Magnifico. Come il Libano e i suoi cedri. Il Cantico dei Cantici utilizza questa immagine per descrivere la bellezza dello sposo. Un’immagine che non è solo una descrizione estetica ma quasi una proiezione mentale, un affresco tra simbolo e metafora. Perché il Libano avrebbe ogni ingrediente per stuzzicare l’immaginazione di chi apprezza il fascino dell’esotico: l’affaccio sul Mediterraneo, un albero secolare come simbolo e condensazione di bellezza, rievocazioni storiche… Una commistione di elementi che, tuttavia, l’accelerazione verso il baratro economico-sociale ha spazzato via, lasciando il posto a una polveriera dal futuro più che incerto. Se il 7 ottobre ha, di fatto, aperto un nuovo capitolo della crisi inserendo la guerra tra gli elementi di destabilizzazione, il recente passato del Paese aveva già conosciuto i neri effetti della caduta libera.
Libano, il buco nero
La crisi economica, avviata dal crollo del sistema finanziario che, per un ventennio circa, era stato alla base del sostentamento del Paese, ha messo il Libano di fronte agli effetti deleteri dell’incapacità di reazione a livello governativo. Un sostanziale immobilismo politico che, di fatto, ha aperto il buco nero dell’inflazione e, di rimando, quella della crisi umanitaria, senza ulteriori appigli a cui aggrapparsi per venir fuori dal deficit dei conti pubblici. Il che, ha prodotto un Paese sostanzialmente fallito, al quale la tragedia del porto di Beirut, nel 2020, ha troncato l’ultimo ramo di linfa. “La recente escalation – ha spiegato a Interris.it Giuseppe Dentice, analista Nord Africa e Medio Oriente del Ce.S.I. – è solo l’ultimo tassello. E gli scenari aperti sono i peggiori”.
Dottor Dentice, dalla crisi del sistema finanziario all’escalation tra Israele ed Hezbollah: c’è un futuro per il Libano?
“Direi che, al momento, ci sono tutti gli ingredienti per una cosiddetta tempesta perfetta. Abbiamo un contesto sociale disastrato, uno economico già di per sé gravoso e, ora, addirittura peggiorato. Il contesto umanitario, in queste condizioni, chiaramente viene da sé. Ci sarebbero, in sostanza, tutti gli elementi per una guerra civile. Uno scenario che, peraltro, viene foraggiato e spinto da attori esterni interessati. Penso a Israele, con Netanyahu che incoraggiava gli abitanti a rivoltarsi contro le autorità. Questo è il contesto che dobbiamo aspettarci, ovvero il peggiore possibile, con ripercussioni sul territorio libanese e su tutto il Medio Oriente, per il quale l’incertezza del Libano è cruciale”.
In che misura una guerra civile chiamerebbe in causa la Comunità internazionale?
“Oggettivamente è difficile anche solo ipotizzare uno scenario verosimile. È tutto in costante evoluzione. Ue e Stati Uniti hanno mostrato un atteggiamento di eccessiva prudenza, sostenendo in maniera indefessa l’operato di Israele. Ragionare su un intervento occidentale rischia di essere contrastante con il contesto attuale. L’Occidente è già schierato, e lo è politicamente, nei confronti di Israele. L’interesse umanitario sarebbe limitato e incapace di produrre cambiamento, se non a guerra finita e con una situazione determinata da chi ne uscirebbe vincitore o perdente. E si evolverebbe a seconda del nuovo scenario”.
Eppure, dopo le primavere arabe, si era cercato di trovare appigli di stabilizzazione per il Medio Oriente. Una volontà venuta meno?
“Una tendenza scemata. Gli equilibri sono mutati già dal 7 di ottobre. E in Libano da anni. Finora c’era il mantenimento di uno status quo, che già era ingestibile e inaccettabile, per come il Paese era congestionato da interessi contrapposti delle parti in causa. Non parliamo solo di Hezbollah ma anche di altre realtà, sciite, sunnite, cristiane, rappresentanti ognuna di una determinata parte della società. Quello che c’è oggi è il frutto della situazione precedente, dalla crisi bancaria del 2019 all’esplosione di Beirut del 2020”.
L’incidente di Beirut ha privato il Mediterraneo di uno dei suoi porti più importanti. Da allora nessuna risorsa per il ripristino dello status quo…
“L’esplosione di Beirut e la successiva gestione del caso, è stata la cartina di tornasole del caos regnante nel Paese. E, in questo, possiamo inserire anche il tentativo di bloccare qualsiasi tipo di inchiesta da parte della magistratura, le proteste pubbliche, incluse quelle contro Hezbollah… Il caos, purtroppo, deriva da decenni di frazionismo e lotte di potere che hanno disintegrato il Paese nella sua essenza sociale”.
Quanto margine c’è perché, in uno Stato fallito e vittima di una sostanziale indifferenza di fondo, si crei, nuovamente, il pericolo di una recrudescenza fondamentalista?
“Il fantasma mai sopito di un’eventuale guerra civile è già una situazione grave. Non dimentichiamo che il Libano ha una storia complessa, ha conosciuto già una guerra civile, fino ai trattati di pace degli anni Novanta. È un Paese abituato alla violenza ma non ha mai risolto in maniera definitiva questa problematica. Il Libano paga la responsabilità delle scelte del Paese, sia politiche che sociali, le quali hanno bloccato il Paese nei suoi frazionamenti. In questo senso, ogni forza sociale, politica e religiosa del Libano è stata portatrice di un interesse”.