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Comunità Energetiche Rinnovabili: sostenibilità sociale e ambientale

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Foto di AndreasAux da Pixabay

In un tempo fortemente segnato dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici e dagli aumenti dei prezzi delle materie prime, la sostenibilità ambientale ed economica, la salvaguardia delle risorse del nostro pianeta e l’aiuto alle famiglie in difficoltà, assumono una valenza sempre più fondamentale. Queste motivazioni hanno fatto sì che, anche dal punto di vista energetico, si stiano mettendo in campo delle soluzioni innovative per preservare la Terra e le persone che la abitano, soprattutto in un Paese come l’Italia che abbonda di fonti energetiche rinnovabili, poste alla base delle Cer, ovvero le Comunità Energetiche Rinnovabili. Interris.it, in merito a questo tema, declinato nei piccoli comuni, ha intervistato il dott. Roberto Gregori, responsabile del progetto Comunità Energetiche dell’Associazione Nazionale Piccoli Comuni d’Italia.

Foto di Maxime Gauthier su Unsplash

L’intervista

Dott. Gregori, come si possono definire le Comunità Energetiche Rinnovabili?

“In base alle indicazioni della Direttiva Europea del 2018, le Comunità Energetiche, hanno uno scopo preciso, ovvero responsabilizzare ogni territorio rispetto ai propri consumi energetici. Dobbiamo smettere di pensare che, se si schiaccia un interruttore arriva l’energia oppure, se non se ne dispone, si può acquistarla in qualunque parte del mondo. Ogni territorio invece, deve produrre, almeno in parte, l’energia di cui ha bisogno. Ciò porta a dei grandi vantaggi, il primo è di natura ambientale in quanto vengono utilizzate delle fonti di energia rinnovabili piuttosto che fossili. Inoltre, così facendo, si hanno dei vantaggi economici perché, una volta pagati gli impianti, si continua a produrre senza dover acquistare materia prima dall’estero o dipendere dai mercati per garantirsi l’approvvigionamento energetico. In altre parole, non si comprerebbe il gas dalla Russia, il nucleare dalla Francia o da altri Paesi e, in qualche modo, si diventerebbe più autonomi”.

Le Cer hanno anche una valenza sociale. Di cosa si tratta?

“Si, per quanto riguarda le Cer, un pilastro fondamentale sancito dalla Direttiva Europea in materia, riguarda proprio l’aspetto sociale. Tutti devono beneficiare dei benefici della transizione energetica, anche e soprattutto coloro che non hanno le disponibilità economiche per fare il tetto fotovoltaico oppure gli esercizi commerciali i quali, ad esempio, stanno al primo piano di un edificio ma, non essendo proprietari del tetto e, di conseguenza, non possono essere avvantaggiati da questo punto di vista. La Cer, in realtà, è un’associazione libera di cittadini e può avere forme giuridiche diverse. Noi proponiamo l’associazione non riconosciuta perché, attraverso lo scambio dell’energia all’interno dello stesso territorio delimitato dalla cabina primaria, significa che esso, dal punto di vista della fornitura di energia, non dipende più da altri. Quindi, più saremo in grado di produrre energia per conto nostro e più saremo indipendenti”.

Foto di Nadine Shaabana su Unsplash

In che modo, le Cer, possono contribuire a trasformare l’attuale paradigma energetico?

“Le Cer comportano una trasformazione radicale del paradigma energetico in quanto, si passa da un sistema di produzione concentrato in pochi punti e con grandi potenze ad uno diffuso, come quello che c’era fino a cento anni fa in cui, il sole, è sempre stato il motore energetico dell’umanità e, di conseguenza, ove ciò è possibile, dobbiamo tornare a sfruttarlo perché, da solo, può dare sei volte in più della quantità di energia di cui, tutto il mondo ha bisogno.”

Quale può essere la valenza delle Cer ed il loro utilizzo nei piccoli comuni per favorire il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale?

“I piccoli comuni, su questo versante, sono privilegiati perché, rispetto alle città, hanno tanto territorio ma una densità abitativa più bassa; quindi, possono attrarre lavoro sul loro territorio per il fatto di avere energia e, di conseguenza, ciò significa riportare anche ricchezza. In queste realtà, grazie ai grandi spazi a disposizione, combinando sole, vento e acqua, si può arrivare a percentuali molto importanti di autoproduzione dell’energia necessaria. Il modello che proponiamo come Anpci, si propone di fare impianti non per vendere energia ma per non comprarla. Mi spiego: il valore di un kilowatt non comprato è quattro volte superiore a quello venduto. La nostra idea parte dal fatto che, ogni abitazione, immobile, impresa o negozio, se può, produca parte dell’energia di cui necessita per conto proprio, anche attraverso fonti diverse. Faccio un esempio bellissimo su tutti: a Brunate, luogo in cui, per decenni, ha vissuto Alessandro Volta, abbiamo fatto una Cer con il parroco e con il sindaco. Egli, a suo tempo, ha sistemato una fonte idrica ubicata settecento metri sopra il Lago di Como e, sfruttare l’energia di quest’acqua che scende, significa non dipendere nella produzione di energia da altri. Molti comuni italiani sono degli anfiteatri rivolti al sole dalla mattina alla sera e, sfruttando le potenzialità del territorio in maniera opportuna, si possono utilizzare fonti energetiche rinnovabili messe un po’ da parte in passato per comprare energia altrove. Oggi non siamo più in grado di farlo e dobbiamo cambiare paradigma. L’energia è un bene prezioso, va usata quando c’è e soprattutto, non deve essere sprecata. I piccoli comuni, in questo disegno verso il futuro, hanno un’importanza prevalente rispetto alle città, le quali sono energivore.”

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Quali sono i suoi auspici a medio termine per l’utilizzo delle Cer nei piccoli centri abitati?

“Il modello che abbiamo proposto, guardando al domani in qualità di Anpci, è molto semplice. Si tratta di un’associazione non riconosciuta, in cui si entra senza versare un euro, senza bisogno di investimenti o cambi di fornitore. Ognuno è libero di fare o meno l’impianto, con la potenza e con la dimensione che ritiene. Semplicemente mettendosi insieme, si utilizza l’energia che avanzata dal proprietario di un impianto al fine di aiutare chi non può averlo e non può disporne a sufficienza”.

In che modo si può realizzare concretamente il vostro modello di Cer?

“Un Comune che, ad esempio, dispone di un impianto da 20 kilowatt su una scuola elementare ovviamente risparmia perché utilizza la sua energia invece di comprarla. L’istituto scolastico però, in linea di massima, è chiusa al pomeriggio, alla domenica, a luglio e ad agosto però, se le famiglie si iscrivono alla comunità energetica e usano, anche nei mesi di chiusura, l’energia prodotta dall’impianto, fanno scattare il meccanismo della cosiddetta ‘tariffa incentivante’. Usano quindi fonti energetiche prodotte da un altro socio della Cer all’interno del medesimo territorio e, tutto ciò, fa scattare un premio dagli 11 ai 13 centesimi per ogni kilowatt scambiato, va ad aggiungersi al risparmio del produttore che ha fatto l’impianto e riduce la spesa di coloro i quali non possono farlo. Essi continueranno a pagare la loro bolletta ma, a fine anno o a intervalli più brevi, potranno avvantaggiarsi di un ristoro che la Comunità Energetica metterà a loro disposizione. La condivisione responsabile dell’energia sul territorio fa bene a tutti: l’ambiente, i cittadini e le imprese ne traggono giovamento”.

Foto di Mana Akbarzadegan su Unsplash

Che valenza riceveste l’educazione energetica su questo versante?

“Ha una valenza fondamentale. Questo cammino deve essere accompagnato e organizzato da un processo di educazione energetica. Dobbiamo usare l’energia quando c’è: ad esempio, comprare l’auto a propulsione elettrica per caricarla di notte è sbagliato. Il datore di lavoro invece, dovrebbe fornire delle pensiline apposite per caricarla mentre i suoi dipendenti lavorano, oppure i supermercati dovrebbero fare degli sconti sulla ricarica dell’auto. I comuni, ad esempio, potrebbero solarizzare i parcheggi dei centri sportivi e, mentre i bambini giocano a calcio, si potrebbe ricaricare la vettura. Serve un cambio dei comportamenti e, ovviamente, saranno necessari dei tempi medio – lunghi come è stato in passato per la raccolta differenziata ed il riutilizzo dei rifiuti. Uno degli scopi delle Cer è proprio quello di contribuire all’incentivazione di questo passaggio culturale e educativo. Ciò non si fa per fare business, ma per condividere la responsabilità e la capacità di usare e produrre meglio l’energia che ci serve”.

Christian Cabello: