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Ecco come la Cina diventa l’ago della bilancia nella geopolitica mondiale

Cina
Cina sempre più superpotenza nello scacchiere internazionale. Avverte l’Ispi: l’Europa e Pechino sono alla ricerca di un’unione strategica. Mentre l’Ue è impegnata nella strategia di “de-risking”, gli Stati membri mostrano atteggiamenti molto diversi. E a risentirne è soprattutto il potere negoziale degli europei con Pechino. “Questo insieme di rapporti bilaterali conferma e testimonia l’ancora esistente asimmetria nei legami che caratterizzano i Paesi europei e la Cina- analizza Sara Casotti (Istituto per gli studi di politica internazionale)-. Presi singolarmente, infatti, il peso politico ed economico dei primi è oggigiorno inadeguato per trattare alla pari con il gigante asiatico“. Rimane quindi centrale rafforzare gli strumenti a disposizione a livello europeo. Per innescare un meccanismo virtuoso di investimenti diffusi su tutto il territorio dell’Unione. Risulta altrimenti forte un rischio. Che si intreccia all’utilizzo esclusivo di sussidi a livello nazionale. Disponibili soprattutto nei Paesi con maggiore spazio fiscale come Germania e Francia.

Strategia della Cina

Ciò infatti, può, produrre una progressiva frammentazione del mercato interno dell’Unione. E, avverte l’Ispi, in prospettiva, una divaricazione nel potenziale di crescita tra i diversi Paesi europei. Con solo un ristretto gruppo “di testa” in grado di competere nei settori critici dell’hi-tech e del clean tech. La suggestione di un “Ue Sovereign Fund” sembra non dover prendere forma nel prossimo futuro. E iniziative volte a realizzare investimenti congiunti nei settori critici, come previsti ad esempio attraverso la STEP Platform (Strategic Technologies for Europe Platform), non sono sufficienti. E non hanno la massa critica adeguata per produrre un volume di investimenti in grado di raggiungere obiettivi sostanziali. Come quelli previsti per il 2030 dal Net Zero Industry Act. Ciò richiede all’Unione di raggiungere una produzione interna del 40% per i settori critici del clean tech. “A obiettivi e sfide internazionali ambiziose, devono corrispondere strumenti e politiche altrettanto ambiziose”, analizza Sara Casotti.

Strategia globale

La Cina non guarda soltanto all’Europa, ma ad ogni angolo del pianeta. La Cina e l’Australia come “partner che si fidano l’uno dell’altro”. In grado di dare pace e stabilità all’Asia-Pacifico. E “di sviluppare appieno il potenziale dell’accordo di libero scambio bilaterale“. Nella Grande sala del popolo il presidente Xi Jinping ha cambiato registro, riferisce l’Ansa. E ha tracciato la sua nuova visione dei rapporti ideali tra Pechino e Canberra, incontrando a Pechino il premier Anthony Albanese. Primo leader australiano a recarsi in Cina in oltre sette anni. Dopo fasi di durissimi scontri diplomatici e commerciali, Xi ha assicurato che tra i due Paesi il clima è cambiato. Sono adesso sulla “strada corretta per migliorare e sviluppare le proprie relazioni”. Perché “non hanno rimostranze o controversie storiche e conflitti di interesse fondamentali”. Pechino è il primo partner commerciale di Canberra. Ma i legami nel 2020 subirono una brusca caduta dopo che il governo conservatore di Scott Morrison mise al bando il colosso delle tlc Huawei. Per motivi sulla sicurezza nazionale. E chiese un’indagine indipendente sulle origini del Covid-19. Mandando la leadership cinese su tutte le furie.

Affronto

Un affronto, insomma, tale da giustificare azioni punitive, dazi e boicottaggio delle ricche risorse australiane (dal carbone all’orzo fino al vino). E un pesante pressing diplomatico. Tutte misure che hanno mostrato limiti. L’Australia ha retto il contraccolpo. E da maggio 2022, con la salita al potere del laburista Albanese, le relazioni sono migliorate. Nelle battute iniziali del bilaterale, il premier ha notato che tra le parti sono stati fatti progressi “senza dubbio molto positivi. Naturalmente, adesso possiamo cogliere l’opportunità per esplorare le possibilità di un’ulteriore cooperazione tra i nostri due Paesi“, ha aggiunto. Albanese. Giunto in Cina a pochi giorni dalla sua visita negli Usa dal presidente Joe Biden. “A Pechino, il premier veicolerà temi utili anche in vista del suo prossimo summit di San Francisco con Biden”, aveva detto la scorsa settimana Jude Blanchette. Tra i massimi esperti di Cina del Center for Strategic and International Studies (Csis). Think tank di Washington. In un incontro online con i media stranieri di Pechino.

Disaccordo

Il leader australiano ha riconosciuto la necessità di restare vigili sulle differenze con la Cina (“non siamo strategicamente allineati”). Di voler “cooperare dove possiamo, essere in disaccordo dove dobbiamo e impegnarci nel nostro interesse nazionale”. Senza dimenticare i capitoli diritti umani e pace, anche nello Stretto di Taiwan. Avvertendo che la Cina non si vede potenza pro “status quo”. La leadership comunista ha iniziato a rivedere le sue posizioni sull’Australia dopo il patto sulla sicurezza con Usa e Gran Bretagna (Aukus). Contestando la sua decisione di acquistare i sottomarini a propulsione nucleare da Washington e Londra. Per contrastare la potenza militare cinese nell’Asia-Pacifico. Tutte mosse parte di una rete di deterrenza verso Pechino. Con il Quad (Usa, India, Australia e Giappone). E i vari accordi regionali sulla sicurezza regionali, tra cui l’ultimo tra Tokyo e Manila.

Effetti economici

Le conseguenze economiche dell’imperialismo cinese sono planetarie. E così l’Italia punta con forza sui semiconduttori. Un settore cruciale che vede oggi la produzione mondiale concentrata quasi all’80% in Corea del Sud e a Taiwan. Lo fa cercando anche di formare i nuovi talenti, gli ingegneri del comparto. Per i quali è nata ufficialmente a Pavia via la Fondazione Chips.IT, il centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttori. Aveva cominciato a pensarci il governo Draghi, soprattutto il ministro Giancarlo Giorgetti, allora allo Sviluppo economico. Ed è lo stesso Giorgetti nelle vesti di responsabile all’Economia a inaugurare ufficialmente nell’Università della città lombarda il nuovo centro di ricerca. Insieme ai colleghi di governo Anna Maria Bernini e Adolfo Urso. “La sfida politica ed economica delle grandi potenze è una sfida tecnologica. La competitività dell’economia italiana dipende dalla sua capacità di continuare a collocarsi sulla frontiere dell’innovazione“, dichiara Giorgetti alll’Ansa. Il progetto per arrivare a questo nuovo centro di ricerca nasce anche dalla “capacità di collaborazione“. Tra istituzioni, ricerca e mondo produttivo.

In risposta alla Cina

Un esempio, quindi  di come si possa superare la tentazione, troppo spesso diffusa, di lavorare nell’autoreferenzialità. La condivisione delle strategie e una traiettoria comune sono l’unico modo per valorizzare capacità creativa che connota il nostro Paese”, conclude il ministro, ricordando che “questo lavoro è avvenuto in piena continuità tra il precedente esecutivo e quello attuale“. “Il settore semiconduttori in Italia è strategico per l’economia italiana sia in chiave nazionale sia in chiave geopolitica. Tanto più alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni e mesi ai confini della nostra Europa“, aggiunge il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Secondo la responsabile all’Università e alla ricerca, Anna Maria Bernini, “quella della microelettronica è una rivoluzione in atto in cui l’Italia è già leader mondiale. Si tratta ora di sostenere e di rafforzare questo primato”. La Fondazione, che si basa su una stretta sinergia pubblico-privato, vuole rafforzare in particolare il comparto del design di microchip. Oltre a svolgere il ruolo di “competence centre”. Aiutando a formare nuove generazioni di talenti nel settore. Le aziende che hanno già comunicato il loro interesse a partecipare alle attività della fondazione includono Analog Devices, Infineon, Intel, Inventvm, Nxp, Psmc, Sony e Stmicroelectronics.
Giacomo Galeazzi: