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Gli effetti della crisi Covid su chi soffre di ludopatia

Nei lunghi mesi di chiusure dei punti di gioco e restrizioni sembra che circa il 23% dei giocatori "fisici" lo ha interrotto totalmente, gli osservatori però esprimono preoccupazione per le riaperture. In Terris ha intervistato in merito il presidente di ALEA Maurizio Fiasco

L’anno (e più) di pandemia sembra non aver nuociuto alla salute di chi soffre di ludopatia, il gioco d’azzardo patologico, ma gli osservatori temono le conseguenze della riapertura dei punti di gioco, dall’1 luglio 2021. “Riprendere un’abitudine dismessa può avere contraccolpi pesanti e pericolosi”, ha detto a In Terris Maurizio Fiasco, sociologo, consulente della Consulta nazionale antiusura e presidente di Alea, l’associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio, dal 2016 componente dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave del Ministero della Salute.

Durante il lockdown, secondo lo studio dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa GAPS#iorestoacasa, il gioco fisico è diminuito, tanto che oltre il 20% degli intervistati lo avrebbe interrotto totalmente. Tra gli habitué del gioco fisico, solo uno su dieci infatti  avrebbe cambiato le proprie abitudini di gioco passando al digitale, mentre nel terreno dell’online un intervistato su tre avrebbe invece aumentato le giocate. “Il 2020 è trascorso tra un periodo di chiusura totale e la parziale riapertura, quando sono ripresi gli eventi sportivi è ripartito anche online”, ha illustrato Fiasco.

GAP, cos’è

Il gioco d’azzardo patologico (Gap) è una dipendenza sine sub stantia, scrive il Ministero della Salute, con ripercussioni sulla vita relazionale e lavorativa di chi ne soffre, che nel nostro Paese riguarda circa 1,3 milioni di persone, di cui solo il dieci per cento in cura.

La ludopatia è stata riconosciuta come disturbo psichiatrico dall’American Psychiatric Association (Apa) nel 1980. Quattordici anni dopo, nel 1994, è stata inserita inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Infine, nel 2013 l’International Classification Disease dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) l’ha ascritta a disturbo del controllo degli impulsi all’interno della categoria disturbi delle abitudini e degli impulsi.

Alcuni numeri

In Italia nel settore dei giochi ci sono circa 6.600 imprese e 100mila occupati, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio. Un settore che nel giro di tre lustri o poco più, tra il 2000 e il 2016, ha quintuplicato la cosiddetta raccolta, ovvero la somma totale delle puntate dei giocatori, toccando e in seguito oltrepassando quota cento miliardi di euro, fino a 110 miliardi nel 2019. Nel 2018, il guadagno per i fornitori dei servizi è stato di circa nove miliardi di euro.

Secondo i dati di una ricerca sul periodo 2016-2019 eseguita nell’ambito dell’Accordo scientifico tra Agenzie delle Dogane e dei monopoli e l’Istituto superiore di sanità nelle fasce d’età adulta, i giocatori problematici sono il 3%, il 35,5% dei quali tra i 50 e i 64 anni. Tra i più giovani, minorenni, la percentuale di giocatori a rischio si attesta sui tre punti e mezzo, mentre i problematici rappresentano il 3%.

L’intervista

InTerris ha affrontato il tema della ludopatia, di come le persone che ne soffrono hanno affrontato i mesi delle restrizioni e di come sta cambiando lo scenario del gioco d’azzardo con il presidente di ALEA Maurizio Fiasco.

Dal primo luglio 2021 la riapertura dei punti di gioco. Cosa prevede possa succedere?

Il 2020 è stato un anno segnato per metà dalla chiusura totale e da una parziale riapertura, con gli eventi sportivi ripresi era ripartito anche il gioco online. Adesso c’è preoccupazione perché riprendere un’abitudine ormai dismessa può avere contraccolpi pesanti e pericolosi. Ricordiamo che nel 2021 in Italia c’è stata una forte riduzione di reddito, circa un terzo della popolazione ha sofferto molto e addirittura un 5% ha sofferto tanto. Quindi un terzo della società è esposto al gioco d’azzardo, dato che le ricerche dimostrano che la propensione al gioco è inversamente proporzionale al reddito.

Che è esperienza è stata quella dell’astinenza dal gioco per chi è in cura?

Chi aveva sviluppato una dipendenza dal gioco fisico in questo anno ha avuto una remissione del sintomo. Un’osservazione su 135 persone che documenta cosa è accaduto è nata dall’idea delle psicologhe e psicoterapeute di Associazione Azzardo e Nuove Dipendenze (AND) Daniela Capitanucci e Roberta Smaniotto, svolta in collaborazione con il Laboratorio di Psicometria dell’università di Firenze e da un gruppo di servizi dipendenze (Ser.D) e dipendenze patologiche Ser.DP presenti sul territorio italiano. Nel corso dell’indagine si è osservata la fisiologia di queste persone e il loro stato emotivo: la grande maggioranza ha dichiarato di essere stata meglio. Di contro, la rilevazione psicometrica riscontrava come, mentre gli indicatori di chi era in cura per il gioco miglioravano, questo non accadeva per quelli delle famiglie. Queste infatti erano in ansia, nel timore che con la riapertura dei punti di gioco la situazione sarebbe tornata come prima.

C’è stato un passaggio dal gioco fisico all’online, quando il primo era impraticabile?

I profili dei giocatori si sono mantenuti separati, solo una parte modesta dei giocatori è passata dal gioco fisico all’online. Per esempio, chi giocava alle scommesse sportive su Internet e questo non si potevano praticare perché non c’erano eventi, non è passato ad altri giochi. E neppure chi giocava, per esempio, al casinò online è passato alle scommesse.

Qual è stato l’impatto del lockdown e delle chiusure sul gioco online, che in quattro anni dal 2016 è passato dal rappresentare il 22% del totale delle giocate al 33%?

Mentre il gioco fisico ha subito contrazione di circa il 50% sul 2019, il trend del digitale continua la sua crescita. L’incremento non è dato dalla pandemia bensì da una tendenza già molto forte a partire dal 2015. Alla capillarità dei 230mila punti di accesso al gioco, dal bar con le slot alle sale bingo fino ai punti vendita del lotto, si è aggiunto il digitale dove si gioca da remoto con smartphone e pc. Qui non c’è più confine di spazio e tempo, ora il gioco assedia le persone nei luoghi della quotidianità e del lavoro con un’offerta costruita per ogni profilo, che si rivolga alle persone anziane, ai ragazzi o alle donne.

Quale cambiamento è in corso sullo scenario del gioco d’azzardo?

Il modello di business si evolve e il passaggio alle varie forme di digitalizzazione è uno scenario già programmato. Alcuni settori sono destinati alla scomparsa, gli stessi concessionari hanno programmato il passaggio da quelle che chiamiamo slot machine – le apparecchiature AWP – che sono distribuite da una filiera di distributori, manutentori e altre figure, a nuove apparecchiature, nuovi contratti e nuove modalità.

Cosa si fa e cosa c’è ancora da fare nel nostro Paese per prevenire questa patologia?

Dopo quanto fatto dal ministro della Salute del governo Monti, Renato Balduzzi, che ha riconosciuto l’esistenza della patologia del gioco d’azzardo con l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e ha istituito un Osservatorio, è stata necessaria la pandemia per riaccendere i riflettori sul tema. Questo comunque consente di puntare a rovesciare un paradigma secondo il quale la salute si è dovuta adattare alle ragioni del business, mentre adesso, a partir dal bene indisponibile della salute si possono autorizzare solo quelle modalità di gioco che non nuocciono alla salute.

Nel mezzo, nel 2018, c’è stato il decreto Dignità che prevedeva il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo, a in seguito l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) ha diramato le sue linee guida che consentivano la diffusione di contenuti informativi e non pubblicitari.

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