La nuova realtà geopolitica, fortemente segnata dalle tensioni internazionali, i cambiamenti climatici e la diversa configurazione del mercato energetico hanno posto diverse questioni di tipo economico e produttivo, come ad esempio l’aumento dei prezzi delle bollette e le ricadute economiche e sociali generate su famiglie e imprese. Per far fronte a queste nuove sfide si stanno creando diverse forme di autoconsumo, con l’obiettivo di contrastare la povertà energetica e, nello stesso tempo, aderire al Green New Deal europeo. Una di queste forme di autoconsumo è rappresentata dalle comunità energetiche. Interris.it, in merito a questo argomento, ha intervistato Angelo Colombini, già segretario confederale della CISL, Vicepresidente dell’Ente Bilaterale Artigiani (Ebna) e membro del C.I.V. di Inail.
L’intervista
Cosa sono le Comunità Energetiche Rinnovabili? Qual è l’obiettivo per cui sono state create?
“Le Comunità di Energia Rinnovabile (CER) e l’Autoconsumo Collettivo (AUC) sono stati introdotti a livello europeo con la Direttiva UE 2001/2018. Una norma nata con l’obiettivo di stimolare gli Stati Membri verso un crescente sviluppo delle fonti rinnovabili, prevedendo tra le varie forme anche quelle legate all’autoconsumo finalizzato a decentralizzare la produzione, a combattere lo spreco e la povertà energetica ma soprattutto a mettere al centro della rivoluzione energetica il cittadino, che diventa parte attiva del sistema energetico e riducendo così il monopolio delle grandi aziende. L’obiettivo delle Comunità Energetiche Rinnovabili è quello di produrre energia elettrica direttamente sui territori per rispondere al fabbisogno locale, sfruttando le diverse necessità anche in termini temporali”.
Come si sta configurando l’esperienza delle comunità energetiche in Italia e negli altri paesi d’Europa?
“In Italia, le comunità energetiche rinnovabili e le configurazioni di autoconsumo collettivo, dopo una prima sperimentazione durata più di un anno in base alla Legge Milleproroghe 2020, sono regolate da novembre 2021 attraverso il Decreto Legislativo 199/2021, di cui si attendono gli ultimi decreti attuativi, ovvero dell’entrata in vigore del Decreto, attualmente a Bruxelles per un riscontro dell’UE che è determinante ai fini degli incentivi. Le CER secondo le nuove norme possono assumere la forma giuridica di società cooperativa o di associazione non riconosciuta. La partecipazione a queste comunità è aperta a tutti, mentre l’esercizio del controllo è consentito a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, enti di ricerca e formazione, enti religiosi, parrocchie, diocesi, enti del terzo settore e di protezione ambientale. Nel nostro paese stanno sorgendo varie tipologie di queste comunità che, in forme diverse, sono già presenti, in Trentino, in Valsesia, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio di Napoli. Mentre ve ne sono diverse in fase di avvio. In Europa sono uno degli elementi chiave per realizzare la transizione energetica: come evidenzia la Commissione Europea, entro il 2050 metà dei cittadini europei potrebbe produrre fino alla metà dell’energia rinnovabile. Già si contano 15mila CER, organizzate in varie forme”.
Qual è, secondo lei, il possibile ruolo delle comunità energetiche all’interno delle politiche riguardanti l’energia rinnovabile dell’Unione Europea?
“La Commissione Europea chiede che l’UE arrivi ad avere un’autonomia strategica rispetto alle questioni energetiche e per le materie prime. Le CER possono essere uno strumento importante rispetto alle questioni poste dalle transizioni ecologica, energetica e digitale, anzi in qualche modo mettono insieme tutti questi tre aspetti: rispondono alla necessità di produrre energia pulita; favoriscono la transizione ecologica del sistema produttivo e sono possibili grazie alla digitalizzazione della rete. Inoltre, queste comunità, sono anche uno strumento che serve a riavvicinare il mondo produttivo con le comunità locali, per questo è utile che ad esse partecipino soggetti diversi e complementari, in modo tale da poter utilizzare l’energia prodotta in momenti diversi e, sul territorio, possono anche dare una risposta alla povertà energetica. Le Comunità energetiche e tutto il tema delle rinnovabili vanno inserite in un percorso di politica industriale e di sviluppo locale, altrimenti si limitano ad essere sostanzialmente dei semplici gruppi di acquisto che, se hanno senso per la produzione green e il risparmio dei costi, ne hanno molto meno per il territorio e le comunità locali. Il PNRR, ad esempio, finanzia gli investimenti per 2,2 miliardi di euro le CER solo nei comuni sotto i 5000 abitanti. Invece per i comuni con oltre 5000 abitanti vi sono contributi sulla produzione elettrica ma non per gli investimenti”.
In che modo, a suo avviso, lo sviluppo delle energie rinnovabili potrebbe incentivare nuove forme occupazionali?
“Si sentono spesso dati legati alle potenzialità occupazionali dello sviluppo delle rinnovabili, in genere molto ottimistici. Vi sono alcune questioni da precisare: la privatizzazione del settore elettrico, in tutta l’Europa, non ha portato i frutti sperati, sia per i consumatori e tantomeno per i lavoratori. Non si sono né abbassate le tariffe né vi è stato un aumento dell’occupazione di qualità. Va segnalato inoltre che all’arrivo della crisi causata dalla guerra in Ucraina si è sentita la mancanza di una gestione unitaria del sistema elettrico, causa anche i numerosi e ormai piccoli e piccolissimi operatori che insistono sulla rete. In molti casi le imprese del settore FER (Fonti Energia Rinnovabili) sono di piccola dimensione e l’occupazione stabile presso di essi è una piccola frazione rispetto a coloro che lavorano nell’indotto e nei settori collegati, ad esempio la manutenzione, che però spesso applicano contratti variegati ed hanno nei fatti meno tutele per le lavoratrici e i lavoratori. Vi è inoltre necessità di investimenti nella rete per renderla una vera e propria ‘Smart Grid’, perché lo sviluppo delle CER non sarà possibile se la rete non è predisposta in tutto il Paese”.
In che modo, nell’ambito delle comunità energetiche, si potrebbe incentivare la collaborazione dal basso tra le famiglie e le imprese del territorio nell’ottica di una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale?
“Il raggiungimento di questo importante obiettivo implica l’impegno da parte di tutti per la costruzione efficace delle basi ‘comunitarie’ dello strumento (veicolo societario) che si chiama Comunità energetica. Che poi essa voglia assumere la forma giuridica di cooperativa o di associazione o altre forme che saranno previste potrà essere importante ma non fondamentale, solo se saremo sicuri che gli aspetti comunitari saranno ben saldi nel gruppo di persone che la costituirà. In altre parole, bisogna costruire ‘Comunità’: questo è l’aspetto su cui occorre concentrarsi. Le istituzioni locali, le Diocesi e le Parrocchie, gli enti del terzo settore, le cooperative, le organizzazioni sul territorio, le imprese, sono delle Comunità. È necessario pensare a progetti comuni che possano coinvolgere le persone, per dar vita alle Comunità energetiche. Coscienti che non è un percorso facile, perché una cosciente partecipazione è frutto di un forte impegno personale”.