Il futuro passerà dalle Aule. Due giorni di fuoco attendono il premier Giuseppe Conte, che dovrà per forza di cose poggiare i plichi sulla scrivania e affrontare la prova delle Camere per cercare di venir fuori dal pantano della crisi di governo. Il weekend ha visto il fermento dei partiti, di maggioranza e d’opposizione, fra chi cerca di capire cosa farà per la questione della fiducia e chi, invece, attende di conoscere da che parte tirerà il vento.
Governo, la strana aria di crisi
Il tema cruciale, semmai, è un altro: la nuova brusca frenata arriva in un momento decisamente complicato, con i soldi del Recovery da indirizzare su politiche sensate di sostegno alla cittadinanza e funzionali all’ottimizzazione del bene comune, ma anche con una larghissima fetta di popolazione che attende di conoscere se arriveranno o meno i supporti promessi al Ristori Quinquies. Italiani che aspettano di conoscere l’esito dell’ennesima crisi di governo, forse la meno compresa di sempre, non per affezione politica ma per sapere se ci saranno abbastanza motivazioni per sperare nella ripresa. Interris.it ne ha parlato con il professor Paolo Feltrin, politologo e docente di Analisi delle politiche pubbliche all’
Professor Feltrin, a quattro mesi appena dal referendum che aveva rappresentato un buon test per la maggioranza, ci si ritrova di nuovo quasi al punto di partenza. In un momento storico in cui, peraltro, oltre al Recovery Plan c’è in ballo la delicata questione del Ristori Quinquies. Cos’è accaduto e cosa c’è da aspettarsi?
“Renzi, come è spesso accaduto, ha peccato nel metodo. Lui ha intuito che c’era un problema di ricambio delle classi dirigenti, il metodo non era la rottamazione. Ha capito che il governo Letta junior era debolissimo, il metodo non era ‘stai sereno’. Ha capito che era importante la riforma costituzionale, il metodo non era rompere con Berlusconi e andare al referendum. E anche stavolta ha intuito che il governo Conte stava galleggiando, su una serie di problemi stava andando fuori strada. E’ grazie a Renzi che non si è andati alla follia dei 200 e più consulenti alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri sul Recovery Plan. Lui intuisce sempre bene. Poi, come al solito, cade in un vecchio vizio fiorentino che risale ai Guelfi e ai Ghibellini, sbagliando a fare il guascone. L’esempio classico dell’errore di metodo è la conferenza stampa”.
Ora però siamo in ballo. Conte va in Parlamento, da Italia Viva c’è qualche segnale… Come si esce dall’ennesima crisi?
“Siccome non si può né andare a votare né cambiare governo, nel primo caso perché portare 45 milioni di elettori nelle scuole che si è scelto a lungo di tenere chiuse non avrebbe molto senso, è evidente che il governo che nascerà sarà un Conte II bis, non un Conte Ter. Ossia, senza dimissioni ma con un cambio dei ministri che servono, con una fiducia. Le soluzioni parlamentari ci sono all’infinito. Tuttavia, da un lato è un governo più debole. Mentre con Renzi e la maggioranza del 2019 era ipotizzabile arrivare al 2023, nella situazione attuale è probabile che la legislatura finisca un anno prima. Una volta eletto il Presidente della Repubblica, sembra non ci sia più motivo perché la legislatura continui, proprio per la debolezza dell’esecutivo. Intendo dal punto di vista della maggioranza che lo sostiene”.
E il secondo scenario?
“Ancora più complicato. Ovvero, come farebbe un governo debole a portare a termine quello che non gli è riuscito con una maggioranza più solida. Che i problemi siano complicati non c’è dubbio, così come il fatto che ci siano molti interessi in gioco. Quando ci sono soldi pubblici, è come un vaso di miele che attira. E questo produce tensione, conflitti. Per dare ordine a questi interessi, da sempre l’unica soluzione è un governo forte, cioè quello che manca in questo momento. Che un governo debole riesca a fare qualcosa dipende dalla buona stella”.
Quale potrebbe essere?
“Ad esempio è quella che è capitata a Conte nella prima ondata. Anche in quel momento era debole e Renzi attaccava. Tuttavia, per una qualche fortuna, nella prima ondata Conte ha fatto quasi tutto giusto. Non a caso il voto al referendum può essere considerato come un ringraziamento. Dopo l’inverno la situazione è cambiata e capita sempre, in Italia, ai presidenti del Consiglio dopo un anno o due. E’ successo a Prodi, a D’Alema, Berlusconi, Renzi… Perché purtroppo la struttura del governo centrale italiano porta il presidente del Consiglio a vivere in una sorta di bolla mediatica. E la responsabilità è dei media. Anche Conte sembra essere caduto nello stesso tranello”.
Forse non è un caso che ci siano stati venti governi e dodici premier negli ultimi trent’anni…
“E tutti che cadono sull’illusione di aver fatto tutto benissimo. Basti pensare al D’Alema del 2000, era così convinto della propria stabilità da credere di poter vincere le elezioni regionali, per poi invece doversi dimettere il giorno dopo. O anche Monti, che addirittura credeva di avere consensi tali da fondare un partito che avrebbe dovuto avere la maggioranza”.
Rispetto all’ultima crisi di governo, che aveva di fatto portato alla fine dell’esperienza gialloblu, c’è la sensazione che gli italiani stavolta non abbiano colto il senso e le ragioni di questa nuova crisi…
“Perché le motivazioni, stavolta, sono tutte interne alla logica degli interessi. Quindi poco visibili. Con la storia si capirà meglio ma di sicuro le tensioni del governo sono legate ai soldi del Recovery Fund. E il 99% delle notizie relative al come, in che modo si spendano questi soldi, nessuno le sa. Nessun italiano ne ha davvero contezza. Anche solo con la Finanziaria di quest’anno, come fa un italiano a sapere le ragioni che hanno spinto a dare i soldi a questo o a quell’altro nome? Inevitabilmente la politica degli interessi è poco visibile. E siccome la crisi nasce su questo, non a caso uno dei nodi sono i servizi segreti. Sono concetti che vanno di pari passo. Questo, a mio avviso, è il motivo. Ed ecco perché la crisi assume contorno poco visibili al cittadino. L’ultima volta tutto si è giocato sulle politiche simboliche, oggi quel conflitto è giocato su altri fronti”.