su questi aspetti FAI – Cisl e ANOLF – Cisl stanno operano sul campo da anni. E’ inoltre necessaria una crescita culturale, di apertura allo straniero, da parte dei cittadini”.
“Un altro problema è la carenza di foresterie per i lavoratori che arrivano nel Foggiano in estate per lavorare nei campi e poi se ne vanno in autunno. Ce ne sono attualmente troppo poche: una a Borgo Mezzanone, di fianco all’omonimo ghetto situato sulla ‘pista’, e una a Casa Sankara , ma ha pochi posti. Il problema principale comunque sono i migranti stanziali che vivono nel ghetto tutto l’anno, molti dei quai sono irregolari”.
Quante persone ci sono nel ghetto?
“Difficile avere un numero preciso, perché in estate ci sono molte più persone mentre ora ce ne sono meno. Si tratta comunque di centinaia di stanziali, alcuni dei quali vivono lì da molti anni”.
Da dove provengono?
“Sono tutti provenienti dal Centro Africa: Nigeria in primis. Poi Niger, Benin, Ghana, Camerun…”.
Come sono arrivati in Italia?
“Dalla Libia, attraverso la rotta mediterranea. La più mortale di tutte…”
Come si vive nel ghetto?
“In modo disumano. Io dico sempre che i ghetti sono i luoghi della ‘non vita’”.
Perché?
“Perché non c’è niente. Non ci sono case, solo alcuni container vecchi di 20 anni e moltissime baracche in lamiera e cartone, assolutamente inadeguate contro il freddo. Non ci sono le fogne, solo alcuni wc chimici. Non c’è elettricità. Non c’è acqua potabile: vengono riempite delle cisterne dalle quali i migranti attingono l’acqua. Quando c’è. Altrimenti la vanno a prendere a chilometri di distanza trasportandola in delle botti. Non ci sono scuole, né ospedali, né mezzi pubblici…Senza tutto questo, non c’è neppure un futuro. Uscire dal ghetto è difficilissimo. Siamo in una realtà posta accanto alla società come la conosciamo, ma al contempo estranea ad essa”.
In che senso?
“Nel ghetto, i gruppi sono divisi per nazionalità: ci sono regole proprie e gerarchie ben precise. Non ci risulta però la presenza della criminalità organizzata”.
Che lavori svolgono i migranti residenti nel ghetto?
“Solo i lavori nei campi di bassa manovalanza. Si inizia con gli asparagi verso aprile. Poi, da giugno, c’è la raccolta dei pomodori che dura circa quattro o cinque mesi. Poi: il nulla. Per altri sei mesi”.
Da ottobre dunque non lavorano più?
“No. A settembre inizierebbe la raccolta dell’olio e dell’uva, ma le aziende cercano personale qualificato e con esperienza. I migranti che sono nel ghetto sono quasi tutti senza qualifiche e dunque finiscono di lavorare a settembre. E’ infatti uno degli impegni della FAI Cisl quello di qualificare più persone possibili affinché possano lavorare anche in altri settori”.
Chi fa incontrare la domanda con l’offerta?
“Questo è un grave problema perché non esiste una struttura che svolga questo servizio. C’è una sorta di passaparola all’interno del ghetto. Ma molto lo fanno i caporali. I coltivatori diretti si rivolgono ai centri per l’impiego, ma questi ultimi non hanno le professionalità richieste. Per la raccolta dei pomodori molte aziende si affidano ai caporali: persone che caricano sui propri mezzi i migranti, anche irregolari, e li portano a raccogliere i pomodori nei vari appezzamenti, pagati a giornata. I caporali poi si fanno pagare il trasporto e la benzina. In pratica, i migranti vengono sfruttati due volte: vengono pagati pochissimo per il lavoro nei campi – meno del minimo salariale – e inoltre devono pagare il passaggio da e per il luogo di lavoro”.
Cosa fa FAI Cisl nel ghetto di Borgo Mezzanone?
“Una nostra attività è il pulmino che garantisce all’interno di Borgo Mezzanone una presenza sistematica grazie a degli operatori che spiegano ai migranti, nelle loro lingue (inglese o francese) i loro diritti di lavoro; o per dare delle prime indicazioni su come si legge una busta paga, su quanto dovrebbero essere pagati, o per i documenti e i permessi di soggiorno. Inoltre, poiché molti sono analfabeti, o non parlano comunque l’italiano, facciamo anche i corsi di prima alfabetizzazione”.
Cosa fare contro il caporalato?
“Sarebbe necessario nel ghetto un servizio di trasporto pubblico per i migranti, anche irregolari, affinché possano svincolarsi dai caporali. Alcuni, pochissimi, riescono negli anni a studiare e a prendere la patente. Ma sono la minoranza. Altri usano la bicicletta, se sono fortunati ad averne una, sobbarcandosi chilometri di strada ogni giorno. Senza contare il rischio di essere investiti. Per questo la FAI Cisl ha regalato dei gilet catarifrangenti al fine di renderli maggiormente visibili agli altri mezzi che circolano per strada, specie di notte. Ma ancora troppi sono vincolati ai caporali. Che alimentano l’esistenza dei ghetti”.
Perché il caporalato alimenta l’esistenza dei ghetti?
“Perché il ghetto è il bacino dove recuperare tantissimi migranti in un unico luogo. I migranti hanno l’esigenza di lavorare per il rinnovo del permesso di soggiorno. Dunque accettano qualsiasi lavoro, anche sottopagato e sfruttato, pur di lavorare. Ma così non riescono a svincolarsi economicamente: lavorano pochi mesi, spesso in nero o in ‘grigio’, vale a dire con meno giorni di lavoro segnati sul libretto di lavoro rispetto a quelli realmente svolti. Dei pochi guadagni, parte devono darla ai caporali. Un ingranaggio che non permette loro di uscire dalla povertà e che addirittura la peggiora. In questo senso il caporalato alimenta l’esistenza dei ghetti”.
Quali soluzioni?
“Con la creazione di strutture che facciano da ‘ponte’ tra la chiusura del ghetto e una vita stabile e dignitosa. Il PNRR ha previsto per il superamento dei ghetti 52 milioni di euro. Soldi che devono essere usati non per rendere più vivibili i ghetti, ma per smantellare questi ‘non luoghi’ e creare delle strutture integrate nel territorio attraverso progetti ad hoc. E’ difficile, ma non impossibile. E noi di Fai Cisl ci crediamo!”.