Misure indirizzate al sostegno dei Comuni, della popolazione più in difficoltà e, in qualche modo, anche alle imprese che rischiano il tracollo. Su quali scenari si apriranno a emergenza finita, per il momento, in campo ci sono solo delle ipotesi. Nessuna di queste però è incoraggiante: l’ultima in ordine di tempo, quella del Centro studi di Confindustria, ha calcolato l’impatto economico del Covid-19 in termini di Pil, prospettando una fase post-epidemia con un segno negativo di almeno il 10%. A emergenza sanitaria ancora in corso, sia pure in lievissima flessione, il tema portante resta quindi la ripresa economica: sul tavolo, la partita europea sugli Eurobond, invocata come misura paracadute per il superamento della fase critica. Sul piano interno, è il dibattito a distanza sul supporto all’impresa ad animare il confronto politico, in attesa del nuovo provvedimento economico. Interris.it ne ha parlato con Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia ed ex ministro delle Comunicazioni: “Se crolla l’imprenditoria, crolla il lavoro”.
Senatore Gasparri, l’ultimo provvedimento del governo è stato mirato al sostegno dei Comuni e delle fasce più deboli della popolazione. Il rischio temuto, però, è che a emergenza finita la frenata sia stata troppo brusca per il sistema produttivo della piccola e media impresa. Come affrontare una fase di incertezza economica di tale portata?
“Dobbiamo ancora affrontare l’emergenza sanitaria, dalla quale non siamo ancora affatto usciti. Abbiamo una serie di problemi infiniti, l’aiuto a tutte le miriadi di figure professionali, come i lavoratori autonomi, le segreterie degli avvocati, i commessi dei negozi o delle palestre: lavorano in aziende dove spesso si ha un solo dipendente. Loro che fine faranno? E’ necessario verificare che la cassa integrazione sia estesa anche a questo tipo di lavoratori, poi c’è il problema delle realtà produttive non solo medie e piccole ma anche grandi. Io ho parlato con i responsabili dell’azienda siderurgica della Thyssen di Terni, che è chiusa, mentre le aziende siderurgiche tedesche lavorano. Il problema è che tra poco loro non potranno assolvere a delle commesse: l’acciaio non si compra al mercato, ci sono accordi, forniture, ordini, accordi commerciali e se non c’è la produzione c’è il rischio che altri si inseriscano. Non si può agire fuori dalle indicazioni sanitarie ma, dall’altro lato, bisogna porsi questo obiettivo: se molte aziende perderanno fatturato per lungo periodo, bisogna aiutarle”.
In che modo?
“Pensiamo agli acquisti. Ammettiamo che fra un mese o due la situazione sanitaria tende a uscire dall’emergenza, chi è che comprerà un’automobile, scarpe o un vestito? La gente comprerà alimenti e medicinali. Abbiamo però il problema di non far chiudere. Dietro una macchina non comprata c’è l’operaio della fabbrica, l’autosalone che la vende, i meccanici che fanno la manutenzione. Stessa cosa per il settore calzaturiero italiano, che è considerato un’eccellenza. Bisognerà aiutare questi settori, perché se crollano gli imprenditori crolla il lavoro. Va aiutata l’impresa perché rappresenta milioni di lavoratori. C’è da pensare quindi a interventi economici robusti per reggere il fatturato, garantire dei fidi. Deve intervenire lo Stato, non solo le banche. Le banche sono società private, alla fine potrebbero fallire anche loro. E in quel caso davvero finirebbe tutto. Devono essere quindi lo Stato e l’Europa a garantire i fidi che si concedono alle imprese, serve la Bce, la Cassa depositi e prestiti. Servono tanti strumenti”.
Quali altre misure adottare in una fase emergenziale? Il nostro Paese è realmente in grado di far fronte a un impatto economico così rilevante?
“Bisogna anche smetterla con la demagogia. Nel momento di maggiore emergenza abbiamo il peggior governo possibile. Nel massimo della tragedia si punta alle migliori soluzioni. Non è il momento della gara di demagogia ma dei miliardi di euro. Alcuni dovrebbero spontaneamente lasciare gli incarichi. Le classi dirigenti devono attivare centinaia di miliardi di euro di investimenti per evitare il tracollo del sistema produttivo, non è qualcosa che si risolve con una catena della solidarietà, anche se quella va fatta. Ad esempio, coloro che possono devono pagare i contributi, le tasse. La misura delle scadenze rinviate dovrebbe venire incontro a chi non ha i soldi. Le misure le devono utilizzare quelli che ne hanno bisogno. L’imprenditore che può pagare i contribuiti ai suoi dipendenti lo faccia. Questo è il momento di assumere decisioni di prospettiva per evitare il tracollo. Ora faremo l’esame del provvedimento economico, andremo in Commissione bilancio per fare le nostre proposte nella speranza di essere ascoltati. Prima ci sarà un incontro ulteriore tra governo e opposizioni, ma servono incontri per prendere decisioni. Basti pensare a quello che ha fatto Trump, destinando 1.500 dollari a ogni famiglia e parlando con l’opposizione, concordando questo intervento. Qui pensiamo ancora che con 400 milioni si risolve la miseria in Italia”.
Al momento, però, al di là delle misure di sostegno del governo, è aperta la partita europea degli Eurobond. Costituirebbero un buon incentivo al superamento della fase di crisi?
“Sicuramente bisogna far scattare una catena di solidarietà anche europea. Anche perché c’è un’interazione delle economie a livello europeo e, se l’Italia dovesse essere abbandonata, non è che questo non si ripercuoterebbe su altri. Anche in merito all’epidemia, credo che non tutti dicano le stime reali, i numeri mi sembrano un po’ bassi. In Cina, ad esempio, abbiamo visto le urne cinerarie e non sembravano di tremila persone. Bisogna iniziare a dire la verità e capire che i numeri sono drammatici, che l’interesse a un circuito di solidarietà è fondamentale”.
In molti hanno sostenuto che dal Cura Italia sia rimasto fuori il tema della famiglia…
“Sì, come dicevo Trump ha dato soldi per ogni famiglia americana, parametrando in base ai figli. Qui il concetto della parola famiglia non si pronuncia più, non viene mai citata nonostante sia la base della società. E questo è un problema culturale che, purtroppo, in questi anni è stato dilagante. Le sardine che fine hanno fatto? Non si possono creare assembramenti ma loro sono molto social, eppure non si sentono da un po’. Questa tragedia ridimensiona molte cose effimere ed evidenzia molta improvvisazione nella politica, di persone arrivate al governo grazie alla rabbia sociale ma senza riuscire a colmare queste sacche di disperazione con risposte vere”.
Questa vicenda cambierà la nostra coscienza collettiva?
“Ci vuole una rivoluzione. Questa tragedia ci dimostra che molte cose vanno previste meglio, le emergenze sanitarie non sono state previste in modo adeguato in nessuna parte del mondo. E poi far emergere le incompetenze. Bisogna riflettere, perché non si può affidare il bene comune agli ultimi arrivati”.
Per quanto riguarda il Sud Italia, teme che un’eventuale diffusione possa assestare un colpo troppo duro per un’area già in difficoltà?
“Speriamo che non ci sia l’ondata che c’è stata al Nord. Si capirà dopo perché in alcune zone si è assistito a questi scenari. Forse per una maggiore concentrazione demografica, che è un vantaggio ma purtroppo una tragedia in momenti come questi. Può darsi che al Sud abbiano influito la difficoltà di raggiungere alcune zone e tutte le altre cose di cui solitamente ci lamentiamo. Alcuni problemi che hanno ostacolato la diffusione del benessere, cose che vanno colmate e cancellate, magari potrebbero rallentare anche questo fenomeno. Ma non siamo ancora in grado di fare un bilancio della situazione, perché non sappiamo quando e quanto ne saremo fuori. Nel Sud non bisogna affatto abbassare la guardia”.
In questo senso, quindi, le misure di contenimento possono funzionare…
“Sì, bisogna seguire quello che è stato fatto finora perché indubbiamente ha avuto un’efficacia. Le analisi le faremo dopo. E poi confidare nella Provvidenza, nel buon Dio che ci mette alla prova ma non ci abbandona”.