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AIDS. Una pandemia che ha cambiato la storia della Medicina

In Italia, dove al 2022 vivono con l'infezione da HIV 142mila persone, il trend di nuovi casi all'anno è in diminuzione dal 2010

La giornata mondiale della lotta contro l’AIDS è stata istituita nell’agosto del 1988 e rappresenta la prima giornata mondiale dedicata a un tema della salute. Oggi non vi è giorno dell’anno che non sia dedicato a giornate mondiali di qualcosa, ma è certo che il 1° dicembre, in tutto il mondo, resta una ricorrenza vissuta come tuttora straordinariamente sentita e attuale. La giornata è rivolta ad accrescere la conoscenza dell’AIDS, esprimere solidarietà alle persone affette, promuovere l’assistenza e la prevenzione e combattere lo stigma e la discriminazione. Per apprezzarne a pieno l’importanza, è utile ripercorrere brevemente la storia dell’AIDS.

Gli inizi dell’epidemia

All’inizio degli anni ’80 dello scorso secolo, precisamente nel 1982, è stato coniato l’acronimo AIDS (Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita) per designare una sindrome clinica letale, individuata grazie alla osservazione della inattesa comparsa di una rara malattia fungina (la pneumocistosi polmonare) e di un raro tumore (sarcoma di Kaposi), non in soggetti gravemente immunocompromessi come era fino ad allora noto, ma in giovani uomini omosessuali altrimenti sani o in soggetti sottoposti a trasfusione di sangue per varie cause, principalmente emofilici. La sindrome venne definita inizialmente “delle 4H”: “hemophilics”, “hemotrasfused”, “homosexuals”, e “haitians”; le prime 3H indicative delle modalità di trasmissione e la quarta H delle origini, essendo gli haitiani originari del Congo, dove la sindrome è nata, e responsabile del trasferimento in Occidente. Già a questo punto erano quindi definiti i caratteri costitutivi dell’AIDS: la presenza di un fattore di compromissione immunitaria che consente l’emergenza di infezioni “opportunistiche” e l’individuazione dei principali fattori di trasmissibilità, cui presto si unì la tossicodipendenza in vena. Questi elementi, “sangue, sesso e droga”, rendono conto dell’impatto emotivo e sociale che suscitò nel mondo questa nuova epidemia.

Le tappe di una storia formidabile

Prestissimo (1984) venne individuata in un virus (HIV) la causa della sindrome e messo a punto un metodo (ELISA) per la diagnosi attraverso il rilievo degli anticorpi. Già nel 1985 venne provata l’efficacia antivirale di un farmaco (AZT, Zidovudina) tirato fuori dal cassetto dei farmaci oncologici e come tale rivelatosi inefficace. Purtroppo l’efficacia del farmaco anche per l’AIDS si dimostrò limitata in clinica a pochi mesi poiché vanificata dalla insorgenza di resistenze. Una tappa fondamentale fu raggiunta intorno al 1990, quando venne definito il paradigma del monitoraggio, basato sulla determinazione di 2 parametri: l’incremento della “carica virale” HIV e lo speculare decremento del numero delle “cellule bersaglio” del virus, i linfociti T CD4+. La determinazione di questi parametri resta tuttora la guida della valutazione clinica e su questa base è costruita la classificazione dell’AIDS in categorie: A-asintomatica, B-paucisintomatica, C-AIDS a loro volta suddivise in sottocategorie I-CD4 <500 cell/µL, II-CD4 <350 cell/µL, III-CD4 <200 cell/µL.

La terapia antiretrovirale e la qualità della vita

La tappa di svolta fondamentale della terapia antiretrovirale venne annunciata nel 1996 al congresso della International Society for AIDS di Vancouver e definita con la sigla di “Triplice Terapia”. Si dimostrò che per aver ragione delle resistenze occorreva ricorrere a regimi di combinazione di 3 Farmaci che comprendessero due classi diverse: gli Inibitori della Trascrittasi Inversa (NRTI) impiegati fino ad allora, associati a Inibitori della Proteasi (PI) di recente scoperta. Tuttavia, pur efficace, questa Triplice Terapia comprometteva gravemente la qualità di vita: si trattava di regimi di 20-25 cps al dì, da assumere a vari intervalli e legati agli orari dei cibi e delle bevande. Da allora l’industria farmaceutica ha prodotto una nuova classe di farmaci, gli Inibitori della Integrasi (INSTI) e soprattutto ha lavorato sulla “semplificazione”, ovvero sulla riduzione del numero di cps, realizzando associazioni (FDC = Fixed Dose Combination) fino a ottenere di includere in un’unica cps tutto intero il regime terapeutico (Single Treatment Regimen, STR) in cui si compendiano farmaci di più classi. La grande efficacia raggiunta dalla ART, (ribattezzata HAART = Terapia AntiRetrovirale ad Alta Attività) e la semplificazione del regime fino alla STR, ha consentito di conferire al soggetto sieropositivo HIV la stessa aspettativa di vita del sieronegativo ed una eccellente qualità di vita (1 cps/die è un regime sovente perfino inferiore al trattamento dell’ipertensione!). E’ questa la tappa finale? No, un traguardo ulteriore, finale, sarà il raggiungimento della “eradicazione” del virus al di là della “soppressione” virale che si ottiene con l’STR.

I numeri dell’epidemia

Con dati del 2022, approssimativamente 39 milioni di persone nel mondo vive con l’infezione da HIV, di cui 20 milioni donne, 17.8 milioni maschi e 1.5 milioni bambini di età inferiore a 14 anni. Nello stesso anno globalmente 1.3 milioni ha acquisito l’infezione (con riduzione del 38% rispetto al 2010) e 630.000 sono deceduti (con riduzione del 51%).
Venendo all’Italia, l’analisi dei dati mostra numeri molto esigui e un panorama con molte luci ma ancora alcune, poche ombre. Le luci: nel 2022 il numero stimato di persone che vivono con l’infezione da HIV ammonta a 142.000. Nello stesso anno globalmente 1.900 persone ha acquisito l’infezione con un trend di diminuzione costante rispetto al 2010. L’incidenza in Italia, pari a 3.2 nuovi casi per 100.000 residenti, è nettamente inferiore rispetto alla media dell’Europa Occidentale (5.1 nuove diagnosi per 100.000 residenti).
Per quanto concerne l’AIDS nel 2022 sono stati registrati poco più di 400 nuove diagnosi, pari a un’incidenza di 0.7 casi per 100.000 residenti, largamente inferiore alla media europea. Le ombre: dal 2015 è in aumento la quota di persone cui viene diagnosticata tardivamente (ossia con linfociti CD4 <350 cell/µL) l’infezione da HIV; questi late presenters rappresentano oltre il 58% delle nuove diagnosi di infezione da HIV vs il 46% dei casi dell’Europa Occidentale. Quasi la metà dei soggetti con nuove diagnosi di HIV ha eseguito il test per presenza di sintomi correlati e solo il 25% per comportamenti sessuali “a rischio” o per iniziative di screening (9%). La proporzione di persone con nuove diagnosi di AIDS che ha scoperto di essere sieropositiva solo nel semestre precedente la diagnosi di AIDS o addirittura in contemporanea è rimasta stabile, intorno al 83.7%. Il numero di decessi è rimasto parimenti stabile e pari a 530.

Agire sulla prevenzione

In conclusione le luci ci consegnano un quadro di confortante diminuzione dell’incidenza di nuove diagnosi di infezione da HIV e di AIDS, nettamente inferiore alla media dell’Europa Occidentale. Le ombre riguardano la presenza di una percentuale molto elevata di late presenters alla diagnosi di HIV e addirittura di diagnosi contemporanea di HIV e AIDS. L’imperativo che si impone oggi con urgenza è la prevenzione rivolta a individuare precocemente e in prospettiva ad azzerare le nuove diagnosi di HIV/AIDS.
Gli sforzi devono essere indirizzati principalmente a: fare emergere con screening “mirati” quanti ignorano la propria condizione di sieropositività e rappresentano quindi un serbatoio di potenziale contagiosità ed evitare o ridurre al massimo l’esposizione al contagio. Praticamente questo comporta la necessità di incentivare anche in Italia l’adozione della Profilassi Pre Esposizione (PrEP), oggi basata su una singola cps di FDC, cui ricorrere quando si abbiano frequenti esposizioni al rischio. Va tenuto ben presente tuttavia che la PrEP protegge dal rischio di HIV ma non da altre Infezioni Sessualmente Trasmissibili (IST), tanto che già si è registrato anche in Italia l’aumento di gonorrea, infezioni da clamidia e sifilide. Per cui è tuttora più che mai importante la raccomandazione dell’uso del preservativo. Ancora più importante è adottare misure di prevenzione primaria “a monte”: da sempre auspichiamo l’adozione di programmi di educazione alla affettività e alla sessualità nelle scuole, anche a partire dalla scuola primaria. Così come è importante rilanciare iniziative di informazione, che tuttora risulta carente, specie fra i giovani. E infine, ma non ultimo, è importante sostenere programmi mirati all’eliminazione dello stigma e al contrasto della discriminazione, quali meritoriamente portati avanti dalle Associazioni di attivisti. Da oltre 35 anni la Giornata Mondiale contro l’AIDS aggiorna e reitera queste raccomandazioni per la lotta contro una malattia che, grazie alle innovazioni introdotte e al portato dei suoi successi, ha cambiato il corso della storia della Medicina.

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