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Carlo Verna (OdG): “Il giornalista? ‘Medico’ contro le fake news. Ma servono più tutele”

In occasione della Giornata internazionale per la libertà di stampa, l'intervista al presidente del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, Carlo Verna

Si celebra oggi la Giornata Internazionale per la libertà di stampa, istituita il 3 maggio del 1993 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione della Conferenza Generale dell’Unesco. Fu scelto questo giorno per ricordare il seminario dell’Unesco tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio 1991 a Windohek (Namibia). Questo convegno portò alla redazione della Dichiarazione di Windhoek, un documento nel quale si affermano principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani.

Un decennio decisivo

Come ogni anno, Reporters Sans Frontiers ha il nuovo indice della libertà di stampa, dalla quale emerge che il prossimo decennio sarà decisivo per il futuro del giornalismo. L’organizzazione, preoccupata degli effetti del coronavirus sulla libertà di stampa, ha avviato il progetto #Tracker_19. Il numero 19 è stato scelto, oltre che per richiamare il Covid-19, anche come riferimento all’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sulla libertà di opinione ed espressione.

La classifica

Al primo posto, anche per il 2020 troviamo la Norvegia, seguita dalla Finlandia e dalla Danimarca. All’ultimo posto la Corea del Nord, che ‘ruba’ la maglia nera al Turkmenistan. L’Italia si classifica al 41esimo posto dietro a Paesi come Ghana, Sud Africa e Burkina Faso. L’Europa rimane il continente più favorevole alla libertà di stampa, nonostante le politiche repressive di alcuni paesi dell’Unione europea e nei Balcani, seguito dalle Americhe (Nord e Sud) e dal continente africano che ha registrato cali significativi, in particolare causati da detenzioni arbitrarie e attacchi online a lungo termine.

Le censure

La Cina (177 °) e l’Iran (173 °, – 3), focolai dell’epidemia, hanno messo in atto enormi sistemi di censura. In Iraq (162 °, – 6), l’agenzia di stampa Reuters ha visto la sua licenza sospesa per tre mesi, poche ore dopo aver pubblicato un dispaccio mettendo in discussione le cifre ufficiali dei casi di coronavirus. Anche in Europa, in Ungheria (89 °, – 2), il Primo Ministro Viktor Orbán ha approvato una legge chiamata “coronavirus” che prevede pene detentive fino a cinque anni per la diffusione di informazioni false.

L’intervista

In occasione di questa giornata Interris.it ha intervistato Carlo Verna, dal 25 ottobre 2017 presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, cogliendo l’occasione per fare il punto sullo stato del giornalismo italiano, su cosa dovrebbe fare lo Stato italiano per sostenere questo settore, le criticità contrattuali e cosa consigliare ai giovani che si affacciano a questa professione.

Presidente, qual è il ruolo dei giornalisti in questo periodo di emergenza sanitaria?
“Svolgiamo un ruolo fondamentale. Da un lato siamo chiamati a portare un’informazione completa e corretta a una comunità che a causa del coronavirus vive reclusa nelle proprie case. Dall’altro siamo invitati a svolgere il ruolo di ‘medici contro le fake news’, dobbiamo far sì che nelle case degli italiani arrivino notizie verificate da professionisti del settore. Negli ultimi tempi, attraverso comunicazioni virali, sono circolate informazioni senza fondamento, forse miranti ad affermare tesi fortemente di parte o qualche suggestione pericolosa”.

Cosa si intende per libertà di stampa?
“E’ un valore fondamentale, su cui si regge qualsiasi comunità democratica. La conoscenza è un ‘pacco’ prezioso che recapitiamo ai cittadini. La Corte Costituzionale, nell’art. 21, riconosce il diritto del cittadino ad essere informato correttamente. Il legislatore costituente ebbe la lungimiranza di utilizzare una sorta di pluralismo di piattaforme quando nell’art. 21 scrisse: ‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione’. Ricordiamoci che nel 47 quando la Costituzione è stata pensata e nel 48 è stata promulgata non esisteva nemmeno la televisione, né si poteva pensare al web, eppure fu scritto ‘ogni altro mezzo di diffusione’. E’ evidente che adesso siamo arrivati ad un numero di possibilità di piattaforme e di emissione tale che ci troviamo di fronte al problema opposto, la polverizzazione dell’offerta editoriale. Da questo punto di vista lo Stato deve essere molto saggio, evitando che la carta stampata possa sparire come un dinosauro, ma allo stesso tempo deve guadare con attenzione e interesse alle iniziative più originali che vengono proposte sul web”.

Secondo l’associazione Reporters Sans Frontiers, l’Italia si colloca al 41esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, dietro a Paesi come Ghana, Sud Africa, Burkina Faso. Come mai secondo lei?
“Si spiega con una legislazione assolutamente inadeguata ai tempi. Basti pensare che ancora esiste il carcere come pena edittale prevista per il reato di diffamazione: è una vergogna che va cancellata. Complessivamente, il sistema informazione Italia è in ritardo e quindi si spiega questo tipo di valutazione che viene fatto da un organismo internazionale. Non abbiamo editori puri, pensiamo alla battaglia che da anni stiamo portando avanti in Rai perché ci sia indipendenza rispetto al governo di turno. Quando si va a valutare l’indice di libertà di stampa in questo Paese, ci si ritrova in una condizione di inferiorità rispetto ad altri Stati di consolidata democrazia. Dobbiamo prendere queste classifiche come una scossa che ci metta nella condizione di reagire e di affermare una serie di principi importanti in un contesto di una nuova legislazione per i giornalisti, che oramai è indifferibile”.

I giornalisti in Italia sono abbastanza tutelati, pensando anche all’aspetto contrattuale?
“Assolutamente no. Questa è un’altra delle grandi vergogne. Non si riesce ad attuare un equo-compenso per la stragrande maggioranza dei colleghi che non sono contrattualizzati. Bene o male, chi ha un contratto di lavoro subordinato appartiene a un mondo che si sta complessivamente impoverendo ma è comunque garantito dalla forza del contratto di lavoro. Il punto è la precarietà diffusa che non mette i colleghi nelle condizioni di fare una buona informazione. Io vorrei istituire un osservatorio permanente per controllare ed eliminare questo sfruttamento scandaloso che c’è nei confronti dei colleghi. Credo che questa sia la prima priorità del mondo del giornalismo”.

Lo Stato cosa dovrebbe fare di più per sostenere questa categoria di lavoratori?
“Avevamo in corso con il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Informazione e all’Editoria, Andre Martella, un tavolo sulla questione dell’equo-compenso. Con non poca fatica avevamo fatto passare dei concetti. Uno di questi riguarda il criterio del cosiddetto demoltiplicatore: più articoli si scrivono e meno si viene pagati ad articolo. E’ il sintomo di un lavoro mascherato da una pluralità di prestazioni di lavoro autonomo. Eravamo al punto in cui le parti sociali si sarebbero dovute incontrare, ma siamo stati travolti dal coronavirus e tutto si è fermato. Se non si riesce a uscire da questo vicolo cieco, non si riuscirà mai a produrre buona informazione”.

Anche a causa dell’avvento di nuovi mezzi di comunicazione, la rete che fa circolare in maniera più veloce le notizie, molto spesso ci si imbatte in fake news. Come contrastare questo fenomeno?
“Il giornalista professionale, colui che dopo aver fatto un percorso previsto dalla legge si riconosce di un quadro di regole che è il nostro testo unico che ha codificato varie carte ed è in grado di fornire delle garanzie gran lunga maggiori di quelle che possono essere offerte da colui che si improvvisa nella funzione di informare, anzi direi che la usurpa. Da quando è esploso il fenomeno dei social, noi giornalisti professionali, abbiamo perso un’esclusiva, quella di poter parlare da uno a tanti. Ora tutti possono parlare a tutti e si crea così una situazione difficilmente gestibile per chi riceve queste informazioni. Da questo punto di vista si parla di infodemia”.

Che cosa è per lei il giornalismo?
“Una parte della mia vita. Come presidente non posso far altro che riportarmi ai concetti espressi in precedenza, sulla funzione importantissima per la comunità democratica che svolge. Tutti coloro che svolgono questa professione dovrebbero essere orgogliosi del loro lavoro. Questo nonostante le difficoltà – a partire da una legislazione che ci penalizza fortemente – che incontriamo”.

Molti giornalisti vengono minacciati… 
“Sì, non solo fisicamente ma anche con querele temerarie, iniziative giudiziali che non hanno nessun fondamento. C’è una proposta di legge, di cui è primo firmatario Primo Di Nicola, ma a causa del coronavirus è frenata dal lockdown. Non bisogna dimenticare il linguaggio di odio che in alcuni casi viene rivolto ai giornalisti. Esiste un Coordinamento per la sicurezza del gionalista, ma anche in questo caso, al momento, siamo fermi a causa delle misure volute dal governo per evitare la diffusione del coronavirus”.

Vuole lanciare un messaggio ai giovani che si affacciano a questa professione?
“Serve molta determinazione e, come dicono gli arabi, ‘morire di pazienza’. Oltre a questo è necessario crearsi una rete di protezione, un’idea alternativa. Vorrei sottolineare una cosa: aumentano i giornalisti, aumentano le testate, ma diminuiscono i rapporti di lavoro strutturati. E’ ovvio che c’è un’anomalia, nonostante le battaglie che stiamo cercano di portare avanti. Ecco che allora non bastano la determinazione e la vocazione. Occorre guardarsi le spalle perché, dobbiamo essere onesti, non tutti quelli che desiderano svolgere questa professione troveranno nel giornalismo una fonte di remunerazione adeguata per vivere”.

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