Sos crisi educativa. Troppi adulti non svolgono più il loro ruolo formativo. E, in una società deresponsabilizzante, scarseggiano modelli credibili per i ragazzi. Il pedagogista e filosofo dell’educazione Piero Bertolini ha lanciato l’allarme. Nel saggio “La responsabilità educativa. Studi di pedagogia sociale”. In cerca di soluzioni capaci di perdurare nel tempo. Interris.it ha intervistato sulla crisi educativa don Aldo Buonaiuto. Il sacerdote di frontiera dell’associazione comunità Papa Giovanni XXIII è impegnato sui fronti caldi delle sfide contemporanee. Dalle nuove generazioni ai migranti. Dalle catene delle dipendenze al supporto alle fragilità. Il rapporto che intercorre tra la pedagogia e le politiche sociali richiama oggi l’attenzione in particolare sulla relazione tra la sfera educativa, i genitori e la collettività.
“Ho assistito recentemente ad un incontro che dovrebbe accedere un riflettore individuale e collettivo su questa nefasta dinamica sociale. Un bambino, ripreso da un educatore davanti ai genitori, ha cominciato a inveire ad alta voce. Urlando parolacce di ogni tipo. Sotto gli occhi del papà e la mamma. Inermi e per niente stupiti di una reazione così sproporzionata. Al contrario, appariva loro del tutto normale ciò che stava avvenendo. A meravigliarmi è stata proprio la totale mancanza di correzione dei genitori. Non hanno battuto ciglio per le volgarità sconvolgenti di un bambino di dieci anni. Nessun rimprovero. E non si tratta, purtroppo, di una caso isolato”
“Colpisce vedere come tanti bambini fin dai sei anni d’età rispondono male, con toni rabbiosi ai loro genitori. E gli insulti che riescono a proferire piombano sempre come pietre nel silenzio assordante di padri e madri. Figure così inermi e indifferenti da apparire imbalsamati. Eppure l’educazione, da quando esiste l’umanità, trova le sue radici nella relazione genitori-figli. Nell’epoca della società liquida anche questo baluardo sembra decadere, lasciando il posto ad un pericoloso autolesionismo familiare e di conseguenza sociale. Ecco dove nasce, a mio avviso, il germe della calunnia”.
“Se già quando si è così piccoli si vede l’altro come un nemico insopportabilmente irritante, così non ci si potrà meravigliare nel vedere quella stessa persona diventata biologicamente adulta pur restando sostanzialmente infantile e disumana. Si diventa grandi di età rimando piccoli. Passano gli anni ma non si matura. Trovo che l’infantilismo sempre più diffuso tra gli adulti sia una piaga profonda. Molto presente tra di noi. In una società nella quale è diventato normale ascoltare persone, anche avanti negli anni, piangersi addosso per traumi vissuti e mai superati della loro infanzia. Allo stesso modo sembra strano che in tanti si sentano appagati nel parlare male del prossimo”.
“Sì. Lungo questa via dannosa per tutti, dalle maldicenze si passa alle offese più inaudite. E tutto, anche attraverso le nuove tecnologie della comunicazione di massa, trova un pubblico accogliente. Ecco, quindi, il mondo dei social come riprova di un sistema sempre più marcio che promuove ed esalta chi grida inveendo contro qualcuno e silenzia qualsiasi opera buona. Sono queste le pietre della maldicenza. Come quelle che Gesù insegna a non scagliare contro i fratelli e le sorelle”.
“‘La calunnia è un venticello’, scrive il compositore Giacchino Rossini nel barbiere di Siviglia. E in effetti il venticello della calunnia prima o poi lo può sentire chiunque. Nessuno ne è risparmiato. E specialmente ‘chi la fa, l’aspetti’. Prima o poi tocca tutti. Nella società odierna la maldicenza e la diffamazione sono diventate tristi ‘sport’. Pratiche consuete delle quali si va persino fieri. Tanto da compiacersi e sentirsi fortunati quando la si spara così grossa da essere rilanciati da qualche social o tv. Cavalcare la calunnia offre emozioni a portata di click. Senza un briciolo di coscienza per le sofferenze provocate nel prossimo. Sono impressionanti il degrado e la bassezza morale dei tanti ragazzi che vediamo tirare pietre. Pieni di rabbia e di violenza. Incuranti del dolore altrui. Anzi desiderosi di vedere l’altro star male. E di sentirsi più forti nell’umiliare platealmente il debole”.