Dopo l’allarme lanciato lo scorso 7 febbraio da un funzionario sanitario del distretto nella provincia occidentale di Kie Ntem, tre giorni fa in Guinea equatoriale sono stati segnalati nove decessi e 16 casi sospetti con sintomi riconducibili alla malattia da virus di Marburg, una grave malattia zoonotica. L’agente patogeno appartiene alla stessa famiglia del virus di Ebola. Le autorità sanitarie del piccolo Paese dell’Africa centrale hanno inviato dei campioni al laboratorio dell’Institut Pasteur, in Senegal, con il supporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per individuare la causa della malattia e, degli otto analizzati, uno è risultato positivo al virus. “Il Marburg è altamente infettivo. Grazie all’azione rapida e decisiva delle autorità della Guinea equatoriale nel confermare la malattia, la risposta all’emergenza può entrare rapidamente a pieno regime, in modo da salvare vite umane e fermare il virus il prima possibile”, ha dichiarato il direttore regionale dell’Oms per l’Africa Matshidiso Moeti. L’agenzia sanitaria delle Nazioni unite ha dispiegato esperti di epidemiologia, gestione dei casi, prevenzione delle infezioni e comunicazione del rischio in collaborazione per sostenere lo sforzo nazionale equatoguineano, inoltre si adopera per agevolare le spedizioni di kit contenenti dispositivi di protezione individuale per i sanitari, mentre nei distretti colpiti procede il tracciamento dei contatti, l’isolamento e l’assistenza medica a chi presenta i sintomi della malattia. Si è tenuta martedì 14 febbraio una riunione urgente dell’Oms con il Consorzio per il vaccino contro il virus di Marburg, dato che attualmente non ci sono né trattamenti antivirus né vaccini autorizzati per questa malattia.
I precedenti
Il “serbatoio” del virus di Marburg è il pipistrello della frutta africano (Rousettus aegyptiacus) e non si è a conoscenza di una sua eventuale origine in altri continenti, riporta la rete dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense. La malattia scatenata dall’infezione è comparsa soprattutto in focolai episodici nell’Africa subsahariana, in Congo, Kenya, Uganda, Ghana, e in Angola, diffondendosi nelle comunità attraverso pratiche culturali, in famiglia o tra il personale sanitario. Oltre ai focolai africani, casi isolati sono stati registrati all’estero, oltre quelli del 1967. Uno singolo nel 1990 in Russia, un episodio di contaminazione in laboratorio, mentre nel 2008 un viaggiatore statunitense si è ammalato dopo essere stato in Uganda, poi guarendo, e una turista dei Paesi Bassi è deceduta dopo aver visitato lo stesso Paese.
L’intervista
Per comprendere meglio la situazione e capire cosa sia la malattia da virus di Marburg, Interris.it ha interpellato il direttore scientifico dell’Irccs “San Gallicano” di Roma, il professor Aldo Morrone.
Professore, come si sta cercando di mettere in sicurezza il resto della popolazione dal contagio in Guinea equatoriale e com’è stata la risposta dell’Oms?
“L’Oms ha confermato i nove decessi e i 16 casi sospetti riportati, e gli otto campioni analizzati in Senegal di cui uno risultato positivo. Nelle conclusioni della riunione voluta dall’Organizzazione mondiale della sanità si dice che l’emergenza è localizzata. L’agenzia sanitaria delle Nazioni unite si è mossa per agevolare l’arrivo di kit per la protezione dei sanitari, perché un virus come questo colpisce spesso soggetti che svolgono mansioni del genere, e ha diffuso un elenco preciso dei farmaci da utilizzare, oltre ad aver rivisitato i candidati vaccini utilizzabili in questa fase. In casi come questi ci chiede come intervenire in queste aree e come avere la possibilità di fare test molecolari sui casi sospetti, fondamentali per sapere con certezza se un paziente che presenta certi sintomi ha la malattia da virus di Marburg”.
Ci spiega cos’è il virus di Marburg, quali sono i sintomi della malattia e le sue caratteristiche?
“La malattia da virus di Marburg è una patologia zoonotica con un’alta mortalità, anche superiore al 90%. Il virus è stato identificato per la prima volta nel 1967, in seguito ad alcuni casi di febbre emorragica verificatisi in due città tedesche, Marburg e Francoforte, e a Belgrado, allora Jugoslavia e oggi Serbia, per primi tra alcuni ricercatori impegnati nello studio delle colture cellulari sui tessuti biologici di alcuni esemplare di scimmie verdi dell’Uganda. Fondamentali per la trasmissione sono i pipistrelli della frutta, mentre la diffusione del contagio interumano avviene successivamente alla fase di incubazione, quando compaiono i sintomi, tramite un contatto diretto di liquidi corporei. La diffusione colpisce spesso persone addette ai servizi sanitari o chi, per esempio, si occupa di cerimonie funebri. La malattia esordisce con un forte mal di testa, brividi, dolori muscolari, mentre dal terzo giorno compaiono diarrea, dolore addominale, nausea e vomito. In seguito tra i sintomi poi più gravi ci sono la febbre emorragica, emorragie della mucosa gastrointestinale, disorientamento neurologico, la coagulazione intravasale disseminata che, insieme all’emorragia, può portare alla morte”.
Quali cure e terapie esistono oggi contro questo virus e questa malattia?
“Si è subito intervenuti per capire cosa fare, dato che servono sia una terapia sia un coordinamento per evitare che le persone entrino in contatto con chi si è infettato. Al momento vengono utilizzati medicinali antivirali come il remdesivir e farmaci monoclonali della casa farmaceutica Mapp Bio, mentre ancora non abbiamo a disposizione né vaccini né trattamenti antivirus autorizzati. Nella riunione di emergenza con il Consorzio dei vaccini l’Oms voleva capire come assicurare alla popolazione condizioni di salute tali da evitare i contagi, se pensiamo che l’epidemia in Congo si diffuse per mancanza di elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari, e quali vaccini, tra le sperimentazioni in corso, potrebbero essere utilizzabili. Come ha detto anche il Papa nel suo ultimo viaggio in Africa, quel grande continente si trova in una condizione che si scontra con la dignità dell’uomo, dobbiamo quindi smettere di sfruttarlo e invece essere presenti in quelle aree del mondo abbandonate anche con investimenti scientifico-sanitari per contrastare malattie del genere, nel rispetto delle popolazioni e delle culture locali”.
Questo virus è della stessa famiglia di quello di Ebola. A riguardo, com’è la situazione oggi?
“Dopo le drammatiche epidemie del 2014 e 2015, quando ci fu un notevole ritardo dell’Oms, siamo riusciti a ridurre la diffusione della malattia. Oggi è sotto controllo, ma non l’abbiamo eradicata”.