“Mio figlio Carlo Acutis è l’influencer di Dio. Lui non pubblicizzava prodotti alla moda o vestiti, ma l’amore di Dio. Per lui internet era il mezzo per diffondere la fede, l’amore verso la Madonna, il dono incalcolabile dell’Eucaristia, che definiva ‘autostrada per il paradiso'”.
A testimoniare l’unicità e la santità quotidiana di Carlo Acutis, morto a soli 15 anni per una leucemia fulminante il 12 ottobre 2006, sono i suoi stessi genitori: la mamma Antonia Salzano e il papà Andrea Acutis. Carlo è stato proclamato beato lo scorso 10 ottobre.
I due coniugi, genitori anche di due gemelli di quasi 11 anni, hanno partecipato martedì 17 agosto ad un incontro-testimonianza nella parrocchia collegiata San Nicolò di Fabriano, invitati dal parroco e direttore di In Terris don Aldo Buonaiuto.
Alla fine dell’incontro – che ha avuto enorme successo e ha visto la partecipazione di oltre 300 fedeli – don Buonaiuto ha annunciato l’apertura il 12 ottobre a San Nicolò di un oratorio intitolato a Carlo Acutis. I genitori hanno donato alla parrocchia un quadro con la sua immagine e una preziosa reliquia del beato.
La vita (in breve) del beato Carlo Acutis
Carlo è nato il 3 maggio 1991 a Londra dove la famiglia viveva per motivi di lavoro di Andrea, corporate finance executive presso la banca d’affari Lazard Brothers. Il bimbo venne chiamato come il nonno paterno, il proprietario di Vittoria Assicurazioni Carlo Acutis.
Andrea Acutis, in procinto di entrare nella dirigenza di Vittoria Assicurazioni, si trasferì con la famiglia a Milano a settembre, dove il giovane Carlo frequentò la scuola elementare e media presso le suore Marcelline, la parrocchia presso la chiesa di Santa Maria Segreta e il liceo classico presso l’Istituto Leone XIII, gestito dai Gesuiti.
Nel 2006 si ammalò improvvisamente di leucemia fulminante, a causa della quale morì il 12 ottobre, in soli tre giorni, presso l’ospedale San Gerardo di Monza, dopo aver offerto le sue sofferenze per il Papa e per la Chiesa. Aveva 15 anni.
Fu sepolto secondo il suo desiderio nel cimitero di Assisi, dove rimase fino alla traslazione nel Santuario della Spogliazione, sempre in Assisi, dove si trova dal 6 aprile 2019. E’ stato proclamato beato lo scorso 12 ottobre.
La vita di preghiera
“Sin da piccolissimo Carlo mostrò una grandissima fede: era – racconta la mamma – innamorato di Dio. Tanto che a soli sette anni si accostò alla Prima comunione, ricevuta con un permesso speciale. La sua devozione, rivolta in particolare, oltre che all’Eucaristia (che chiamava ‘La mia autostrada per il Cielo’), anche alla Madonna, lo portava quotidianamente a partecipare alla Messa e a recitare il rosario”.
“I suoi eroi non erano i calciatori o i cantanti, ma i santi: san Francesco d’Assisi, che adorava, Francisco e Jacinta Marto, san Domenico Savio, san Luigi Gonzaga e san Tarcisio. Inoltre, Carlo si confessava tutte le settimane. Pregava per tutti e, già in vita, ricevette moltissime grazie. Attraverso la sua preghiera, tante persone si sono riavvicinate alla fede, alla comunione e ai sacramenti in genere; altre sono miracolosamente guarite o hanno ricevuto delle grazie come il dono della maternità e della paternità”.
“Lui non era attratto dal ‘mondo’, ma da Dio e dagli uomini, che erano tutti unici e nei quali vedeva Dio stesso. Si stupiva del fatto che le persone si entusiasmassero per quel cantante o per quell’attore, che riempissero gli stadi ma che le chiese – dove è custodito il corpo di Cristo – fossero semi vuote. ‘Se le persone capissero il dono dell’Eucaristia – ci ripeteva a noi genitori – le chiese sarebbero stracolme!'”.
L’impegno verso i poveri
Carlo negli altri vedeva un mondo unico, vedeva il riflesso irripetibile di Dio. “Anche se nato e cresciuto in una famiglia benestante in un appartamento in centro a Milano, sin da bambino non fu cieco ai bisogni dei poveri. Nel pergolato sotto casa nostra vivevano delle persone senza fissa dimora. Lui usava i soldi della paghetta dei nonni per regalare loro il cibo o delle coperte per coprirsi la notte al posto dei cartoni. Aveva soprattutto degli anziani – che vivevano in strada – nel cuore e li aiutava come poteva: si era organizzato con dei recipienti e portava loro delle bevande calde”. Era attento non solo ai poveri, ma anche alle persone sole, emarginate, ai migranti. Per lui gli altri erano un dono unico e speciale: aveva Gesù nel cuore e vedeva Dio nel prossimo“.
Carlo influencer di Dio
“Inoltre, Carlo era molto portato nell’informatica: aveva creato negli anni dei siti web attraverso i quali diffondeva la fede in Gesù Eucaristia con parole semplici, che colpivano il cuore dei giovani, essendo lui stesso uno di loro. Non a caso Papa Francesco ha recentemente lodato Carlo per come ha usato i nuovi mezzi di comunicazione al fine di diffondere la buona novella. Un vero influencer di Dio! In Carlo i ragazzi si riconoscevano perché non era diverso da loro: amava gli amici, lo sport, i computer, le passeggiate in montagna… ma in più aveva sempre Dio nel cuore”.
La vita parrocchiale: il kit per diventare santo
“A 11 anni divenne aiuto catechista e poi l’anno dopo catechista in parrocchia. Vivendo la parrocchia in prima persona, si accorse che moltissimi ragazzi non erano interessati alla fede, non andavano in Chiesa a pregare né partecipavano alla Messa. Ma Carlo sapeva che ognuno di noi è chiamato ad essere santo, attraverso la preghiera ma anche le opere buone. Per lui era importante che i ragazzi desiderassero di diventare santi: aveva costruito un kit per diventare santo; tra i vari ‘strumenti’, non poteva mancare l’incontro con Gesù Eucaristia attraverso la Messa quotidiana; poi c’era la preghiera all’angelo custode e la confessione. Infine, l’Eucaristia: ‘davanti al sole ci si abbronza – diceva – davanti all’Eucaristia si diventa santi‘”.
La mostra sui miracoli eucaristici nel mondo
“Carlo ci teneva che le persone capissero che Dio dimora in mezzo a noi nell’ostia consacrata e in ogni tabernacolo. Ma, diceva, i tabernacoli sono i ‘grandi dimenticati’. Vedeva file chilometriche per un concerto o una partita, ma non ne vedeva di fronte al Santissimo Sacramento”.
Ideò e organizzò così la mostra sui miracoli eucaristici nel mondo, con la collaborazione dell’Istituto San Clemente I Papa e Martire. Tale mostra, ospitata nelle parrocchie che ne fanno richiesta e presente anche online, è già stata ospitata in tutti i cinque continenti: solo negli Stati Uniti d’America in quasi 10.000 parrocchie; nel resto del mondo in centinaia di parrocchie e in alcuni tra i santuari mariani più famosi, come ad esempio Fátima, Lourdes e Guadalupe. Ma anche in Cina, Medio Oriente, India, Africa… in Nazioni non cattoliche o non cristiane, ma il messaggio e la figura di Carlo è inarrestabile e ha conquistato il cuore di milioni di persone. “Attraverso questa mostra, Carlo sta ancora compiendo tanti miracoli“.
“Uno dei suoi miracoli più frequenti è quello di aver avvicinato (o riavvicinato) le persone a Dio. Per lui la felicità non consisteva nell’aver successo, nella ricchezza, nelle cose materiali, né nel vincere il premio Nobel o l’Oscar. ‘Una vita è bella – ripeteva – quando si riesce a mettere Dio al primo posto!'”. Quella era una vita che valeva la pena vivere: “non bisogna perdere tempo – aggiungeva – nelle cose non gradite a Dio”.
Il miracolo della guarigione di Matheus
Tra i tanti miracoli compiuti prima e dopo la morte, uno è stato scelto per la causa di beatificazione. Ai fini della beatificazione, infatti, la Chiesa cattolica ritiene necessario un “miracolo per intercessione”: nel caso di Carlo, è stata ritenuta miracolosa la guarigione di Matheus, un bambino brasiliano di sei anni affetto da una grave malformazione: il pancreas biforcuto. Il 12 ottobre 2010, nella chiesa brasiliana di San Sebastiano, di cui era parroco padre Marcelo Tenorio, era in corso la benedizione con una reliquia di Carlo Acutis, un pezzo del suo pigiama macchiato di sangue con cui quest’ultimo dormì poco prima di morire.
Matheus, a causa della sua malattia, rimetteva sia gli alimenti solidi che le bevande e il deperimento organico conseguente faceva temere per la sua vita. Quando fu il suo turno di toccare la reliquia chiese, su suggerimento del nonno che lo accompagnava, la grazia di non rimettere più: da quel momento il fenomeno cessò. Nel febbraio 2011, il bambino fu sottoposto a una serie di esami, dai quali risultò che la malattia era scomparsa e il suo pancreas era tornato normale. La guarigione “istantanea, completa e duratura” è stata ritenuta inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche dalla Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi.
Una morte vissuta col sorriso
“Carlo sapeva sin da bambino che sarebbe morto giovane. Ci diceva: ‘morirò perché mi si romperà una vena nella testa’ e ‘rimarrò giovane per sempre!’. Anche quando gli dissero che aveva solo un’influenza (ma era già la leucemia) disse: ‘offrirò le mie sofferenze a Dio così andrò direttamente in paradiso senza passare per il purgatorio’. Noi genitori pensavamo che scherzasse: era sempre molto allegro e scherzoso. Invece, neppure sette giorni dopo, tornò alla casa del Padre. Infatti, dopo la febbre ebbe un tracollo: lo portammo all’ospedale dove gli diagnosticarono una leucemia fulminante. Lui in quell’occasione mi disse: ‘mamma, io non uscirò vivo da qui ma ti darò tanti segni’. Lui, essendo unito con Gesù attraverso l’Eucaristia, viveva nel cuore già una prefigurazione di quella gioia eterna. Per lui la morte infatti non era la fine di un viaggio, ma viveva la morte come un passaggio alla vita vera: viveva la morte come un santo!”.
L’ultimo ricordo di mamma Antonia
“Carlo è morto il 12 ottobre: il suo cuore si fermò in seguito ad un’emorragia cerebrale, una vena che si rompe nel cervello come diceva lui da piccolo… Ad un certo punto, prima di cadere in coma – ero in ospedale con lui – fece un sorriso enorme e poi si accasciò. Pensai che si fosse addormentato, invece non si svegliò più. Mi piace pensare che nel suo ultimo respiro abbia visto il Paradiso, la Gioia Eterna. Quel bellissimo sorriso, paradisiaco, è l’ultimo ricordo che ho di mio figlio”, conclude mamma Antonia.
Il ricordo di papà Andrea: vivere con un piccolo Gesù in casa
All’incontro è intervenuto anche il papà di Carlo, Andrea Acutis che ha risposto alla domanda “come si vive con un santo in casa”. “Forse se nel mondo – ha esordito papà Andrea – ci sono così pochi innamorati di Gesù è perché non hanno mai incontrato dei ‘piccoli Gesù‘, vale a dire dei testimoni credibili di Cristo come era Carlo per noi. Spesso le persone non si innamorano di Gesù attraverso noi cristiani perché spesso siamo divisi. Non ci fidiamo che la nostra massima felicità possa essere seguire Gesù senza riserve. Molti cristiani vivono come se Dio volesse loro togliere qualcosa. La maggior parte di noi non riesce a capire la meraviglia della proposta di Dio per noi. Carlo l’aveva capita. Aveva capito che lui era diretto verso una meta meravigliosa, molto più grande di qualsiasi cosa si possa sperimentare nella vita terrena. E questo lo rendeva felice. Ci aveva creduto fino in fondo. Fino all’ultimo respiro. Lui desiderava con tutto il cuore andare verso il Cielo già mentre era su questa terra. Questo forse è il segreto: non essere divisi ma essere innamorati del Sommo Bene. Carlo attirava le persone (compresi noi genitori) perché era davvero innamorato di Dio e la sua vita era piena di gioia. Era davvero un ‘piccolo Gesù’!”.