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Con il 118 (Sis) le voci dall’inferno del Covid-19

Volti e vite attraverso le parole di Mario Balzanelli, presidente nazionale Sis 118

Quasi 12000 morti per il Covid-19, a loro va il ricordo e la preghiera oggi, giornata in cui l’Italia si ferma a riflettere ulteriormente proclamando lutto nazionale. Alle 12 tutti i sindaci esporranno sulla facciata del Comune la bandiera a mezz’asta e osserveranno un minuto di silenzio. Un modo non solo per ricordare le vittime del corona virus ma soprattutto per onorare il sacrificio e l’impegno degli operatori sanitari, per far si che tutti si possano abbracciare idealmente e per essere di sostegno l’uno all’altro.

L’abbraccio più forte va soprattutto ai medici, angeli scesi nell’inferno terrestre. I loro occhi sono pieni di paura ma con il cuore stracolmo di amore e speranza vanno avanti nell’ardua impresa di salvare vite umane. “Siete i nostri eroi” hanno scritto fuori dagli ospedali ma loro non si sentono eroi, sono uomini e donne come tutti, genitori e figli che hanno deciso di allontanarsi dalle proprie famiglie per poter aiutare il prossimo, pur coscienti di non sapere quando rivedranno i propri cari. Per Interris.it la testimonianza esclusiva del dottor Mario Balzanelli, presidente nazionale del Sis 118.

 

Qual è il significato del 118 durante quest’emergenza?
“La società italiana sistema 118 è il sistema di salva vita per il popolo italiano su tutto il territorio nazionale e mai come ora incarna il suo compito principale: il soccorso! Purtroppo vive un momento di contrasto all’interno della pandemia da Covid19: è, infatti, chiamato a valutare e a pesare tutte le richieste di soccorso innumerevoli che arrivano alle nostre centrali operative 24 ore su 24 da parte di una popolazione molto allarmata e drammaticamente preoccupata. Il 118 oltre allo screening dalla centrale operativa governa tutte le fasi territoriali della gestione dei casi sospetti Covid 19, ed è chiamato a gestire il paziente e a stare con lui fin alla presa in carico dello stesso da parte dei centri ospedalieri covid dedicati, rimanendo a strettissimo contatto con lui. Sta a pochi centimetri di distanza e lì dove questi pazienti richiedano terapie quali l’ossigeno terapia ad alti flussi interviene con le sue equipe medico infermieristiche. E’ la colonna vertebrale per la risposta del servizio sanitario nazionale nonostante ultimamente registri il dramma vero e proprio di dover operare in condizioni completamente inaccettabili, a maggior ragione quando i dispositivi di protezione individuale, stanno venendo a mancare costringendoci ad intervenire a mani nude contro un mostro, con elevati rischi per la salute. Solo negli ultimi giorni, infatti, sono morti cinque giovanissimi operatori del 118”.

Cosa si prova nell’essere medico in questo momento? Ha paura?
“Io sono andato via di casa due settimane fa per mettere in protezione mia moglie con i miei tre figli piccoli e questa cosa mi lacera profondamente perché non so quando li potrò rivedere e soprattutto auspico vada tutto bene anche per me. Tra tutti gli operatori si avverte un’estrema tensione, ma soprattutto per intero il carico dell’enorme responsabilità. Siamo determinati nella mission che è quella di salvare vite alla quale non veniamo meno però siamo anche profondamente sconcertati ed irritati per il livello di superficialità ed approssimazione con il quale le nostre vite sono state messe in pericolo da asimmetrie organizzative estremamente gravi. La paura di morire ce l’abbiamo tutti e con essa facciamo i conti tutti i giorni, ma non andiamo via”.

Cosa di più bello e più brutto ha visto in questo primo mese?
“La cosa più bella la partecipazione della gente, che ci sprona ad andare avanti e non mollare, sostenendoci anche con numerose donazioni. La scena più brutta è quando vedi un paziente che improvvisamente non respira, prova a dirtelo per telefono e poi lo ritroviamo in condizioni disastrose. Purtroppo il crollo dell’attività respiratoria arriva in poche ore ed è drammaticamente evolutivo. E’ anche orribile che non sia stata fatta un’ammenda e non sia stato considerato, per la necessità di questo momento storico, la possibilità di confrontarsi a livello istituzionale con il 118 italiano perché si elaborassero delle linee guida delle varie regioni, rimanendo, invece, fuori dalle convocazioni ministeriali”.

Il saturimetro può davvero salvare la vita?
“Prima che il paziente percepisca l’affanno si ha una riduzione della concentrazione di ossigeno che, grazie al saturimetro, può essere rilevata ore se non giorni prima che il soggetto lamenti fame d’aria, perché se ne accorge a riposo. Il saturimetro, un piccolo strumento, come una molletta che si mette su un dito, ha quindi la straordinaria potenzialità di segnalarci un’insufficienza respiratoria latente che il soggetto non avverte ma che sta galoppando, anticipando in modo assolutamente utile e prezioso il ricovero ospedaliero e quindi le cure. Vorremmo che tutti ne fossero dotati, ma ci spiace verificare che non sono più disponibili in questo momento in Italia come in altre parti del mondo”.

Durerà ancora molto?
“Ieri si è registrato un indice inferiore del 50% rispetto al giorno precedente per quanto riguarda il numero dei contagi che pare essere un indice estremamente interessante laddove confermato nei prossimi giorni. Questa riduzione ci indicherebbe che siamo vicini al picco e quindi alla fase discendente della curva, bisogna vedere però come risponderà al sud Italia, dopo l’ondata dei ritorni dal nord. Si auspica che entro un paio di mesi la situazione possa cominciare a tornare alla normalità”.

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