Ci ha messo qualche settimana a varcare la soglia del Mediterraneo il coronavirus, letale in Cina, progressivamente devastante anche in Europa e in galoppante diffusione anche negli Stati Uniti. In Africa, però, finora si era parlato di Covid-19 solo di riflesso: primo caso in Egitto, il 14 febbraio, poi quasi il silenzio, interrotto solo dalle riflessioni di chi parlava del Continente africano come uno scenario preoccupante sul piano dell’espansione dell’allora epidemia. E questo per una serie di ragioni: assenza di un servizio sanitario adeguato in tanti Paesi, di organi in grado di fornire bilanci affidabili, di condizioni di vita tali da prestare il fianco al diffondersi di un virus. Ora, però, la questione si fa decisamente più impellente di qualche previsione preoccupante, vista la progressiva marcia del Covid in numerosi Stati africani, da nord a sud, certificati dall’Organizzazione mondiale della Sanità e distribuiti in modo difforme su tutto il territorio.
Un quadro preoccupante
Alla fine è arrivato il Covid, e l’Africa inizia a fare i conti con quella che, in virtù delle difficoltà che animarono a suo tempo i timori del contagio, costituisce l’ennesima potenziale catastrofe per il continente. Il quale, non più tardi di sei anni fa, si era già ritrovato a fronteggiare una feroce epidemia come l’ebola, pur confinata in un’area della fascia centro-occidentale. L’estensione della pandemia da coronavirus è già decisamente più ampia di quella che fu la diffusione del morbo esploso in Sierra Leone, dall’Egitto al Sudafrica, Paesi rispettivamente dell’estremo nord e dell’estremo sud ma paradossalmente i più colpiti dall’emergenza che, in appena due giorni fa, ha registrato un incremento sensibile nella casistica continentale.
Diffusione difforme
Al momento, considerando che nelle ultime 24 ore non sono stati registrati ulteriori casi, il conteggio si ferma (per ora) a 450, distribuito in 54 diversi Stati, con un aumento sensibile (nelle ultime 48 ore) in Sudafrica, Rwanda, Camerun ed Egitto. Inevitabile che, in quadro estremamente mutevole, e con la perfetta consapevolezza di quanto accaduto prima in Cina e ora in Europa, quasi tutti gli Stati coinvolti (e in buona parte anche quelli che non lo sono) abbiano adottato misure speculari a quelle di altri Paesi del mondo, serrando le frontiere, bloccando voli e viaggi, predisponendo controlli più serrati. Unici spiragli, in Paesi come il Sudan, per aiuti umanitari, tanto per ricordare che la situazione in Africa non lascia spazio a tregue sui fronti che, tutti i giorni, incalzano l’attenzione della Comunità internazionale. E non lo dimentica l’Oms, che in merito all’emergenza Covid ha lanciato un avvertimento sul progredire del coronavirus in territori che, di per sé, sono già costretti a combattere con malattie altrettanto gravi, come l’Hiv e la tubercolosi.
Casi limite
Resta da capire in che modo si comporterà il virus in Africa. Al momento, la presenza del Covid a macchia di leopardo nel territorio ha evidenziato come, in qualche modo, anche la sua incidenza sia diversa da zona a zona. In Egitto, i casi hanno toccato quota 166 (con quattro decessi), mentre in Algeria le positività si attestano a 60 (con altre quattro morti). Preoccupante l’incremento dei casi in Sudafrica, che ne conta ora 62. Da Pretoria, per ora, sono arrivati provvedimenti preventivi ma drastici, forse più severi di quelli adottati al Cairo, che ha deciso lo stop al traffico aereo dal 19 al 31 marzo e la quarantena obbligatoria per i positivi. In Sudafrica, il presidente Ramaphosa ha già parlato di “calamità nazionale”, fermando gli aerei verso Cina, Iran, Italia e Corea del Sud. Anche il Senegal, Paese più colpito dell’Africa occidentale (27 casi) ha stabilito restrizioni, a fronte di un’emergenza che, e questo è il tratto comune, è derivata da contagi da parte di persone di rientro dall’Europa o dal Nord America. Restrizioni consequenziali in Costa d’Avorio, Kenya e Nigeria, mentre anche Paesi senza casi in corso (come Namibia e Zimbabwe) hanno decretato uno stato di emergenza.
Rischio caos
In un quadro estremamente complesso, i timori della vigilia ritornano a preoccupare. E stavolta la questione non è legata a una mera previsione, quanto a un rischio concreto degli effetti che il Covid-19 potrebbe sortire in un territorio fortemente provato e privo, nella stragrande maggioranza dei casi, di un’impalcatura sanitaria adeguata a fronteggiarla. A maggior ragione in contesti dove il rispetto stesso delle elementari norme igieniche può dimostrarsi qualcosa di difficile, vista la scarsità di attrezzature o materiali sanitari adeguati. O semplicemente di acqua.