Ci sono poveri che non bussano alla nostra porta. Dobbiamo essere noi ad andare a cercarli. Nella nuova ondata di indigenza scatenata dalla pandemia, si moltiplicano i “crocifissi invisibili”. Quelli che, come ripeteva il Servo di Dio Don Oreste Benzi, si vergognano di tendere la mano. Golgota di un disagio da intercettare con la misericordia e la solidarietà del Vangelo nelle periferie geografiche ed esistenziali. Ogni crisi, etimologicamente, è anche momento di crescita. L’emergenza Covid, perciò, implica una possibilità di conversione individuale e collettiva. Come ha ricordato papa Francesco, da una catastrofe di queste dimensioni non si esce come si è entrati. O si finisce per esserne migliorati o peggiorati. Dipende da noi.
A giudicarci agli occhi di Dio saranno proprio i crocefissi invisibili. Del resto è nella prova che si possono ritrovare le radici della nostra fede in Colui di cui oggi, Venerdì Santo, commemoriamo il dono della propria vita per la redenzione dell’umanità. La povertà è al centro delle Sacre Scritture per poi determinare un filone di testimonianza mai interrotto nella storia della Chiesa. Ogni movimento religioso, come quello benedettino, francescano, gesuita ha sempre posto la povertà come fondamento della propria spiritualità. Malgrado nei secoli la pratica non abbia sempre mantenuto lo spirito iniziale, la misericordia è l’attuazione della Parola che viene ora riscoperta da tanto come fosse una novità. Un “vaccino” spirituale all’affievolirsi nel passaggio tra le epoche del messaggio di misericordia divina che invece pervade tutto l’Antico e il Nuovo Testamento.
A troppi “sapienti” è sembrato che un Dio che prova compassione venisse impoverito. E troppo spesso è stata attribuita a Dio la concezione umana di giustizia, che non è la sua, per fortuna degli uomini. Gli angoscianti interrogativi posti alle nostre coscienze dalla pandemia hanno contribuito a questa riscoperta del sacro. E’ lo stesso slancio che porta a Dio e quello che porta al prossimo, sia come singolo che nelle strutture sociali che l’umanità ha creato. E’ il Vangelo a documentarlo. Eppure la tentazione è da sempre quella di dividere le due cose, mentre l’impegno nell’una è la verifica della bontà dell’altro. Dalla “santità della porta accanto” degli invisibili della pandemia impariamo l’abbandono nel senso di affidamento senza riserve alla divina Provvidenza. Cioè la certezza della misericordia del Signore. La capacità di “mettersi nei panni” (nel senso di condividere) di chiunque condivida la nostra condizione umana. E’ la configurazione della povertà come attenzione amorevole per i fratelli e le sorelle. Come vero e proprio luogo teologico per eccellenza: “lì c’è Dio!”.
Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. E’ più che mai attuale, quindi in questa Pasqua di sofferenza e speranza il messaggio ai poveri con cui San Paolo VI concluse il Concilio Vaticano II l’8 dicembre 1965: “O voi tutti che sentite più gravemente il peso della croce, voi che siete poveri e abbandonati, voi che piangete, voi che siete perseguitati per la giustizia, voi di cui si tace, voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita, siete i fratelli del Cristo sofferente e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo”. E assicura papa Montini: “Sappiate che non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili: siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente. Vi sono assicurate l’amicizia, l’assistenza, la benedizione della Chiesa”.
Sulle orme del suo predecessore che ha canonizzato, Jorge Mario Bergoglio ribadisce che il Nuovo Testamento non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza e che il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà. Povertà, immigrazione, giustizia sociale, salvaguardia del creato sono temi fondanti del pontificato di Papa Francesco. Povertà, umiltà, sacrificio sono le tre caratteristiche di Gesù. il figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo. Scorgere il volto di Cristo nei bisognosi è il modo evangelico per uscire migliorati dalla pandemia.