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Di Lella (Fai-CISL): “Bene l’azione anti caporalato, ma è necessario spezzare il ‘sistema ghetto'”

Il commento a Interris.it di Donato Di Lella, segretario generale Fai CISL di Foggia, in merito ai risultati dell'Operazione Caronte svolta dai Carabinieri nei ghetti di Foggia contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo dei migranti

“La Fai – CISL esprime grande soddisfazione per la maxi operazione anti-caporalato, denominata Caronte scattata nelle scorse ore nel Foggiano e che ha portato a misure cautelari per 13 persone – compresi i due caporali – nonché al sequestro preventivo di due aziende agricole che sfruttavano il lavoro nei campi dei migranti, molti dei quali irregolari. Ciò premesso, l’impegno delle Forze dell’Ordine non è sufficiente, da solo, a risolvere il problema del ‘sistema ghetto’ e del reperimento di forza lavoro regolare per le aziende agricole”.

Così a Interris.it il dottor Donato Di Lella, segretario generale della Federazione Alimentare Agricola Ambientale Industriale (FAI) della CISL di Foggia, in merito ai risultati dell’Operazione Caronte svolta nelle scorse ore dall’Arma dei Carabinieri in vari ghetti della provincia foggiana.

Alcune immagini del ghetto di Borgo Mezzanone, a Foggia. Foto: CISL Foggia

L’operazione Caronte

Sono storie di sfruttamento e umiliazione quelle che emergono dalle indagini che i carabinieri hanno denominato “Caronte” sottolineando “l’inferno dei campi ardenti” in cui i braccianti venivano portati “a bordo di automezzi fatiscenti e illecitamente modificati per consentire l’alloggiamento di un numero superiore di persone”.

I braccianti che vivono nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, nel Foggiano – molti dei quali irregolari – erano costretti a versare al ‘caporale’ che li reclutava 5 euro al giorno per essere trasportati nei campi a lavorare in “grigio”. La somma – in accordo con i titolari delle aziende per cui lavoravano – veniva direttamente detratta dalla busta paga giornaliera.

Durante le ore di lavoro erano controllati a vista, non potevano fare pause e venivano insultati. Inoltre i caporali pretendevano che ogni bracciante riempisse in otto ore almeno 56 cassette con i prodotti agricoli. E quando uno di loro non raggiungeva questo obiettivo il lavoro di tutti continuava.

Per l’indagine “Caronte” il gip del Tribunale di Foggia ha emesso 13 misure cautelari personali: sette arresti (due in carcere e cinque ai domiciliari), due divieti di dimora e quattro misure interdittive tra Manfredonia, Zapponeta, Matera e la provincia di Monza Brianza. Per loro le accuse sono di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro, impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno.

I due ‘caporali’ senegalesi destinatari della misura cautelare in carcere sono stati rintracciati nel loro paese d’origine e i militari hanno avviato le pratiche per l’internazionalizzazione del provvedimento. Il gip – scrive Ansa – ha inoltre disposto il sequestro preventivo di due aziende agricole: la “Agrigold” di Trinitapoli (Bat) e la “Regina Agricola” di Zapponeta (Foggia), il cui fatturato annuo – secondo gli inquirenti – raggiunge circa 10 milioni di euro.

Il dottor Donato di Lella con un migrante. Foto: Fai – Cisl

Di Lella: “Servono servizi alle aziende e la chiusura dei ghetti”

“E’ necessaria un’opera congiunta tra tutte le realtà legali e ‘virtuose’ del territorio – terzo settore, sindacati, amministrazioni locali, enti previdenziali, questure, prefetture – al fine di sradicare la piaga del caporalato e delle aziende che sfruttano la manodopera irregolare”

“A tutto ciò, va però anche affiancato un progetto di aiuto concreto al territorio. Nello specifico: alle aziende regolari. La Fai – CISL comprende un’associazione di seconda affiliazione che si chiama ‘Terra Viva‘. Lo scopo è quello di andare nelle piccole aziende agricole, spesso a conduzione familiare (e che necessitano di un numero limitato di braccianti solo nella stagione estiva dei raccolti) per illustrare le novità della PAC – Politica Agricola Comunitaria – vale a dire il pacchetto di aiuto che la UE dà alle aziende agricole a sostegno di alcuni tipi di coltura seminativa”.

“Come Fai – CISL abbiamo raggiunto un importante traguardo sul piano della legalità e del contrasto al caporalato. Abbiamo infatti chiesto ed ottenuto che le aziende possano accedere ai contributi europei solo se non hanno mai avuto problemi con la giustizia e con il lavoro irregolare. Altrimenti, il contributo non verrà concesso. Questo si è dimostrato essere un potente strumento di contrasto al caporalato e allo sfruttamento della manodopera”.

“Un’altra azione potente di contrasto al caporalato è quella di sopperire all’annoso problema che hanno le aziende agricole nel reperire celermente la manodopera. Le aziende che producono colture a terra – zucchine, pomodori etc. – hanno bisogno di trovare bracciati in poche ore, altrimenti le colture marciscono. E’ necessario un canale istituzionale che unisca la domanda all’offerta. Il cosiddetto matching“.

“Per esempio, i centri per l’impiego dovrebbero avere una lista di lavoratori disponibili, a chiamata. Invece, questo servizio non esiste e l’assenza di un canale istituzionale e legale favorisce proprio i caporali, che hanno grande disponibilità di lavoratori nel ghetti. Lavoratori, spesso irregolari, che vivono in condizioni disumane e che necessitano assolutamente di guadagnare qualcosa e perciò sono costretti dalle circostanze ad accettare qualsiasi condizione, anche di sfruttamento e violenza. Come ha evidenziato l’operazione Caronte. Che, lo sottolineo, non è l’eccezione, ma è la conseguenza dell’esistenza dei ghetti”.

“Per questo, come Fai – CISL, non chiediamo di ‘umanizzare’ i ghetti mettendo l’acqua corrente o l’elettricità o i servizi igienici. Servizi comunque necessari…Ma chiediamo la chiusura dei ghetti in toto e la ridistribuzione dei migranti in più contesti abitati integrati nel territorio”.

Lo strumento principale per sconfiggere il caporalato e lo sfruttamento dei bracciati e è quello di dare un regolare permesso di soggiorno ai migranti. I ghetti esistono e crescono con coloro i quali non riescono a uscire da lì perché – senza documenti – non riescono a trovare un lavoro regolare e continuativo”.

“La realtà foggiana è purtroppo quella di essere un ‘bacino di approvvigionamento’ di lavoratori irregolari stagionali impiegati principalmente nella raccolta dei pomodori da giugno a settembre inoltrato. Alla ‘pista’ di Borgo Mezzanone vivono (o meglio: sopravvivono) 4000 persone; altre 2000 nel ghetto di Rignano”.

“Ho visto con i miei occhi come si vive lì. Sono ‘non luoghi’ dove non c’è assolutamente nulla. Neppure le case sono tali: sono solo lamiere ammassate, senza riscaldamento, luce, acqua e gas”.

“Le tragedie in tale contesto sono dietro l’angolo. Come avvenuto lo scorso 23 gennaio, quando due giovanissimi ragazzi – un uomo e una donna – sono morti per le esalazioni di un braciere di fortuna acceso nella baracca per non morire di freddo”.

L’impiego irregolare nei campi è ciò che dà ‘lavoro’ ai caporali e, al contempo, permette l’esistenza del ‘sistema ghetto’: una gabbia che intrappola i più poveri. Che – nonostante lavorino per tante ore al giorno in estate – restano sempre poveri perché sfruttati. Senza la regolarizzazione della loro posizione e i documenti, queste persone sono destinate a rimanere ai margini“.

“La Fai Cisl nazionale ha anche avviato una petizione su change.org intitolata ‘Mai più ghetti’ per chiedere al Parlamento la chiusura di questi luoghi disumani al fine di ridare dignità alle persone attraverso il ripensamento delle politiche migratorie e dei procedimenti amministrativi necessari all’ottenimento dei permessi di soggiorno. Nonché per il completamento della mappatura degli insediamenti non autorizzati esistenti. Solo attraverso tutte queste pratiche è possibile cancellare l’esistenza dei ghetti e sconfiggere il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori. E ridare dignità ai lavoratori”.

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