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I Cec dell’Apg23 per rieducare il detenuto e reinserirlo in società. Intervista a Giorgio Pieri

Giorgio Pieri, responsabile dei Cec dell'Apg23, commenta a Interris.it i contenuti del decreto-legge sulle carceri approvato dal Governo

“È istituito presso il Ministero della Giustizia un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale di coloro che hanno i requisiti per accedere alle misure penali di comunità”. E’ il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ad illustrare, al termine del Consiglio dei Ministri, i contenuti del decreto-legge sulle carceri approvato ieri sera. Annunciato nelle scorse settimane, il provvedimento era stato denominato “svuota-carceri” per rispondere all’annoso problema del sovraffollamento delle carceri italiane.

La conferenza stampa

“Uno degli elementi più importanti di questa riforma riguarda le pene alternative che hanno il fine di umanizzare di più il sistema carcerario. – ha dichiarato il Ministro Nordio in conferenza stampa – L’art. 9 del decreto riguarda la possibilità di accedere alle misure penali di comunità attraverso l’ingresso in strutture residenziali idonee all’accoglienza mediante servizio di riqualificazione professionale alla riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti o con disagio psichico. Vogliamo facilitare il trasferimento dei minori e dei tossicodipendenti dalla detenzione in carcere alle comunità“. Una novità assoluta riguarda l’introduzione di un albo delle comunità riconosciute presso il Ministero della Giustizia. “E’ un passo molto importante che ci porta avanti nell’umanizzazione della pena, nella rieducazione del detenuto e nel reinserimento sociale. – ha continuato Nordio – Nonché ad un rimedio al sovraffollamento carcerario. Vorrei ringraziare queste comunità che si sono offerte e che sono registrate in un elenco presso il ministero di Giustizia. Siamo certi che per alcuni tipi di reati sia essenziale, per la loro rieducazione, l’attività in comunità”.

L’intervista

Interris.it ha chiesto un parere a Giorgio Pieri, responsabile dei Cec della Comunità di don Benzi. La Papa Giovanni XXIII gestisce sette Comunità educanti con i carcerati (Cec), strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle cooperative dell’associazione. La prima casa è stata aperta nel 2004. Ad oggi sono presenti 241 tra detenuti ed ex detenuti. Negli ultimi 10 anni sono state accolte 1.865 persone. Per chi esce dal carcere la tendenza a commettere di nuovo dei reati, la cosiddetta recidiva, è il 75% dei casi. Invece nelle comunità i casi di recidiva sono appena il 15%.

Giorgio Pieri, come valuta questo provvedimento del governo?

“Siamo soddisfatti della scelta del governo che ha adottato il decreto carcere in cui riconoscono le comunità come luoghi di espiazione della pena. Si tratta di una proposta che abbiamo portato al governo attraverso alcuni incontri in cui ci hanno ascoltato e, per la prima volta, ci siamo sentiti dire: “non siete voi a chiedere aiuto ma siamo noi a chiedere aiuto a voi”. Hanno riconosciuto le comunità come una possibile soluzione all’espiazione della pena da parte dei condannati che oggi avviene in condizioni di sovraffollamento che non è più compatibile con la dignità umana”.

Il governo ha accolto le vostre proposte?

“Questo governo ha ascoltato le comunità ed il mondo del terzo settore ed ha inteso la grande opportunità che esse offrono. Noi avevamo anche proposto incentivi alla scelta dei percorsi educativi, per esempio rispetto all’ottenimento del permesso di soggiorno oppure avere più giorni di libertà anticipata rispetto a chi fa il carcere”.

Cosa vi caratterizza?

“Il nostro è un vero percorso rieducativo. I detenuti inseriti nel nostro programma devono guardare sia le ferite che hanno provocato per i delitti commessi, sia le proprie ferite che li hanno portati a delinquere. Il percorso educativo vero è quello che fa andare a ritroso nel proprio passato per capire le ragioni che hanno portato alla devianza. A volte possono essere violenze subite, povertà, problemi di relazione con i genitori. Tutto questo per guardare avanti, per una vita nuova”.

Fate una selezione dei detenuti?

“Chi entra in queste realtà deve farlo su base volontaria, deve scegliere di svolgere percorsi educativi. Un detenuto deve dire: “Voglio essere aiutato a rimuovere in me gli atteggiamenti delinquenziali”. Questa possibilità va data a tutti, tuttavia nella nostra esperienza incontriamo tanti detenuti che non la scelgono perché si tratta di percorsi impegnativi. Chi non la sceglie deve rimanere in carcere”.

Che garanzie si offrono alle vittime che hanno subito le azioni delittuose di chi è in carcere?

“Alle vittime ed alla società intera dobbiamo garantire l’abbattimento della recidiva, la tendenza a commettere di nuovo dei reati. Oggi, su dieci persone che entrano in carcere noi sappiamo che sette di quelle ci torneranno entro tre anni dall’uscita. Solo con la rieducazione si interrompe quel circolo vizioso che porta le persone ad uscire dal carcere per poi tornarci”.

E nelle vostre comunità qual è la recidiva?

“Nelle comunità educanti ogni dieci persone che entrano solo una torna in carcere. Nove tornano alla vita. Questo è il motivo per cui non possiamo più procrastinare questa scelta”.

Lo stato dovrebbe sostenere costi aggiuntivi per l’inserimento nelle comunità?

“Un detenuto in carcere oggi costa circa 150 euro mentre nelle comunità costerebbe meno della metà. Per questo chiediamo che venga riconosciuto una retta per le accoglienze nelle comunità capaci di svolgere percorsi educativi. Le comunità sono molto più efficaci”.

Il ministro ha ricordato che in passato indulgenze incondizionate o gratuite come amnistie e indulti hanno portato ad un aumento delle recidive. Cosa risponde?

“Dare a un carcerato la possibilità della rieducazione è un atto di clemenza vero. Non è come l’indulto, ma qualcosa di più bello e profondo che nel tempo darà i suoi frutti”.

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