Il co-sleeping è l’abitudine di far dormire i neonati nello stesso letto con i genitori, al centro, oppure in un’apposita culla in stretta prossimità; in Europa e nell’Occidente oggi non è molto praticato, al fine di promuovere l’indipendenza del piccolo. In altre culture, tuttavia, è una pratica comune, normale, frutto di antichi retaggi. Ha origini remotissime, sin dalla Preistoria, quando la sopravvivenza dei piccoli passava attraverso il contatto costante, anche nel sonno, con la madre e il padre.
Una pratica che sta tornando di moda
Con il termine co-sleeping si intende il dormire insieme nell’accezione più generica; co-bedding si riferisce, in modo specifico, all’uso dello stesso letto.
Il senso di sicurezza, ingenerato da tale abitudine, sembra coinvolgere entrambe le parti: i genitori sono tranquilli di avere il figlio a stretto contatto, pronti a intervenire in qualsiasi momento (con la comodità di allattare senza muoversi molto), in questa maniera il bambino recepisce un senso di serenità e di protezione.
È una pratica che sta tornando di moda, in barba ai tradizionali inviti di pediatri e psicologi che invocano la giusta privacy, per genitori e figli, evitando qualsiasi debolezza o vizio che potrebbe compromettere i giusti equilibri. I vantaggi e gli svantaggi di tale pratica sono molti e controversi.
I vantaggi e gli svantaggi
Lo squilibrio veglia-sonno che sconvolge i ritmi biologici circadiani in seguito allo stress sanitario, economico e sociale di questi mesi, per molti pediatri può esser prevenuto attraverso il co-sleeping.
I fautori di questa pratica la consigliano vivamente, ricordano come sia attuata da sempre e ne colgono solo benefici. Non lo considerano un viziare i figli poiché intravedono un successivo, fisiologico e autonomo distacco, indolore, dei bambini, non oltre i tre anni di età.
Per molti pediatri, più il bambino acquista sicurezza dormendo accanto ai genitori, più è facile che si renda presto autonomo. Quella che, nei primi anni di vita può esser vista come dipendenza, in realtà è il miglior trampolino di lancio per l’emancipazione.
Nonostante la condivisione del letto sia considerata un mezzo per controllare meglio e costantemente il proprio figlio, riducendo il rischio della SIDS (sindrome della morte improvvisa del lattante o della morte in culla), la realtà appare diversa. Le origini di quest’ultimo grave fenomeno non sono chiare ma l’incidenza del co-sleeping o co-bedding appare fondata.
Consigli e indicazioni
Il sito bimbi.santagostino.it, progetto editoriale dell’omonimo studio medico con sedi in tutta Italia, offre molte indicazioni per i genitori, al link https://bimbi.santagostino.it/2019/03/04/sids-sindrome-morte-improvvisa-lattante/, riguardo alla SIDS. Indica i seguenti dati “La sindrome della morte improvvisa del lattante rappresenta il 40% del totale delle morti neonatali. Dagli studi condotti negli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra e negli Stati centrali dell’Europa risulta che l’incidenza oscilla tra 1,4 e 1,5 morti su 1.000 neonati. In Italia i dati sono pochi, parziali e non sempre rigorosi. C’è qualche studio su Milano, Trieste e l’Emilia-Romagna i cui risultati hanno forti oscillazioni: vanno dalle 0,3 alle 1,2-1,3 morti ogni 1.000 neonati. A oggi la comunità scientifica non ha ancora trovato una spiegazione condivisa, cioè un nesso causa-effetto, per spiegare queste ‘morti bianche’”.
Proprio questo rappresenta uno degli aspetti negativi della condivisione del letto e alimenta le diverse posizioni sull’argomento. Per molti, la vicinanza e l’affetto dei genitori è di sicuro aiuto per l’aspetto mentale e fisico del piccolo ma a quale prezzo? A rischio di incrementare le morti per SIDS, di una scarsa igiene, di alterazione del rapporto stesso fra i genitori, di un legame morboso che proseguirà, in altre forme, lungo tutta la vita del figlio?
La problematica è in stretta relazione con l’allattamento e con le diverse posizioni dei pediatri: chi è convinto di saziare il piccolo in ogni momento in cui lo chieda e chi preferisce, invece, nutrirlo solo a ritmi e a intervalli ben precisi e scanditi. Propendere per una scelta o per l’altra, di riflesso, condiziona anche la gestione “notturna” del pargolo. Non è facile rimanere insensibili e limitare l’“interventismo” in seguito ai pianti accorati e spesso indecifrabili. Il filosofo stoico Seneca ricordava “Carezze, non comandi, amor fan dolce”.
E alcuni dati
Truenumbers.it, sito di numeri e statistiche su diverse materie, al link https://www.truenumbers.it/nati-oggi-italia/, offre dei dati e delle tendenze molto interessanti riguardanti la natalità in Italia. “Quanti bambini sono nati oggi in Italia? Al momento non lo sappiamo con certezza. Possiamo, però, calcolare la media di nati al giorno in Italia partendo dagli ultimi dati aggiornati dell’Istat sulla natalità, quelli del 2020. Scopriamo così ogni giorno in Italia nascono 1.107 bambini, quando nel 2019 era 1.150. Un numero in calo costante da anni. Dobbiamo precisare che si tratta di una media e questo calcolo non tiene conto delle variazioni che si verificano all’interno di un anno. E considera solo in parte la pandemia da Coronavirus. Come spiega l’Istat, infatti, il calo delle nascite nel 2020 si è accentuato nei mesi di novembre e soprattutto di dicembre (-10,3%), il primo mese in cui si possono osservare gli effetti della prima ondata epidemica. Possiamo, però, dire fin da subito che se qualcuno pensasse che il lockdown abbia favorito la natalità (per il maggior tempo trascorso in casa) si sbaglierebbe di grosso. Sulle scelte delle famiglie pesano molto di più la crisi economica e, in generale, l’incertezza. In ogni caso, l’andamento delle nascite nel corso del 2021 consentirà di avere un quadro più nitido delle conseguenze della crisi economica. […] Vediamo meglio i numeri. Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2019 è stato di nuovo superato nel 2020: gli iscritti all’anagrafe per nascita sono stati appena 404.104, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 (-3,8%)”.
Per approfondire l’argomento: il volume pubblicato nel 2016, da Mondadori, della psicologa Alessandra Bortolotti dal titolo “I cuccioli non dormono da soli”. L’autrice non fornisce formule magiche o regole ma cerca di analizzare il fenomeno integralmente e di rendere consapevoli i genitori su quella che resta, comunque, una loro libera scelta.
In tal senso, la stessa impostazione europea e occidentale di emancipazione immediata del bambino non è più un dogma e potrebbe risultare un elemento negativo; occorrerebbe valutare anche l’ipotesi di effettuare un passo indietro e tornare alle abitudini ancestrali, presenti in tutte le altre culture.
La condizione del bambino o ragazzo coccolato, viziato e bamboccione, è tipica del mondo occidentale proprio di quella cultura che ha tenuto ad allentare la coabitazione nel letto; quindi, si può escludere il nesso paventato da molti. Nelle culture extraeuropee e orientali, complici anche le difficoltà di vita, in cui gli spazi abitativi ristretti costringono a quella che chiamiamo nobilmente co-sleeping, i figli sono molto emancipati e autonomi.
Proteggere dallo stress emotivo
Alla luce della pandemia, la preoccupazione di proteggere il più possibile i pargoli dallo stress emotivo, ha aumentato la stretta convivenza, anche a letto. I bambini poco più grandi, della prima infanzia, hanno compreso l’importanza di avere più sicurezza, protezione e affetto.
Le convinzioni degli esperti rimangono aperte e contrastanti; lentamente troveranno una convergenza. La soluzione perfetta ancora non esiste, probabilmente la strada più sicura è quella della mediazione continua e specifica: in uno scambio di massima empatia, i genitori responsabilmente valutano quanto sia possibile tenere con loro i piccoli e interrompere, gradualmente, nel momento in cui tale pratica non sia più necessaria, nell’interesse di uno sviluppo psicofisico equilibrato, senza eccessi in un senso o nell’altro.